di Pasquale Scarpati
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Con Pasquale ci chiamiamo “compare” (cumpa’!) dopo aver accertato che mio nonno Ciccillo Zecca era stato padrino di suo padre. Siamo stati bambini e poi ragazzini negli stessi anni a Ponza (ma io ci andavo solo l’estate); non ci siamo incontrati di recente e mi sembra di ricordarlo, ma forse solo per effetto delle foto che ho visto sul sito. Ma possiamo dire di conoscerci abbastanza, per la corrispondenza che intrattiene con molti di noi della redazione (…e anche questo è un ‘regalo’ del sito!).
L’altro giorno ha mandato un commento al mio ‘pezzo’ sulla Reggia di Caserta che per la sua articolazione (e per poterlo illustrare con le foto) abbiamo preferito pubblicare come articolo a se stante.
Ciao cumpa’..! Ammiriamo molto la tua vivida memoria e continuiamo a seguire con interesse le storie che ci mandi!
Sandro Russo
Caro compare
Adesso ti ci metti anche tu, come Luisa, a sfruguliare nei miei ricordi? E a farmi alzare presto la mattina? (ovviamente scherzo). Quello che faccio, lo faccio con piacere anche se mi alzo presto anche perché poi, durante il giorno, non è che abbia molto tempo né sono molto veloce nello scrivere; piuttosto faccio molti errori di battitura.
A Caserta ho fatto il Collegio alla fine degli anni ’50 ed inizi degli anni ’60, e poi ci ho anche prestato servizio militare (nella “Caserma Amico”). Pertanto Caserta la considero un po’ come la mia terza patria
Comunque a proposito del tuo pezzo sulla reggia di Caserta mi sovviene:
quando uscivamo dal “recinto” (collegio) una volta a settimana (il mercoledì, alle medie ed il giovedì al ginnasio) ci portavano per posti piuttosto solitari: o lungo il vialone delimitato da alti platani che correvano da Caserta a S. Nicola La Strada o verso Casagiove che allora era un po’ separata dalla città, o nel parco della reggia (quasi mai nelle stanze e, chissà perché, mai per le strade della città).
Lì, vestiti con la “divisa” – abito blu con camicia bianca e cravatta: quella, se ricordi, con il nodo finto o per meglio dire con la molla e quante volte facevamo gli scherzi tirandola all’improvviso a qualche compagno! …e stemma in ottone del Santo posto nell’occhiello del bavero sinistro della giacca – ci lasciavano andare in gruppo.
Circondati dalle Muse ci avviavamo verso la grande vasca.
L’acqua che sgorgava dalla bocca dei delfini, era così abbondante che il rumore si sentiva già prima della vasca stessa. In genere salivamo sul lato destro per giungere al cosiddetto “bagno di Diana” – non morte di Atteone …e poi dicono che gli uomini hanno la prevalenza sulle donne! …mi piace scherzare o ironizzare sul rapporto uomo-donna e sulla presunta “debolezza” del “gentil sesso” – e lì mi soffermavo a guardare (oltre, ovviamente, alle forme femminili) lo scroscio dell’acqua che veniva giù dalle cascate molto copiosa, avvolgendosi e formando salti per poi andare a morire nella vasca.
Quella macchia bianca che si vedeva in fondo, non appena oltrepassato il cancello d’ingresso, fissa come in una cartolina illustrata, prendeva vita. Ciò suscitava in me sempre un po’ di stupore forse perché l’immaginavo immobile, così come la vedevo da laggiù.
Poi scendevamo dal lato opposto.
Dopo tanti anni ad un certo punto le fontane furono prive di acqua. Si disse che era per la siccità, altri sussurravano invece, che l’acqua dell’acquedotto Carolino era captata in modo abusivo.
Che tristezza! Quelle statue non avevano alcun senso: vuote e morte. Sospese e fisse come quando si rimane bloccati negli arti per qualche accidente.
Da un po’ di tempo hanno ripreso a vivere ma l’acqua non è più copiosa come una volta e molti dei cosiddetti delfini – a me, avvezzo a vedere i veri delfini, sembravano piuttosto dei mostri – ne sono privi.
Comunque quello era il nostro percorso. A volte, invece di andare diritti verso su, piegavamo a sinistra dove c’è il laghetto con l’isola in mezzo.
Chissà perché era il posto che mi piaceva di più! Non rumori, ma silenzio che dava un senso di pace e serenità. Movimento placido dell’acqua, una vecchia barchetta concava attraccata ad un pontile, delle alghe e qualche cigno che ci veniva incontro “ ciurnuliandosi”. Immaginavo di andare sull’isolotto e scoprire…
Sopra, il laghetto e ‘le finte rovine; sotto: due esemplari di cigno reale – Ferdinando e Carolina – reintrodotti nella Peschiera grande del Parco nel 2015
Poi ci addentravamo nel bosco e lì incontravamo il “Castelluccio”; quella costruzione che serviva da trastullo per i principini Francesco I e Ferdinando II e poi anche per Francesco II.
Mai ci portarono nel giardino all’inglese. Dissero che era sempre chiuso o che l’orario non coincideva con la nostra passeggiata.
I più maliziosi pensarono che il divieto fosse dovuto al… “bagno di Venere” là dove la dea si presenta nuda. Altri tempi!