memoria raccolta e inviata in redazione da Paolo Iannuccelli
Arriva qualche giorno dopo il Giorno della Memoria, ma non è mai tardi per ricordare.
La Redazione
Luigi Pacifico – nato nel 1921 – ebanista, era imbarcato sul “Gorizia”, partito da porto di Pola. Fu catturato dai tedeschi a Spalato il 29 settembre 1943.
Il racconto è struggente…
“Ci hanno messi su carri bestiame diretti in Germania. Il viaggio, con poca acqua e quasi niente da mangiare è durato 15 giorni. Ci hanno fatto scendere nel campo di Meppen, in Olanda. La nostra prigionia durava da circa un mese. In questa prima destinazione ho perso di vista tutti i miei compagni. Ogni giorno, tornando dal lavoro, non trovavo chi con me aveva diviso il pagliericcio, apprendevo che erano stati trasferiti in altri campi di concentramento. Io e altri italiani che non conoscevo siamo in seguito stati stipati in carri ferroviari. Dopo sei ore di viaggio siamo arrivati in aperta campagna. Ci hanno fatto scendere e a piedi dopo due chilometri siamo arrivati in un lager: baracche e barriere di filo spinato. All’ ingresso abbiamo trovato la Gestapo. In questo campo dovevo lavorare come muratore o falegname, a seconda delle esigenze dei tedeschi. Dalla vicina strada ferrata scaricavamo materiali da costruzione, destinati alla zona, che poi ho saputo essere a Rurgas, tra Essen e Dortmund. Il vitto che ci davano, nonostante tutta dura la mole di lavoro, consisteva in due mestoli di brodaglia e 150 grammi di pane il giorno. Si lavorava con qualsiasi condizione atmosferica, l’estate con un caldo asfissiante, l’inverno con la neve a – 30 gradi. Eravamo controllati a vista, i manganelli apparivano spesso”.
Un grande lavoro l’internato ponzese l’ha svolto all’interno dei bunker antiaerei creati dai tedeschi per difendersi dai bombardamenti degli alleati.
“Abbiamo creato i rifugi, poi li abbiamo rivestisti di pino, ci proteggeva solo un cappotto dal freddo, eravamo molto controllati dal punto di vista igienico, facevano di tutto per eliminare i pidocchi. Ogni tanto ci mandavano a raccogliere i cadaveri delle persone decedute in seguito ai bombardamenti e li portavamo in fosse comuni. Nel campo di concentramento a Rurgas feci amicizia con un generale russo, preso prigioniero. Era un grande amico di Stalin che ammirava come uomo di stato e condottiero, non faceva altro che parlare bene del leader, eravamo vicini di letto”.
Nell’aprile del 1945 arrivarono le truppe americane, Luigi fu liberato ma il rientro a Ponza fu ritardato di nove mesi.
“Gli americani mi offrirono un posto di lavoro come guardiano di strade ma guadagnavo poco. A fine 1945 tornai sulla mia isola, le condizioni di salute non erano brillanti, fui colpito da bronchite cronica”.
Nel dopoguerra i Pacifico, con in testa papà Salvatore, hanno continuato il lavoro di ebanisti ma Luigi ha preferito imbarcarsi su navi mercantili che trasportavano legno e altri materiali a Marsiglia da paesi africani come Senegal, Costa d’Avorio, Niger.
Poi il ritorno a Ponza per lavorare nel laboratorio di falegnameria e insegnare il mestiere al figlio Giovanni.
La locandina (sopra) e la scena finale (sotto) del film Train de vie del 1998 diretto da Radu Mihăileanu