di Francesco De Luca
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per la seconda parte: (leggi qui)
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Una domenica, come sempre andarono in chiesa, e il prete nel fervore della predica sottolineò che la forza della preghiera consiste nel credere fortemente in ciò che si chiede.
Civita e Chiara, esse, ci credevano in quello che chiedevano ma la loro voce sembrava non arrivasse in cielo.
Civita ebbe un’idea “Se non possiamo servirci della chiesa per le nostre preghiere dovremo trovare un altro posto. Eppoi anche un giorno dell’anno che sia adatto”.
Chiara non capiva. “Noi dobbiamo scegliere un giorno in cui il Signore è più favorevole ad ascoltarci. Quale? Il giorno dello sposalizio fra la Madonna e san Giuseppe! Ricade il 23 gennaio. Il calendario in quella data ricorda l’avvenimento e noi allora ci rivolgeremo al Signore ”.
“Sì, va bene – seguiva Chiara – ma dove andiamo a fare questo voto?”.
“Brava, hai detto bene – rincalzò Civita – andremo a consumare un voto, come se fosse a Monte Vergine”.
“Ma dove?” – riprese Chiara.
“Allo scoglio del caciocavallo”.
“E che ci azzecca il caciocavallo con la preghiera per il matrimonio?” – chiese Chiara, disorientata.
“Ci azzecca, ci azzecca – continuò l’amica – quello scoglio è Dio che l’ha messo là, e se gli ha dato quella forma qualcosa voleva pure significare. Noi attraverso la sua intercessione ci appelliamo a Dio; lui, certe cose le capisce. A noi quella grazia ce la deve fare, e noi gliela chiediamo chiaramente, senza tante parole.
Faremo così: all’imbrunire andremo vicino al caciocavallo e lo toccheremo“.
“Solo questo?” – si stupì Chiara.
“Solo questo – riprese l’altra. Se la nostra intenzione è forte santo caciocavallo ci esaudirà”.
Il dettaglio del pellegrinaggio, le preghiere della cerimonia e l’esecuzione del rito furono oggetto di discussione accorata. Finché non venne gennaio.
Di solito quel mese non favorisce le sortite in barca. E’ vero che a loro occorreva percorrere un centinaio di metri, dalla spiaggia allo scoglio, ma se c’è il levante anche quel breve tratto è interdetto. Giorno 23 c’era un po’ di maretta ma non spirava il levante. Verso le cinque del pomeriggio, quando nessuno c’era in giro perché il sole aveva ceduto alle ombre, Civita e Chiara dalla marina di santa Maria calarono in acqua il canotto.
S’erano liberate da ogni incombenza domestica e avevano costruito di bugie un impegno che dovevano necessariamente assolvere.
Arrivarono al caciocavallo. Mentre una con i remi reggeva il mare l’altra, ripetendo a mo’ di giaculatoria certe orazioni suggerite da Nannina, la più devota fra le comari, toccava il caciocavallo, come a lisciarlo. A turno. Anzi, Civita, in un raptus di fervore, lo baciò. Poi via.
Una processione scarna, una cerimonia breve, una intensa e densa partecipazione. Lo scoglio, freddo e altero, scuro nello scuro della sera, non rimandava a nessun intervento sovrumano; al contrario, riaffermava come roccia la supremazia della carne sullo spirito.
Ciò avvenne nel gennaio 1786. La data è impressa nella memoria storica perché quell’anno l’arcipelago fu visitato da un illustre naturalista. Deodat de Dolomieu, incuriosito dai resoconti di monsieur le Chevalier de Hamilton, durante il suo viaggio di studi in Italia, dirottò sulle isole ponziane per verificarne la natura geologica.
Vi approdò nel mese di marzo di quell’anno e, a due mesi di distanza, ancora in paese si sparlava delle due svergognate e del loro dissennato rito.
Il naturalista francese aveva altro per la mente ma non poté sottrarsi agli sfoghi del padrone di casa, e più di lui, della moglie che rampognava contro le due empie. Quando, con l’aiuto di Lespelliere, capì l’accaduto volle andare a vedere personalmente lo scoglio dell’infamia. La conformazione della roccia non l’interessò giacché non ne fa menzione nel libro pubblicato in seguito al viaggio: Memoire sur les iles Ponces (Paris 1788), ma la stranezza dell’accaduto non poté non essere recepita da uno spirito tanto acuto e ricettivo delle novità.
Oggi quel rito non viene più nascostamente officiato, né palesemente.
Il caciocavallo ha pure modificato la sua forma, ormai non più allusiva. Ancora nei primi decenni del novecento però qualche cronista è stato testimone dell’ufficio lì praticato il 23 gennaio dalle ragazze da marito.
Ad ogni buon conto Chiara Migliaccio l’anno dopo si sposò e subito dopo Civita convolò a nozze con Vincenzo Scotti. E questa è verità.
[La nostra storia di ieri. ‘U Casecavallo.3 – Fine]