I pomodori, le aragoste e gli altri pesci ‘salati’
dal libro di Ernesto Prudente: “Costumanze Antiche”
In agosto si passava alla provvista dei pomodori che venivano conservati sotto diversi aspetti a seconda dell’uso: conserva, passato, pomodori a pezzi, al naturale.
Ad eccezione di quelli da conservare al naturale legandoli per i peduncoli a grappoli e appesi, i pomodori venivano lavati, tagliati a pezzi in una “scafaréje”, conca di terracotta, cosparsi di sale e messi al sole ad asciugare per alcuni giorni.
Per fare la conserva, cioè l’estratto, ed il passato, i pomodori venivano setacciati ed il sugo, per la conserva, veniva messo in grossi piatti da portata, appositamente usati, che venivano posti al sole, dal mattino alla sera, per diversi giorni, fino all’evaporazione totale dell’acqua.
In ogni piatto venivano messe foglie di basilico. Con un cucchiaio di legno si provvedeva a girare per favorire la condensazione.
I piatti venivano ricoperti con un velo per evitare il contatto delle mosche.
Quando la conserva si era rassodata ed aveva assunto un colore rosso-bruno tendente al nerastro veniva tolta dai piatti e messa in pentole o barattoli di terracotta. Un ciuffo di basilico non mancava mai su ogni recipiente che poi veniva coperto.
Il sugo per il passato veniva messo in bottiglie, sempre accompagnato dal ciuffo di basilico, che venivano tappate con una apposita macchinetta. Il tappo, che era stato sottoposto a bollitura, veniva legato a croce in modo che non potesse sollevarsi dal collo della bottiglia.
Le bottiglie, avvolte in stracci di iuta, venivano sottoposte a bollitura per 20-30 minuti.
Per tirarle fuori bisognava attendere il raffreddamento dell’acqua.
Ogni bottiglia veniva riposta, asciugata, in un luogo fresco e arieggiato.
Per i pomodori a pezzi, il cui impiego era vario, una volta tagliati in quattro parti, si toglievano i semi e, con l’aiuto di una cannuccia, si infilavano in una bottiglia. Ad operazione ultimata vi si introduceva il regolamentare ciuffo di basilico.
Questo tipo di preparato era usato principalmente per quelle pietanze dove si rende necessario il pomodoro con la scorza, la pizzaiola.
Anche queste bottiglie, regolarmente tappate come quelle per il passato, seguivano la stessa sorte nella bollitura.
Un altro tipo di provvista, riservata solo a determinate famiglie di pescatori, era quella del pesce salato. A ciò provvedevano i pescatori che si recavano lontano da Ponza per la pesca delle aragoste.
Essi vivevano lungo le coste, in cale o spiagge, lontano dai centri abitati per cui gli era difficile, se non impossibile, raggiungere giornalmente i luoghi di mercato anche perché rientravano dalla pesca nel tardo pomeriggio. Appena giunti nel luogo di stazionamento provvedevano a mettere nel “marruffe”, nassa particolare che fungeva da deposito, le aragoste che avevano pescate. Prima di introdurle, però, ispezionavano quelle che i marruffe contenevano. Le morte e quelle che “lampiavene”, agonizzavano, venivano tolte. Erano sempre tante. Era merce deperibile e, per non buttarle, le essiccavano.
Spezzavano l’aragosta prendendo la parte codale, quella contenente la massa carnosa, la mettevano in un tino contenente acqua di mare e sale. Dopo 48 ore di stagionatura in questa salamoia le lavavano in acqua di mare e le mettevano al sole ad essiccare avendo cura di togliere lo scudo protettivo.
Una volta secche le mettevano in sacchi di iuta che depositavano in luoghi asciutti e arieggiati.
Con le aragoste salavano ed essiccavano anche diverse qualità di pesce.
Ogni gozzo, al rientro dalla stagione di pesca, portava sacchi e sacchi di pesce secco che veniva diviso tra l’equipaggio e distribuito anche alla parentela. Per cucinarlo veniva messo a bagno per alcuni giorni come si fa per lo stocco.
Altro pesce che veniva conservato sotto sale erano le sarde.
Esse venivano scapate, lavate con acqua di mare e messe in un tino dove venivano cosparse di sale e vi restavano per 24 ore.
Poi si disponevano una accanto all’altra in un recipiente di terracotta dal diametro di 20-25 cm. Fatta la fila la si copriva con uno strato di sale e così fino a riempire il barattolo che veniva coperto da un legno circolare il cui diametro era di poco inferiore a quello del barattolo e su di esso si disponeva un peso da pressare le sarde per fare uscire il “sanguàcce”.
Stabilire il peso sul coperchio è cosa importante perché un peso leggero non consente la fuoriuscita del sanguàcce mentre un peso eccessivo le prosciuga troppo facendole diventare immangiabili.
L’alice, per quanto riguarda la pesca nei mari di Ponza, è stata scoperta dopo la seconda guerra mondiale, negli anni 50.
Negli anni 70 la marineria peschereccia isolana ebbe un incremento sbalorditivo. Diventò, dall’Elba a Napoli, la più importante del Tirreno.
Le alici seguono lo stesso trattamento che si usava per le sarde.
In tutte le case di Ponza vi sono barattoli di alici salate.
Un eccellente antipasto: dissalare le alici, spinarle e disporle, allineate, in diverse file in un piatto di portata. Condirle con olio, aglio tritato e peperoncino. Un ciuffo di menta è la cornice di un meraviglioso quadro.
In alcune case si preparava anche il pesce sott’olio. Una usanza che non ha seguito la via della distruzione ma che è andata rafforzandosi. Una volta sott’olio si mettevano i lacerti e i castardelli che privati della testa e delle interiora si lessavano in un miscuglio di 80 grammi di sale per ogni litro di acqua. La bollitura era di tre ore. Una volta raffreddato il pesce veniva spinato e messo ad asciugare. Successivamente veniva messo in barattoli di vetro e coperto di olio.
Oggi, con la stessa procedura si fa il tonno o l’alalunga. C’è però una giunta: i barattoli, una volta tappati, vengono messi a bagnomaria. Si conservano per anni.
Ernesto Prudente