L’estate scorsa, ero ospite a pranzo da amici a Le Forna; al momento della frutta, ecco che mi vedo servire dei “fichi d’india”, sbucciati freschi di frigorifero. Un sapore delizioso, deciso e unico. Alla domanda se fossero del loro giardino, una risposta laconica e fredda: “Vengono dalla Sicilia”.
Ma come, con tutti quei fichi d’india in giro per l’isola, devono arrivare sulla tavola dei ponzesi fichi d’india dalla Sicilia?
Ecco una nuova attività da “inventarsi” sull’amato scoglio: far sì che i “fichi d’india” che nascono spontaneamente a Ponza, possano diventare un articolo da usare e da offrire ai visitatori e ai locali; preparare i “fichi d’india” per tempo, offrirli e trarne quel giusto ricavo correlato alla loro degustazione.
Non credo che sull’amato scoglio possano esistere dei problemi riguardo il reperimento di questi frutti “spontanei”, né voglio pensare che si potrebbe intentare una causa con il vicino per una pianta di “fichi d’india”.
Se, negli anni ‘50 con barche a remi e a vela, si andavano a vendere i “fichi d’india” di Ventotene a Torre del Greco (leggi qui l’articolo di Antonio Impagliazzo), con molto meno dispendio di energie si potranno vendere i “fichi d’india” ponzesi a tutti i turisti ed agli stanziali che riapprezzeranno sapori dimenticati, con buona sorte delle piante abbandonate al loro destino.
Come tutte le imprese, sarà necessario il lavoro ( il Lavoro, in Fisica, è un concetto che si esprime con: Lavoro = Forza x Spostamento), per cui bisognerà alzare le “chiappe” con l’intento di ricavare quel giusto, che non permetterà di programmare “la settimana bianca” o “vacanze all’estero”, ma che comporterà soddisfazione e credibilità nella applicazione di buon senso e di inventiva.
Nel rispetto dell’ambiente che ci ama e che aspetta da noi sempre una carezza, piccola che sia.
E non è finita qui.