Enzo Gragnaniello
Devo riuscire a dire dello stile di Gragnaniello e del suo concerto ieri sera, 25 agosto, a Calacaparra.
Beh … non devo, bensì voglio. Nessuno me lo ha imposto e nemmeno chiesto, ma io sono andato a Le Forna e alle 22,30 ero sul piazzale per ascoltare Gragnaniello. La sedia l’ha prestata gentilmente Silverio, il figlio di Angelino, dell’omonimo ristorante.
Bellissima serata, arieggiata al punto giusto, col solo disturbo dei bambini che giocavano rumorosamente vicino al palco. I bambini facevano quello che la natura loro suggeriva ma ai genitori l’educazione non ha suggerito che non è corretto disturbare chi cerca di dar loro diletto. Impareranno, forse.
Gragnaniello è un animale musicale. Il concerto non ha uno straccio di presentazione. Ristretto tutto nei brani che presenta. Ristretto anche nella band: batteria, basso, mandolino elettrico e lui, voce e chitarra.
Perno attorno a cui ruota tutto è il mandolino. Suonato con scioltezza e partecipazione e anche con sapienza di regia perché da esso traeva pianoforte, trombe e violini. Tutto.
Gragnaniello. In parte è la sua voce. Roca, rude, graffiante. In parte è il suo approccio alla canzone. Jazzato e sentimentale insieme. Lontano dal melenso dei cantanti neomelodici. Nel repertorio classico napoletano è essenziale, e in quello di sua composizione è popolare. Canta l’amore della gente comune, i problemi della gente comune, canta i sentimenti della gente comune. Ha due poli: il sole e il mare.
Gragnaniello non rinnega la provenienza popolare e dialettale. E’ per questo che ho apprezzato anche le canzoni dei suoi album, che non conoscevo e che ho trovato piacevoli.
C’è sempre un mix di jazz su un vassoio di melodia dal sapore partenopeo.
E noi, noi Ponzesi dico, siamo partenopei. Con orgoglio.