di Rosanna Conte
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Diciamo che la serata ha corrisposto alle attese e, visto che si attendeva Ponza in Tavola da ben tre anni, è stata una serata con i fiocchi.
Tanti gli stand con pietanze tradizionali ponzesi, dalla zuppa di lenticchie alla favetta, dalla melanzana in parmigiana o fatta ad involtino, dal calamaretto imbottito alle alici impanate e fritte, dalle ciambelle e zeppole alle crostate con marmellate locali, al casatiello.
La coda era lunga per cambiare gli euro in tornesi necessari per l’acquisto.
Ma perché, chiedeva una turista in fila, in tornesi?
L’ha capito leggendo il cartellone posto all’ingresso. Era riportata la storia della colonizzazione di Ponza avvenuta nel 1734 per volontà del re Carlo di Borbone ed il tornese era una moneta napoletana fin dal XV secolo.
La serata aveva lo sfondo storico dell’età borbonica con guardie in divisa ed armatura del tempo e cuoche con l’abbigliamento ottocentesco, ma c’era anche la bancarella neo borbonica con testi specifici, stemmi e bandiere.
Tutti gli stand avevano acquirenti in fila, desiderosi di provare i sapori di Ponza e, bisogna dire, a prezzi abbastanza convenienti.
Ai tre lunghissimi tavoli si sono avvicendate molte persone e la serata sembrava rimanere ornata del semplice festoso cicaleccio proprio delle sagre, quando verso le 22 ha iniziato ad esibirsi il gruppo Ballaranta.
Allora è cambiata veramente la musica, come si dice, e il repertorio ha attinto ai canti popolari del Regno delle due Sicilie.
Non poteva mancare il Canto dei sanfedisti, i combattenti antigiacobini guidati dal cardinale Ruffo che rovesciarono la Repubblica partenopea nel 1799, come non potevano mancare i canti dei briganti che combatterono contro i piemontesi sentiti come occupanti vessatori e, a volte, feroci, dopo la caduta dei Borbone e l’unificazione dell’Italia.
Ma sono stati i pezzi di musica ritmata a coinvolgere emotivamente e, quando la cantante è scesa dal palco per ballare, una varietà di persone si è unita a lei nel passo della tarantella calabrese, del saltarello ciociaro e della pizzica salentina.
Calacaparra ha vissuto un altro momento collettivo gradevole e, se si esclude il nostalgico spirito neoborbonico, ci si augura una ripetizione dell’evento per la prossima estate.
Per il momento bisogna ringraziare gli organizzatori che in breve tempo sono riusciti nell’ardua impresa profondendo impegno e fatica.
Bravi! Siete stati veramente bravi!
Alessandro Romano
29 Agosto 2017 at 22:52
Gentile Rosanna,
ottimo resoconto di un evento veramente eccezionale sia per organizzazione che per partecipazione e gradimento. Tuttavia, mai per polemica, ma giusto per capire, cosa intendi dire quando nella tua nota auspichi una riedizione dell’evento per la prossima estate “se si esclude il nostalgico spirito neoborbonico”?
Si è nostalgici di un periodo storico quando si è vissuta quell’epoca. Ciò detto non mi sembra che nessuno degli organizzatori raggiunga i 155 anni di età, tanta è la distanza che ci divide dall’era borbonica. Per quanto riguarda il termine “neo-borbonico” in effetti esso è un neologismo che fa riferimento ad un’associazione culturale ultraventennale che tra i suoi fini non ha nel modo più assoluto obiettivi politici (partitici), ma solo ed esclusivamente il recupero della storia meridionale attraverso la rigorosa ricerca documentale e la sua diffusione con ogni mezzo, compreso le rappresentazioni sceniche e teatrali.
Pertanto, tutto ciò premesso, traendo le conclusioni, dell’evento “Ponza in Tavola” tutto andrebbe bene meno che la nostra storia con i suoi costumi ed i suoi simboli solo perché borbonici?
Nella prospettiva di un lungo inverno, al fine di aggiornare il nostro sapere, il mio auspicio è che Ponza Racconta si faccia promotrice di una conferenza a più voci sul periodo borbonico, con l’ausilio di documenti e con un magnifico dibattito finale.
Grazie.
Sandro Romano
Rosanna Conte
30 Agosto 2017 at 20:28
Come ben compreso da Sandro Romano, non è assolutamente messo in questione il richiamo alle radici storiche dei ponzesi con le loro tradizioni culturali e culinarie. Il problema si pone, come si dice, sul fil di lana e credo che, giustamente, la proposta di un convegno a più voci possa portare chiarimenti su una diatriba che rischia di impantanarci in sterili polemiche, perché sappiamo tutti come sia stata dolorosa per il sud l’unità d’Italia e quale comportamento feroce sia stato quello usato dai Savoia verso gli abitanti del Regno delle due Sicilie. D’altro canto assistere a scene nel centro storico di Napoli dove l’ultimo erede dei Borbone viene acclamato con “Viva ‘o rre” e sentire che si distribuiscono tuttora titoli nobiliari, lascia perplessi, considerati i cambiamenti che hanno sconvolto la nostra società nonché la conquista di una Costituzione repubblicana al prezzo di tanto sangue versato.
Ecco, solo dei distinguo che è giusto fare. Pensiamoci seriamente ad un Convegno.