di Silverio Lamonica
Stamane, entrando in una pescheria dell’isola, dove sono solito fornirmi di ottimi prodotti ittici, ho notato un dattiloscritto appiccicato sulla porta di ingresso; si tratta di un appello di numerosi genitori degli studenti isolani per reperire fondi, al fine di inoltrare un ricorso contro la chiusura di due plessi scolastici. Da uomo di scuola, quale sempre mi ritengo, sia pure in pensione, non posso esimermi dal manifestare alcune riflessioni:
1) Un accorpamento, se non vado errato, riguarda la scuola dell’infanzia, o scuola materna, come la si vuol chiamare, che accoglie i bambini dai 3 ai 6 anni. Si prevede che ce ne sarà una soltanto a S. Maria. Quindi i genitori di Le Forna dovrebbero portare i propri figli nel plesso di Santa Maria, distante cinque – sei chilometri.
2) L’altro accorpamento riguarderebbe la scuola primaria (o elementare) che accoglie gli alunni dai sei ai dieci anni, che dovrebbero essere ospitati tutti a Ponza. Sappiamo benissimo che a Santa Maria c’è il tempo pieno, cioè gli alunni stanno a scuola dalle 8,30 alle ore 16, mentre alla Centrale, Via Parata, i bambini effettuano un orario diverso senza mensa. Poiché anche le classi verranno accorpate e ridotte probabilmente a cinque, quale sarà l’orario che dovrà prevalere? Immagino il secondo, perché più consono al “contenimento della spesa pubblica” (torneremo anche su tale argomento, tanto caro ai nostri attuali ‘governanti’).
3) Orbene, una situazione del genere prevede di conseguenza il trasporto degli alunni. Essendo il trasporto un servizio a domanda, è chiaro che esso dovrà gravare sui genitori, come, immagino già pesi sulle famiglie il costo del trasporto degli alunni di scuola media (scuola dell’obbligo anch’essa) che da Ponza già devono recarsi a Le Forna. Tale spesa sarà aggiuntiva per i genitori dei bambini di Le Forna che, oltre alla mensa per la scuola materna, dovranno pagare anche il trasporto. Hanno voglia i nostri onorevoli ministri a sbraitare: “Non metteremo mai le mani nelle tasche degli italiani!” Ma si sa, Ponza, come Palmarola, è una repubblica a sé (…e poi ci si lamenta che non si fanno più figli!).
Quindi la protesta dei genitori è sacrosanta, ma temo che non sarà facile per loro spuntarla, poiché tali misure restrittive entrano in un piano organico del governo, previsto dalla legge di bilancio dello Stato, approvata dal Parlamento e che non tiene in nessun conto, come ai tempi di Quintino Sella, la realtà delle piccole isole e dei comuni di montagna (vedi a proposito il mio articolo su questo sito: “Ponza nell’Italia post-unitaria – Il domicilio coatto”. Leggi qui).
Con questo non intendo scoraggiare i genitori dei ragazzi di Ponza, i quali spesso, purtroppo, sono costretti a lasciare l’isola per farli studiare in “terraferma”. Allora cosa fare?
Io proporrei, entro la fine del mese, una riunione tra dirigente scolastico pro tempore, amministrazione comunale, rappresentanti del mondo imprenditoriale che operano a Ponza, estimatori dell’isola che hanno qui le loro dimore dove trascorrono le vacanze, in modo che – sulla scorta di quanto ho precisato e su altre considerazioni – si possa mettere a punto un progetto organico di interventi, anche economici, per potenziare ulteriormente l’offerta formativa ed i servizi connessi al buon funzionamento della scuola isolana. Del resto è noto che già alcuni di loro si sono resi promotori di lodevoli iniziative, una per tutte cito il “premio Caletta”.
Spero che l’attuale amministrazione comunale, prima responsabile del buon funzionamento del servizio scolastico, approvi l’idea e si renda promotrice dell’iniziativa, ben consapevole che investire sui giovani è la cosa migliore da fare: riguarda il nostro futuro.
Silverio Lamonica