di Francesco De Luca
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La canzone napoletana va cantata o interpretata? Il 10 agosto, al termine dell’esibizione di Peppe Servillo & Solis String Quartet ci siamo messi ad imbeccarci io e un amico. Perché vogliamo far prevalere il giudizio. Ossia la mente. Su che cosa? Sul cuore. Sul sentimento. E così andiamo a improvvisarci critici rigorosi, intenditori avveduti e tralasciamo… cosa? Tralasciamo il fatto che, mentre in cielo le meteore si rifiutavano di divenire visibili, dietro la Caletta, ci siamo beati di una prestazione canora piacevolissima.
Il Quartet è formato da archi, l’arrangiamento delle canzoni è moderno e in direzione opposta al melenso con cui si propina di solito la canzone napoletana. Lui, Peppe, è un cantante atipico. Senza eccellente voce, ma con ironia, con padronanza scenica, con carica personalissima.
Ha cantato o ha interpretato? N’ ata vota mo… non mi interessa. Noi del pubblico abbiamo goduto molto, abbiamo apprezzato.
La canzone che, per me, meglio ha coniugato la melodia e il sentimento del testo e l’arrangiamento dissacrante degli archi (per l’occasione divenuti strumenti pizzicati) con la voce di Servillo è stata, per me ripeto, Scalinatella.
Le nostre grariate, le nostre discese sconnesse, corse o centellinate, col pensiero dietro ad un amore in gonnella. Riottosa e disponibile, pronta e dispettosa, che colma e desola.