di Silverio Lamonica
Tra le “foto suggestive” che “il buon Giovanni” pubblica su Facebook, m’è venuta la voglia di commentarne due che ritraggono la medesima veduta in epoche diverse: Il porto di Ponza, in”bianco e nero” visto dal “Corpo di Guardia” dei Guarini negli anni ’30 del secolo scorso con, in primo piano, il fascio littorio con tanto di stella sulla sommità, mentre nell’altra foto ben più recente e a colori, il medesimo “reperto” è irriconoscibile: un traliccio semicilindrico di cemento armato con “l’anima di ferro” arrugginita in mostra, come si può notare dalle foto allegate.
Ho commentato: “E’ ormai un rudere pericoloso quel vecchio fascio. Meglio abbatterlo per la pubblica incolumità.
Immediata la “levata di scudi”:
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Ma mi faccia il piacere! Un reperto storico va tutelato e protetto, non abbattuto!
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Infatti si potrebbe renderlo come prima.
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Non si distrugge ciò che ha una storia e ciò che ha fatto storia.
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Mica siamo Isis … volgari distruttori.
Infine l’ultima, ben più concreta e propositiva:
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Facciamo una colletta x (per, n. d. r.) ristrutturarlo.
Se il “buon Giovanni” avesse pubblicato soltanto la foto a colori con il rudere fatiscente e cadente ed io mi fossi limitato a commentare: “E’ un rudere pericoloso, meglio abbatterlo per la pubblica incolumità”, in quanti si sarebbero ricordati che si trattava di un reperto di epoca fascista?
Nonostante tutto non mi sono affatto offeso, anzi mi sono rallegrato e moltissimo nel constatare tanto interesse per la storia ed i suoi reperti. Magari avessero la stessa sensibilità, mi sono detto, i concittadini che all’interno delle loro proprietà hanno dei gioielli inestimabili e penso al pavimento romano della villa di Santa Maria e penso alle Necropoli dei Guarini e del Bagno Vecchio e penso al Mitreo e ai tanti altri gioielli disseminati in quest’isola e tenuti nascosti (nella migliore delle ipotesi) o purtroppo distrutti per non avere “noie”! Così come fu distrutto, anni or sono, un gioiello non archeologico, ma paesaggistico: la stupenda roccia di Cala Fonte, in cui erano incastonati dei vani che all’inizio dell’800 i nostri antenati pescatori modellarono per ripararvi le reti ed attrezzi vari per la pesca. Allora non ci fu nessuna levata di scudi, tranne la ferma, purtroppo vana, reazione dell’Ing. Aniello Aprea. Non ci fu nulla da fare: i denti di acciaio di una ruspa rosicchiarono irrimediabilmente quel gioiello … e il nostro Comune non era amministrato dall’ Isis … o peggio? Però Facebook non era ancora arrivata, purtroppo!
Tornando al fascio (la cui origine si fa risalire addirittura agli Etruschi, poi adottato da Mussolini): una cosa è certa, così non può rimanere perché non ha alcun significato, è irriconoscibile, diversamente da un “opus reticulatum” o dai resti di un capitello oppure di un’anfora; in quello stato quel reperto è solo una bruttura ed oltretutto è pericoloso.
Lo vogliamo restaurare? Va bene. Del resto rappresenta un momento della nostra storia su cui tutti dobbiamo riflettere, soprattutto i giovani.
vincenzo
1 Febbraio 2016 at 10:41
Caro Silverio stai diventando come il buon vino “più invecchi e più diventi buono” inteso come ironico, autoironico e soprattutto saggio.
Ma visto che ai sensibili del Fascio hai proposto la restaurazione del monumento io mi sono posto il problema di capire se ne abbiamo veramente il diritto. Infatti in origine la sua struttura (scure bipenne inserita tra dodici verghe) aveva un chiaro significato simbolico era l’integrazione creatrice delle polarità opposte. Tale incontro avviene in un punto dell’asse che è il centro immobile, il punto di passaggio tra futuro e passato. I tagli dell’ascia rappresentavano esattamente “il simbolismo del fulmine”, espresso dalle tradizioni nordiche. La folgore ha significato simbolico doppio: da una parte illumina, squarcia le tenebre, dall’altro distrugge, incendia.
Quel monumento secondo me deve restare così, perché la folgore, vera e non quella simbolica ha deciso il suo destino spaccandolo in due e cosi facendo ha reciso la continuità tra passato e futuro. Quello che resta è quello che è stato e quello che è stato non poteva produrre futuro. Meditate gente!
Silverio Tomeo
1 Febbraio 2016 at 12:49
Ricordo sommessamente che i simboli fascisti del tragico ventennio (e l’isola ne pagò parecchie di conseguenze con il confino di polizia) sono illegali se esposti nello spazio pubblico e paesaggistico, in quanto possono facilmente essere intesi come apologia del disciolto Partito Nazionale Fascista, a norma di Costituzione vigente. Quindi devo essere senz’altro d’accordo con Vincenzo: che l’opera corrosiva del tempo finisca di distruggere quel rudere, che è tutto fuorché un monumento storico dal valore artistico. Direi anzi di aiutare le offese del tempo per incrementarne l’opera demolitrice.
Antonino Di Stefano
1 Febbraio 2016 at 12:59
Quanti nostalgici del fascismo ci sono a Ponza ! Mi pare che da quelle parti fu ucciso un giovanissimo ponzese da qualche milite , perchè non sostituirlo con un cippo che ricordi la giovane vittima della dittatura ?
Silverio Tomeo
2 Febbraio 2016 at 06:39
Era un ragazzo dodicenne, si chiamava Salvatore Scotti, venne ucciso a fucilate da una sentinella della Milizia fascista (MVSN) al Bagno Vecchio il 20 settembre del 1932. Come ricostruisce in almeno tre libri Silverio Corvisieri “si racconta che il milite avesse ordinato al ragazzo di andargli a prendere dell’uva nella vigna del padre e, imbestialito per il rifiuto del piccolo Salvatore, gli sparò una fucilata”. Il cadavere venne immediatamente portato dalle camicie nere al cimitero e venne impedito ai genitori di vederlo. Il padre, che si recò costernato al comando della milizia, venne percorso brutalmente a pugni e a calci e rigettato seminudo in strada. Tutta la famiglia venne minacciata. Gli sgherri della Milizia dissero che il ragazzo era caduto in un burrone. Offrirono soldi, orgogliosamente rifiutati, alla famiglia di Salvatore per evitare che si rivolgessero all’autorità giudiziaria. Per anni il padre venne minacciato e monitorato, con devastazioni ripetute a sfregio della sua vigna. In quei giorni, di fronte alla tensione che saliva, apparvero sui muri dell’ isola a caratteri cubitali le scritte : “CHI TOCCA LA MILIZIA AVRA’ DEL PIOMBO”. E neppure una targa o un monumento sull’isola a riconsegnare alla memoria pubblica e civile la vicenda del sacrificio di questa giovane vita stroncata dalla barbarie fascista.
silverio lamonica1
2 Febbraio 2016 at 14:50
Innanzitutto mi scuso per aver innescato una polemica su un argomento tanto delicato. Voglio precisare altresì, a scanso di equivoci, che ero, sono e sarò sempre antifascista.Detto ciò ho solo voluto intendere, con un eventuale via libero al restauro, che quel manufatto potrebbe servire UNICAMENTE come scopo didattico, tracciando la storia dei fasci dagli etruschi, ai romani … fino alla “appropriazione indebita” e funesta,aggiungo, da parte di Benito Mussolini, le cui immagini, sempre a scopo didattico,non certo per apologia, riempiono i libri di storia, le enciclopedie cartacee, multimediali ecc.
Carissimo Silverio (Tomeo) sono d’accordo con te, soprattutto per quanto riguarda la necessità di commemorare il piccolo Salvatore Scotti, barbaramente ucciso dallo sgherro fascista. E mi auguro vivamente che presto si faccia qualcosa in merito.
Alessandro Romano
3 Febbraio 2016 at 14:52
Dal punto di vista dei beni storici, la regola da sempre adottata dagli addetti ai lavori è basata sulla filosofia del restauro conservativo effettuato con interventi di manutenzione non invasivi. Certamente diverso sarebbe se “il fascio littorio” ci giungesse dall’antica Roma ed avesse l’urgenza di un intervento di consolidamento per preservarlo da crolli o danneggiamenti irreversibili. In questo caso la questione dovrebbe essere sottoposta necessariamente alla competente Soprintendenza che ne curerebbe i vari aspetti. Premesso ciò e considerato che quel fascio moderno (al contrario di quelli dell’antica Roma) non gode di nessuna tutela, in più rappresenta solo un doloroso ricordo di uno dei più nefasti periodi della storia contemporanea, personalmente mi trovo d’accordo con la proposta di Silverio Tomeo. Però nemmeno me la sento di bocciare completamente la proposta di Silverio Lamonica che, ancora una volta, ha dimostrato di avere lo spirito del vero storico. Ed allora, tra le varie posizioni la sintesi potrebbe essere quella di “preservarlo” così come sta quale sopravvivenza monumentale di un doloroso periodo storico che va opportunamente raccontato alle nuove generazioni anche attraverso questi simboli.
Ma per attuare il tutto credo che ci siano dei problemi che non sono collegabili a valutazioni storico-politiche: il manufatto si trova su terreno privato e, come accennato, non godendo di alcun vincolo monumentale, può subire la sorte che i proprietari ritengono più opportuna; anche l’abbattimento.
Giuseppe Mannucci
5 Febbraio 2016 at 14:27
‟Passeggiando” sul sito, ho scoperto gli scritti di Silverio Lamonica su ‟Il fascio prima e dopo”. Ponza, bellissima isola del Tirreno, non solo di villeggiatura ma anche di residenza per i ponzesi, è purtroppo legata controvoglia al confino fascista senza esserne colpevole; la scelta non fu sua, ma imposta da Mussolini.Abito in Francia dalle parti di Marsiglia, e sono il figlio di confinato a Ponza, del quale Silverio Lamonica mi ha fatto su questo sito il piacere e l’onore di stilare un’ottima recensione della biografia di mio padre del quale sono coautore ‟Varcando un sentiero che costeggia il mare” Per conto mio penso che restaurare il fascio sarebbe rendere un omaggio involontario ed indiretto a quello che fu il fascismo sull’isola che non fu condiviso dai ponziani. Condivido quello che scrive Vincenzo, dicendo quel monumento deve restare così secondo lui e che: ‟[…] la folgore, vera e non quella simbolica ha deciso il suo destino spaccandola in due e così facendo ha reciso la continuità tra passato e futuro. Quello che resta è quello che è stato e quello che è stato non poteva produrre futuro”. Silverio Lamonica ha ragione quando dice: ‟[..]una cosa è certa, così non può rimanere perché non ha alcun significato[…]. Penso che sarebbe utile mettere vicino questo frammento di un ‟vestigio” che fu, un cartello storico con la foto anziana del fascio ricordando come era prima, il perché era presente, ricordando anche la privazione di libertà dei confinati, l’aiuto dato dai ponzesi ai confinati e concludendo con la frase di Vincenzo: ‟Quello che resta è quello che è stato e quello che è stato non poteva produrre futuro”. E’ solo una suggestione e vale quello che vale.
La storia di Salvatore Scotti, barbaramente ucciso dallo sgherro fascista la conoscevo già, e commemorare in modo o un altro questo tragico evento, non è solo una necessità, ma un dovere umano. Forse sarebbe possibile che qualche associazione si occupa di fare una raccolta di offerte nello scopo di fare sia una targa in memoria a Salvatore Scotti che il cartello storico del fascio, raccolta alla quale io mi propongo di offrire una quota parte. Da meditare.