Ambrosino Vincenzo

Il Re è morto, viva il Re!

di Vincenzo Ambrosino
no-alla-riforma-costituzionale

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Vi ricordate la mia dichiarazione di voto alla vigilia del referendum? “Io voto con convinzione per il NO ma spero che vinca il SI!”
Infatti il No ha vinto e non sono contento.
Non riesco a capire perché la minoranza PD sia contenta di questo risultato: un partito che esce spaccato e molto indebolito, con la sinistra interna che non può che frenare sulle elezioni anticipate per cui si appella al capo dello Stato per prendere tempo nel tentativo di trovare un minimo di strategia politica.
Ma Renzi si tiene la segreteria del partito e si illude ancora di dettare gli ordini: “Elezioni anticipate e congresso del PD”. Nei due casi la minoranza PD sarebbe spiazzata”.
Renzi minaccia, come “un cinghiale ferito” ma non credo che voglia di nuovo, dopo la sconfitta, rifare altre gare: lui vuole mettere a capo del governo un Suo uomo per manovrare il manovrabile sperando in tempi migliori.
Posso capire il sarcasmo della vecchia volpe mai doma, D’Alema, “il maestro della presunzione” che è stato il primo a scendere in campo, in questo referendum, contro il “neo presuntuoso” Renzi, e oggi si sta godendo la rivincita. Ma al di là delle questioni personali: che rimane agli italiani dopo questo referendum? Niente!
D’Alema ha presieduto anni fa la bicamerale, ha dialogato con Berlusconi – allora leader indiscusso del centro-destra – e dopo mesi e mesi di incontri e dialoghi che cosa ha portato a casa, che cosa ha riformato nelle istituzioni italiane? Niente.
Oggi tutti parlano di centralità del parlamento – unica sede per fare le grandi riforme che servono all’Italia – ma nessuno le ha mai volute fare in quel parlamento, perché gli interessi di parte sono enormi.
Adesso, l’abbiamo sentito, tutti tirano per la giacchetta il presidente della Repubblica: “spetta a lui decidere i passaggi istituzionali per arrivare in parlamento a formulare una nuova legge elettorale che garantisca governabilità e garanzia di rappresentanza”.
– “Ecco le buone intenzioni quando si deve ripartire!” – Ma queste erano anche le basi di discussioni parlamentari alla vigilia di altre crisi di rappresentanza parlamentare che poi hanno portato solo a leggi elettorali come il porcellum e l’italicum che hanno prodotto il berlusconismo e il renzismo.

Non c’è speranza per gli italiani?
Renzi credeva di guidare una Ferrari invece guidava un autobus e pure di linea e su questo autobus vecchio e malandato non voleva fare salire gli anziani leader, non voleva fermarsi alle fermate obbligatorie al contrario si fermava solo alle fermate inventate dalla sua personalità politica e dettate dagli itinerari imposti dagli interessi economici di “oltre oceano”.
Solo per questo ho votato No al referendum di Renzi e non certo per le chiacchiere tattiche blaterate in questi mesi dal fronte del No!

E ora ci troviamo di fronte un enorme folla di vincitori che vediamo sorridere in TV! Da sinistra e libertà, ai dissidenti PD, Forza Italia, Lega Nord ecc. Hanno ucciso il nuovo autista e chiedono al Presidente della Repubblica di trovare un altro autista per continuare a girare a vuoto, nell’autobus scalcagnato – come in una gita turistica – a fare finta di litigare quando nelle strade incontrano disoccupati, emigranti, gente incazzata e infelice.
Un discorso a parte va fatto per i Cinque Stelle. Anch’essi hanno vinto le elezioni, anzi siccome sono il primo partito in Italia sono loro che hanno dato il contributo maggiore alla vittoria del Fronte del No. Questi, al contrario degli altri, chiedono di andare alle elezioni politiche senza alcun indugio.

Questa dei Cinque Stelle è una velleità dettata dal loro sistema di concepire l’azione politica: si deve arrivare al potere senza alcuna alleanza, senza mediazioni, senza inciuci! Gli altri sono il vecchio, rappresentano la partitocrazia, quindi Renzi, Berlusconi, D’Alema, Salvini e gli altri vanno mandati a casa, ma con quale legge elettorale?
Grillo e compagnia bella dicono di essere“oltre”, ma “oltre che cosa?”. Purtroppo sono anche “oltre” i cittadini che sperano in ogni tornata elettorale di trovare soluzioni ai loro problemi per questo si affidano a chi gli promette una speranza.
I Cinque Stelle dicono di avere una loro proposta per accelerare le procedure e arrivare al più presto al voto: “ci troviamo con due leggi elettorali tra Camera e Senato molto diverse. Alla Camera è l’Italicum. La nostra soluzione è applicare la stessa legge al Senato su base regionale.
È sufficiente aggiungere alcune righe di testo alla legge attuale per farlo e portarla in Parlamento per l’approvazione. Stiamo lavorando alla bozza che presenteremo in questi giorni. La legge recepirà in automatico le indicazioni della Consulta che si pronuncerà a breve. Dopo di che avremo una legge elettorale costituzionale pronta all’uso evitando mesi di discussioni e mercato delle vacche dei partiti.
La nostra soluzione e l’azione di controllo della consulta garantiscono l’approvazione di una legge costituzionale e al di sopra delle parti. I partiti farebbero solamente una legge peggiore per i cittadini e “Anticinquestellum”.
Voi ci credete che questa proposta sia al di sopra delle parti per cui possa essere accettata da Renzi, Berlusconi e Salvini?
Ho i miei dubbi per cui si continuerà a perdere tempo!

Ma io penso che l’alternativa dei Cinque stelle, che pure in questi anni ho seguito con simpatia, nasce monca: è un movimento nazionale, senza un’organizzazione chiara, senza collegamenti omogenei sia in campo europeo che a livello internazionale. In un mondo globalizzato, una politica forte non può che avere un “respiro internazionale”.
C’è da governare uno Stato che è inserito in un contesto europeo da cambiare e solo con una nuova Europa si può contribuire a cambiare le sorti degli uomini di questo pianeta. Bisogna combattere il liberismo e per farlo ci vuole una nuova visione del mondo sia in termini economici, che ambientali per cui sociali.

Questo Referendum non è servito a nessuno, solo a far rientrare nella scena politica D’Alema e a ridimensionare il rottamatore Renzi.

vignetta-di-natangelo

2 Comments

2 Comments

  1. Silverio Tomeo

    7 Dicembre 2016 at 08:24

    Mi permetto di aggiungere al dibattito questa mia riflessione:

    Popolo, Costituzione, crisi della democrazia

    Neppure un referendum è un pranzo di gala. Ha vinto la Costituzione, per la seconda volta dopo il primo serio tentativo di stravolgerla col premierato forte in salsa federalista, ed il 4 dicembre col tentativo di costituzionalizzare uno stato d’eccezione permanente. Il partito del NO non è mai esistito, né poteva esistere. Il partito del SI c’era, ed era il partito della Nazione, una forma politica inedita attorno all’ex premier ed a frange della destra ex berlusconiana. Il NO ha stravinto senza lasciare equivoci in campo. Solo il tarlo politicista vede un partito del NO, prende sul serio le rivendicazioni partitiche del NO, abbagliato dal riflesso distorto di una campagna elettorale che diventava via via un’onda psicopatologica di narcisismi, faziosità, conti da regolare, amici e nemici di comodo. Il tarlo politicista non ha voluto vedere, ed ancora non vede, il risveglio delle reti civiche, della società civile, delle ricombinazioni sociali, tutto quanto si è rimesso in moto nel Paese che si è voluto dividere. Ora dare un senso a questa vittoria significa consolidare una forma di patriottismo costituzionale a difesa del quadro democratico, costituzionale, antifascista.
    Il populismo dall’alto, il populismo istituzionale e governativo, non può che eccitare il populismo reattivo dal basso, e non se ne esce da questa dinamica, almeno non se ne esce facilmente. Per quanto sia da tematizzare ed aggiornare un termine concettuale come “populismo”, non si esce da questa dinamica perversa né con fantomatici “populismi di sinistra”, né immaginando che le larghe intese, i governi tecnici, il partito della Nazione come nuova entità di fatto, possano fare da argine al populismo di destra che è poi quello reale, in Europa e non solo. Solo una sana dinamica democratica, una dialettica virtuosa del conflitto sociale, una ripresa delle culture solidali e mutualistiche, possono in autonomia arginare le derive distruttive, le pulsioni razziste, l’individualismo neoliberale, le paranoie che non vedono le radici di classe della governamentalità come connessione di dispositivi di micro e macro poteri. Se nichilismo politico e populismo sono ormai la cifra, ma da anni, del discorso politico pubblico, andremo sguarniti di fronte alla crisi della democrazia che procede a rapidi passi, e nel panorama perdurante della crisi del capitale globale finanziario nelle sue performatività. La costruzione di nuovi spazi sociali e politici dovrà tenere conto di tutto questo, senza corto-circuiti, senza aporie teoriche, senza scambiare tendenze in atto alla postdemocrazia come realtà effettuali, senza negare le stesse aporie democratiche con la denegazione della democrazia in quanto tale come processualità, come procedure, come istituzioni e come quadro costituzionale. Non si dà democrazia senza democratizzazione, ma c’è chi ancora pensa che la democrazia sia un’invenzione borghese. C’è sempre chi nega che diritti politici, civili, sociali non debbano necessariamente stare assieme. C’è chi crede e vuol far credere che la democrazia possa fare a meno del conflitto. Ci sono poi anche le derive teoriche che, aizzate anche dal preoccupante quadro internazionale, vanno rapidamente verso approdi di strani rassemblamenti rosso-bruni, ma qui arriviamo alle aberrazioni. C’è sempre stato chi sa predire il futuro, sa come uscire dal capitalismo, sa con dovizia di particolari qual è il fine ultimo. Dopo crisi del 1929 c’era chi si prefigurava il crollo del capitalismo e la rivoluzione proletaria, invece ne uscì il nazifascismo in quasi tutta Europa e la II guerra mondiale.
    Chi ha concepito e proposto il referendum costituzionale come un plebiscito, come un’ordalia, come un giudizio di Dio, ne tragga sino in fondo le conseguenze e se ne prenda tutta intera la responsabilità. Il tappo è saltato, ma non del tutto. La situazione si è rimessa in movimento, si direbbe, gravida di rischi e derive senza approdi, ma senza diluvi e cavallette, per adesso. La passivizzazione delle masse, coltivata e vezzeggiata, non si è compiuta. Il futurismo marinettiano ha improntato la retorica pubblica (populista) della infausta macchina da guerra governativa (tanto più impropria sulla materia connettiva costituzionale), che va adesso smantellata e rottamata, con intelligenza del conflitto e comprensione della situazione reale.

  2. Pasquale Scarpati

    7 Dicembre 2016 at 09:07

    Promoveatur ut amoveatur
    Poiché su questo sito ho espresso la mia opinione prima del voto referendario mi sia consentito fare alcune pacate riflessioni sul suo esito.
    Ho letto ed ho sentito varie opinioni circa la larga vittoria del NO ma poco sull’ affluenza al voto del popolo.
    Come si giustifica una così alta (non altissima) affluenza al voto? Perché, invece, nelle ultime tornate elettorali l’affluenza è stata scarsa?
    A mio avviso tutto dipende dalla legge elettorale che, avendo liste diciamo” bloccate”, anche se parzialmente, non fa eleggere i rappresentati dei cittadini ma li fa nominare. Ogni cittadino, invece, deve sentire ed avere la convinzione di scegliere, attraverso le preferenze, il suo rappresentante. Costui, d’altra parte, proprio perché rappresenta ed è portavoce delle esigenze e delle aspettative del suo elettorato (che non è composto da poche persone ma può essere anche molto vasto) non ha il diritto di “cambiare casacca”. Se, pertanto, per un “accidenti” qualsiasi non è più in grado di farlo o di volerlo, dovrebbe dimettersi e lasciare il posto al primo dei non eletti della sua lista. Poi sarebbe auspicabile che, se non sia possibile diminuire il numero dei deputati e senatori, i collegi elettorali siano quanto più piccoli possibile in modo che il o i rappresentanti siano più radicati nella realtà locale. Ma lascio ciò agli esperti!

    La vittoria del NO è stata una vittoria “ trasversale”. Una vittoria che ha unito moltissime persone per i più svariati motivi. Ma è stata anche una vittoria di protesta. Il popolo, infatti, nelle ultime elezioni politiche ha disertato le urne perché sa che non riesce a far sentire a pieno la propria voce. Per questo molte volte, in alternativa, dà voce ad altre manifestazioni e/o, come si suol dire, ai “ populismi”. Nello stesso tempo chi ha il potere ha paura di perderlo e pertanto cerca tutti gli espedienti per arroccarsi. Ci vuole un po’ di coraggio da parte delle Istituzioni per spezzare questo cerchio malvagio: può essere anche un modo per sminuire le frange estremiste o i “populismi” nel senso dispregiativo del termine sia pur in questo contesto economico non proprio florido nel quale si sommano anche tanti altri problemi.

    L’attuale presidente del consiglio ha peccato di presunzione e di ingenuità politica. Di presunzione perché dopo l’indubbia vittoria per l’elezione del Presidente della Repubblica e dopo aver attuato alcune riforme credeva, da una parte, di aver liquidato buona parte degli avversari politici esterni e dall’altra di tenere in pugno le forze economiche e sociali, mettendo nell’angolo anche gli avversari politici interni al suo partito. La sua presunzione lo ha portato a fare una riforma non equilibrata con il risultato di unire tante forze anche le più disparate e contrapposte, facendo altresì risorgere anche coloro che in un primo momento erano stati messi all’angolo. Tutto questo, sommato al malcontento che oggi è più diffuso di prima a causa della crisi economica ma che, a onor del vero, è sempre esistito nei confronti di chi deve prendere decisioni, ha portato al rifiuto della riforma varata dal Parlamento ma proposta dal governo (spesso ci si dimentica che la nostra Nazione è una Repubblica parlamentare dove le leggi sono proposte dai Consiglio dei ministri ma devono, sottolineo devono, passare ed essere approvate dal Parlamento e che pertanto non si può incolpare il singolo ministro se una legge risulta sbagliata. Paradossalmente, però, lo stesso ministro viene incolpato anche da chi ha votato a suo favore!). L’ingenuità politica è stata quella di far approvare in Parlamento una siffatta riforma. Questa è passata (promoveatur) forse anche con l’appoggio, sotto banco, da parte di quelli che, in seguito, l’avrebbero osteggiata davanti al popolo con l’intento di spingere il Presidente del consiglio a rassegnare le dimissioni in caso di sconfitta (amoveatur). Cosa che puntualmente è avvenuta. In alternativa non si capisce perché i parlamentari, anche quelli della maggioranza, pur essendo i rappresentanti del popolo (quindi persone che dovrebbero stare vicino alla base), non abbiano avvertito che una siffatta riforma non era gradita alla maggioranza del popolo italiano e quindi l’avrebbero dovuta bocciare a priori.
    I vincitori esultano e ne fanno una questione politica, mentre i perdenti credono di avere nientemeno che il 40% dei voti. In realtà il voto politico è diverso dal voto referendario (ricordiamo, ad esempio, la legge sul divorzio). Poiché era messa in gioco la libertà dal momento che il potere si accentrava molto nelle mani di chi aveva la maggioranza, penso sia stato saggio respingere questa riforma.

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