Ne stavo giusto parlando qualche giorno fa con un amico… non ponzese, ma come tanti rimasto affascinato da quest’isola al punto da tornare sempre più spesso, e sempre più in ‘bassa stagione’.
Il punto del nostro argomentare era la frase che sintetizza spesso le sensazioni che provano quelli che vengono a Ponza per la prima volta: “Le foto non rendono giustizia… c’è una bellezza che nessun video riesce a catturare”.
E’ il genius loci, di cui abbiamo parlato più volte di recente (per l’ultima, leggi qui).
Nullus enum focus sine genio est: non vi è luogo senza il suo genio.
Che non è uguale per tutti…
La magia della nostra isola si esprime nell’equilibrio tra l’ambiente naturale e la presenza umana.
C’è una sorta di continuità territoriale tra il porto borbonico progettato adattandolo alla morfologia della cala, le abitazioni in tufo dai colori pastello, gli orti di pomodori, legumi ed aromatiche che proseguono spontaneamente arrampicandosi sul pendio del Monte Guardia tra terrazzamenti e parracine.
E’ una continuità antica, che va oltre il tempo.
Il mio amico mi chiedeva perché alcune case in collina avessero il terrazzo all’interno, non a ‘vista mare’. Ho spiegato che il vista-mare è un’esigenza recente, turistica; che le vecchie case non hanno il terrazzo ma l’aia che doveva essere più protetta possibile dalle intemperie, dovendo ospitare i frutti del lavoro agricolo; che le cupole (quelle vere, non quelle posticce che si usa fare a volte oggi) servivano a raccogliere l’acqua piovana; che gli addobbi delle case non erano “i poster” ma i piénnul’ ‘i pummadòr’ o i fichi d’india da conservare per l’inverno.
Non ci sono canoni estetici a cui ascrivere il genius loci; è la proporzione, la funzionalità al mondo circoscritto a dare senso ed appartenenza a ciò che esiste.
E questo non lo si può vedere in una foto, perché mancano le dimensioni che possono essere conosciute solo dal vivo.
Nei luoghi in cui il genius loci è ancora riconoscibile, ciò che sfugge a questo equilibrio è percepibile come un corpo estraneo in un occhio, una ferita del territorio.
Nel bellissimo “E il giardino creò l’uomo” l’autore Marco Martella fa dire al narratore Jorn de Précy:
“Restano ancora in Occidente, dei luoghi incantati, abitati dall’invisibile. Talvolta basta una sola pietra per far nascere tutt’intorno un luogo vero, per raccontare una storia…
Spesso li si incontra per caso. Talvolta, di primo acchito ci deludono: sembrano abbandonati, trascurati, cosa che invariabilmente mette a disagio l’uomo civilizzato. Nella maggior parte dei casi non siamo molto edotti sulla storia del sito: entrandovi però, persino il razionalista più incallito comprende che non si tratta di un luogo neutro. E’ come se qualcosa della vita degli uomini e delle donne che lì hanno pregato, amato, sofferto e sognato avesse resistito allo scorrere del tempo, via via modificando il sito fino a farne ciò che è. Come se il luogo fosse un organismo vivente che ha messo in atto la propria metamorfosi sotto gli effetti del vento, del sole e del tempo che scorre.
Qualcosa, inscritta nelle forme visibili di questo luogo così particolare ci interroga. Le domande, naturalmente, non le comprendiamo più; sono formulate in una lingua che abbiamo dimenticato: non importa, la presenza che percepiamo risveglia qualcosa in noi. Ecco, ora lo sappiamo: ci troviamo in un luogo, un vero luogo”.
Naturalmente, il genius loci è sempre più difficile da rintracciare nel nostro mondo: in parte dipende dalla sensibilità del viaggiatore, in parte da quanto quel determinato luogo ha saputo conservare dello spirito originario.
Evidentemente la nostra isola, nonostante tutto, riesce ancora ad esprimere una sua essenza, ad essere cioè luogo e non centro commerciale, se le foto non rendono giustizia. Se cioè, non la si può ‘comprare’ on line, come un vestito o un accessorio per la casa.
Sarà sufficiente questo a preservare Ponza negli anni a venire?
Ovviamente no.
…Infatti Jorn de Précy incalza:
“…ahimè, la storia non può fermare la sua marcia irresistibile. Capita che torni sui suoi passi per cancellare ciò che aveva dimenticato nella fretta, segnatamente queste reliquie del passato, inutili ed un poco ingombranti. Così i veri luoghi scompaiono uno dopo l’altro insieme al loro mistero, alle storie che custodivano, al loro benedetto silenzio.
Se non vengono semplicemente distrutti, li si trasforma in “monumenti”. In questo caso, dopo essere stati restaurati in modo da sembrare più giocattoli che luoghi reali, diventano siti turistici. Niente più traccia del loro mistero, ma che importa? Finalmente servono a qualcosa: attrarre visitatori affamati di distrazioni.
I luoghi si ritrovano così trasformati in scenari dove il turista, cioè il povero erede di ciò che un tempo era il viaggiatore, inscena la propria capacità di meravigliarsi di fronte al mondo”.
Nessuna speranza, allora? Siamo destinati, ineluttabilmente, a diventare parte di un banale catalogo, in cui tutto è prezzato, in cui la massima aspirazione (e gratificazione!) sarà quella di scimmiottare (se ne saremo capaci, beninteso…) quello che il turista-antropologo si aspetta che dovremmo essere, ed essere per ciò corrisposti un tanto a chilo?
Forse no: l’uomo, per sua intima natura, non può perdere la speranza.
Ed infatti:
“Ci sono luoghi che sembrano resistere meglio a questa distruzione lenta ed apparentemente inevitabile. Luoghi che riescono a preservare la propria anima e che la stupidità della civiltà non riesce a edulcorare facilmente. In questi luoghi l’esperienza della bellezza, del mistero vivente dell’essere, è ancora accessibile ai comuni mortali.”
L’autore si riferisce ai giardini.
Ma un giardino cosa è, se non un luogo circoscritto, fisicamente riconoscibile perché separato dal contesto e perciò maggiormente difendibile nella sua essenza?
Cosa è, se non un’isola?
Luoghi così, come i giardini di de Précy, come Ponza, hanno per loro natura più anticorpi rispetto ad altri.
Su questo dovremo misurare la nostra forza, la nostra capacità di resistere.
E’ il nostro genius loci che ce lo chiede.
vincenzo
6 Aprile 2016 at 11:37
Enzo, un bell’articolo, ma permettimi di dire:
Che cos’è l’orto senza l’ortolano?
Che cos’è la pesca senza il pescatore?
Che cos’è la campagna senza contadino;
Che cos’è la scuola senza bambini?
Che cos’è Ponza senza ponzese?
Questa isola come altri luoghi: “…si sono ritrovati così trasformati in scenari dove il turista, cioè il povero erede di ciò che un tempo era il viaggiatore, inscena la propria capacità di meravigliarsi di fronte al mondo”.
C’è l’esigenza, ancora, di organizzare un museo per ripercorrere la storia di quest’isola, un orto botanico dove concentrare e conservare le essenze naturali; c’è da recuperare una casa dell’ottocento con tutto il suo arredamento, c’è da salvare le case grotte e le cantine, c’è da organizzare un centro visite per raccordare il disperso, perché: “(…) Se non vengono semplicemente distrutti, li si trasforma in “monumenti”. In questo caso, dopo essere stati restaurati in modo da sembrare più giocattoli che luoghi real, diventano siti turistici. Niente più traccia del loro mistero, ma che importa? (…)”.
Io aggiungo: almeno se noi ponzesi non siamo del tutto deficienti che possa tutto questo servire a qualcosa: attrarre visitatori affamati di distrazioni per salvaguardare la residenza, per fermare l’inesorabile esodo invernale.
Al contrario anche il “Genius loci”, artificialmente costruito e organizzato, servirà solo alle nuove lobby economiche per di più esterne.
“
Enzo Di Giovanni
7 Aprile 2016 at 16:49
Caro Vincenzo,
le esigenze che tu enumeri sono reali, possono diventarlo, ma vanno costruite, non improvvisate o peggio, inventate, come spesso accade. Non a caso, nel pezzo in corsivo da te riportato, Martella era chiaramente polemico!
Per quanto riguarda le “distrazioni artificiali”, servono solo ad alimentare la bulimia di chi le cerca, o meglio, di chi non sa cosa cercare. Ed infatti pensare che basti portare “turisti” per salvare la residenza è una follia: come pretendere di riempire un recipiente bucato versando acqua anziché coprire la falla.
Il genius loci no, non può esserlo artificiale, proprio perché “risiede”, per definizione.
Vedi, ce lo diciamo da anni:
non sono le “cose” che salveranno la residenzialità, ma l’ascolto del nostro “genio”. Cioè, la ricerca e la messa a fuoco di quelli che sono i caratteri che hanno forgiato questa comunità, senza i quali non vi può essere futuro.
Se “noi ponzesi non siamo del tutto deficienti”, è questo che dobbiamo cercare, e soprattutto aiutare i giovani in questa ricerca.
vincenzo
8 Aprile 2016 at 17:58
http://www.desertislocis.com/cose-desertis-locis/