Crape
– capra s.f. Detto anche capria. Congegno manuale idoneo ad alzare grossi pesi.
Quando si parla di questo congegno mi ricordo una scommessa tra Maurino e Semiscotti padre, contadino e operaio.
Il Genio civile stava facendo dei lavori di sistemazione dello scala d’alaggio di fronte alla pescheria dell’Iscaiuole.
Dopo che, con l’ausilio del palombaro avevano sistemati gli sgrottamenti, misero una lastra di ferro per tutta la lunghezza dello scalo che, dal lato esterno, era tenuta da una serie di paletti di ferro.
Tra la lamiera e la banchina ci fu una colata di cemento. Finito il lavoro, si doveva smontare ogni cosa. Catello, il capo operaio responsabile, con la gru sistemata su una piattaforma tolse con facilità le lamiere ma quando attaccò i paletti i nodi si ingarbugliarono. Nel virare la gru affondava e i paletti non si smuovevano. Il buon Catello fece di tutto ma fu costretto alla resa. Mi trovavo all’inizio della balconata di Corso Pisacane con Maurino, Ninotto, Semiscotti, Gasparrino e Raffaele Morrone, ad assistere allo spettacolo. I commenti furono diversi e varii.
Ognuno di noi diceva la sua. E lì, con noi, c’era Maurino un marinaio, motorista, carpentiere, ingegnere, tanto la sua bravura. Semiscotti alzò il tono della voce, per imporre il silenzio agli altri, dicendo: “Je, c’u nu gjm pull, i lève int’a niénte”. Risata generale mentre Maurino, alto, grosso e possente, oltre che bonaccione, lo prese per il collo della camicia issandolo da terra e portandoselo faccia a faccia. Semiscotti era piccolino. “ me scummétte nu bottiglione i vine”, disse a Maurino e Maurino, lo depose a terra, accettando la scommessa.
Tutti sulla banchina. Maurino, conosciuto e stimato anche da Catello, gli disse di mettere a disposizione di Semiscotti gli attrezzi che, a suo dire, aveva bisogno per estirpare i paletti.
Chiese un tavolone, un palo, due sbirri, un paranco differenziale e qualche cimetta.
Sul tavolone che stese per terra poggiò verticalemente il paletto che venne tenuto dritto dai venti. Al paletto mise uno sbirro a bocca di lupo a cui agganciò il paranco. L’altro lato del bozzello venne agganciato all’altro sbirro che mise intorno al palo da estirpare. Quando ritenne che tutto fosse a posto incominciò ad azionare la catena del paranco che, come venne in forza, scatenò dal fondo il paletto, come un dentista bravo cava un dente.
Lavoro di minuti che proseguì per gli altri pali. Semiscotti raccolse, come era giusto, l’applauso generale e le congratulazioni del capozattera accompagnate dalle parole: “ Mè sarvate! M’è luvate a int’ a nu mare i uaje”.
Per quanto riguarda la scommessa del vino, ci portammo tutti, anch’io che ero e sono astemio, nella cantina di mondiale, dove alla passatella, ci giocammo un litro a testa. Semiscotti, sfortunato nel tocco, non assaggiò il vino.
Ernesto Prudente