Sul reportage ‘in progress’ di Paolo Rumiz su ‘Repubblica’
segnalato da Sandro Russo
Da domenica scorsa 31 luglio e per tutto agosto Paolo Rumiz racconta su ‘Repubblica’ di “città morte, fabbriche dismesse, ferrovie e miniere abbandonate, relitti di terra o di mare”.
Conosciamo (e apprezziamo) Rumiz da molto tempo; lo abbiamo seguito in molti dei suoi viaggi: attraverso l’Europa dell’Est, a Trieste a Istanbul in bicicletta con gli amici Tullio Altan e Emilio Rigatti (2001); nel suo giro dell’Italia in treno (sempre con Altan e con l’attore Marco Paolini (2002) e degli Appennini con una Topolino (2006); per 7000 Km dall’Artico al Mediterraneo (2008); attraverso i luoghi del Risorgimento per raccontare l’epopea garibaldina (2011) …E in molte altre delle sue peregrinazioni.
Il ‘viaggio’ di Paolo Rumiz è una delle ricorrenze dell’estate che ci fa piacere ritrovare.
La vignetta di Altan per il reportage di Paolo Rumiz (Da Repubblica)
Siamo affascinati dal progetto di quest’anno, dagli scenari e dal modo in cui lui stesso li propone, dalle pagine di ‘Repubblica’ (di domenica 31/7) :
“…la febbre dei luoghi abbandonati mi prese davvero solo quando conobbi Paolo Vittone, un innamorato dei fari. Era un collega milanese di Radio Popolare, di quindici anni più giovane, con cui avevo vissuto la guerra in Bosnia. Già allora, a Sarajevo, mi aveva parlato di rovine. Le chiamava “dimore del vento” e mi aveva svelato un mondo di fortezze, stazioni, fabbriche, ville nobiliari, miniere e relitti sui fondali. L’Italia era piena di posti così, diceva, e si sarebbero dovuti inventariare per costruire una carta geografica speciale. “Mlp” la chiamava, mappa dei luoghi perduti.
I fari, dicevo. Ne cercava uno abbandonato per vivere, e invece ne trovò uno solo per morire. Un faro in funzione, nella mia Trieste, con una casa accanto. Non esattamente quello che cercava, ma era pur sempre un’altana dove spalancare le imposte sul mare. Si era gravemente ammalato. Negli ultimi mesi parlammo tantissimo e lui, guardandomi con occhi febbrili, spesso evocava luoghi perduti. Tonnare, manicomi, impianti idroelettrici. Fabbriche, catacombe, strade e ferrovie. Diceva che le rovine erano mille volte più vive degli ipermercati (…)
(…) Mi lasciò vecchi libri di storia e marineria, e in uno di questi – “Agenti segreti di Venezia” a cura di Giovanni Comisso – trovai mesi dopo una mappa d’Italia disegnata a mano. Era chiaramente un primo abbozzo della mitica “Mlp”. Indicava una trentina di luoghi con formule allusive o metaforiche. A Nordest della Sardegna, tra Caprera e Maddalena, aveva annotato “Fortezza Bastiani”. Sopra Avellino c’era un’ancor più misteriosa “Cresta del Drago”. In mezzo alla pianura padana stava scritto infine “Professor Nebbia”. Da perderci la testa.
Non seppi mai se l’avesse fatto apposta. Fatto sta che da allora non ebbi pace. Portai sempre la mappa con me nei viaggi di lavoro, e questa si arricchì talmente che ne generò un’altra, più grande e completa. Ma lo spazio non bastava mai perché ovunque andassi trovavo indicazione di altre grandiose, insospettabili e sconosciute rovine. I miei viaggi si riempirono di una geografia parallela. Paolo aveva ragione. L’inventario era sterminato e la mappa, come in un racconto di Borges, sembrava disegnare il volto di qualcuno.
(…) Fu allora che mi munii di taccuino e partii a caccia dei luoghi abbandonati d’Italia. La nostra storia. E questo che segue, più che un viaggio, è il rapporto di una malattia che dura da tanto, la mia. Uno zibaldone di scoperte fatte in tempi diversi dall’estate del 2009, ma allineate geograficamente per non disorientare il lettore. Fari, miniere, passi alpini, fortezze, strade, ferrovie, stazioni, fattorie, depositi di scorie atomiche, dighe. Rovine benefiche o sinistre. Abitate da epopee o da storie nere. Case degli spiriti dove talvolta ho provato brividi di paura, ma più spesso serenità, specie là dove madre natura si era ripresa il suo. (…)
E adesso che parlino le pietre muschiate e le ruggini gloriose. Che parlino i luoghi del vento, consumati dalla pioggia, dal sole o dal mare. I miserabili ruderi e i calcinacci sono cose mute, ma le rovine, perdio, hanno una voce sommessa e percepibile che anche un semplice restauro può spegnere. Per questo, quando ne varchiamo la soglia, il nostro silenzio ha più senso che altrove”.
Riporto le sue parole e ne parlo qui, su ponzaracconta, perché lo stesso sguardo spesso ha guidato le escursioni – mie e di molti di noi – per l’isola. Dove ne abbiamo di ‘case degli spiriti’ da visitare..! Dalle rovine del monastero e della casa di Zannone (di recente rievocati da Silverio Lamonica e Isidoro Feola), al Semaforo del monte Guardia, alle storie dei fari (del Faro della Guardia, attualmente in abbandono e rapido degrado sta scrivendo l’amico Enzo Di Fazio); alle dune bianche a agli edifici abbandonati della Miniera di bentonite delle Forna (…di cui riparleremo molto presto); o di epoca meno recente, la cava di tufo del Bagno Vecchio (Bagno = bagno penale) di cui sono ancora visibili i residui metallici della teleferica che portava il materiale da monte alla stazione a mare, per l’imbarco.
Sono peregrinazioni, nello spazio limitato della nostra isola e di quelle viciniori, che somigliano molto alle avventure e alle scoperte di Paolo Rumiz su orizzonti più vasti, in giro per l’Italia. Spesso anche le considerazioni e gli stati d’animo del suo andare suscitano echi nelle nostre esperienze. Perché a volte basta poco – un richiamo, un’immagine – e le cose si vedono in modo diverso….
Sandro Russo
Salvador Dalì: ‘Persistenza della memoria’ (1931), attualmente al Museum of Modern Art di New York