di Luisa Guarino
Il tema del rapporto tra biodiversità e cambiamenti climatici è stato al centro di un convegno che si è svolto sabato nella sala convegni dell’Istituto nautico “Giovanni Caboto” di Gaeta, promosso peraltro all’interno delle celebrazioni per i 120 anni della Lega navale italiana. Coordinato da Luigi Valerio, presidente della sezione di Sperlonga di LNI, l’incontro è stato aperto dai saluti di Maria Rosa Valente, dirigente scolastica del Caboto; Maurizio Gemignani, presidente nazionale della Lega navale; Nunzia Rossi, direttore del Centro culturale ambientale di LNI.
Dopo una breve introduzione alla mitigazione dei cambiamenti climatici da parte di Valerio, Giovanni Onore, entomologo, missionario e direttore della Riserva naturale di Otonga, in Ecuador, ha parlato della “Biodiversità delle specie in Ecuador”, con un’infinità di immagini affascinanti di una terra che solo per quanto riguarda le specie dei lepidotteri, ne conta circa 60.000. La sua vita in Africa è iniziata in Congo 50 anni fa, e da 40 opera appassionatamente in Ecuador, dove ha anche creato una fondazione, la Fundaciòn Otonga, dal nome dell’area in cui vive, e che significa “lombrico”.
Giovanni Onore
Adriano Madonna
E’ stata poi la volta del ‘nostro’ Adriano Madonna, biologo marino Eclab dell’Università di Napoli “Federico II” e Cca, con la sua relazione dal titolo “Biodiversità delle grotte sommerse” focalizzata sulla Grotta del maresciallo di Gaeta, che sorge vicino alla più nota Grotta del turco. Madonna ha messo per la prima volta piede in quella grotta 50 anni fa, e ancora oggi ricorda l’emozione immensa nella consapevolezza di essere “il primo uomo” dopo 6 milioni di anni: a tale epoca risale infatti quella cavità in cui “la biodiversità cavernicola va protetta – afferma – perché basta un colpo di pinne a distruggerla”. In questo mezzo secolo Adriano Madonna ha frequentato quei luoghi costantemente: grazie alle sue regolari immersioni e osservazioni è oggi in grado di distinguere perfettamente le forme di vita che vi si sono installate da più tempo da quelle che potremmo definire “new entry”, come un ‘astroides’ che vi si trova dal 2003 (e che prima aveva visto solo a Ventotene), un ‘platelminta’, o tra i pesci la ‘brotula nera’, di cui ha contato 3 esemplari.
brotula nera
Valerio Manfrini
La parola è passata a Valerio Manfrini, Csc e Cca, il più giovane dei relatori, emiliano, che ha parlato de “I cetacei e i cambiamenti climatici” facendo conoscere più da vicino ai presenti l’universo composto da questi animali di grande stazza di cui si registrano 93 specie, laddove di balene ne esistono 8 specie: la più grande è la balenottera azzurra (attenzione a non usare le parole balena e balenottera come se fossero sinonimi), la cui lunghezza varia tra i 20 e i 24 metri; il capodoglio, tra i 9 e i 19 metri, è quello che si immerge più in profondità, fino a raggiungere i 3000 metri. Manfrini ha parlato poi dei delfini, dal cosiddetto ‘comune’ al grampo e alla stenella striata, fino al tursiope, quello più abituato alla presenza dell’uomo; esistono inoltre nel nostro mare Mediterraneo anche alcune specie occasionali e altre accidentali.
Sono una razza in estinzione e sono presenti in 7 specie, 3 delle quali si trovano nel Mediterraneo le tartarughe marine, della cui strettissima dipendenza dai cambiamenti climatici ha parlato Flegra Bentivegna, assistente del Cnr e ricercatore Iamc.
Flegra Bentivegna
Le variazioni di temperatura incidono in maniera determinante sul tempo di schiusura delle uova, ma non solo, perché esse influenzano anche il sesso dei piccoli, con un aumento delle femmine quando la temperatura è più alta e viceversa. Inoltre, mentre in passato le tartarughe in un certo periodo dell’anno si trasferivano verso la Grecia, le coste del Nordafrica e l’Oriente dove il clima era più mite, attualmente esse si trattengono sempre più spesso sulle nostre coste. Per le tartarughe insomma, che hanno una vita millenaria sulla terra, si può dire, aggiungiamo noi, quello che vale per tutte le altre specie: i cambiamenti climatici un tempo avvenivano sì, ma con ritmi molto lenti; mentre la velocità attuale ci costringe a fare i conti con autentici disastri.
L’ultimo intervento, non previsto nel programma, è stato quello di Damiano Di Tucci, futuro ingegnere ambientale, che ha spostato l’attenzione sulla flora spontanea di Gaeta e del litorale di Serapo, dove alcune specie stanno scomparendo, laddove negli scorsi anni si registrava la presenza di almeno 25 specie. Di Tucci ha anche illustrato un progetto per contrastare l’allarmante fenomeno, auspicando inoltre l’istituzione anche a Gaeta, come è già avvenuto a Terracina, di una sezione del Wwf del Litorale laziale.