Spero che un accordo sui modi di scrivere il dialetto si troverà comunque, anche se il dibattito è scaduto alquanto sul personale e sul ‘dissociato’: come approvare l’autore di un articolo e bacchettarne l’editing.
Anche se si è più volte spiegato che l’editor non prevarica mai l’autore: di solito è una collaborazione reciproca in cui è l’autore ad avere l’ultima parola; essendo quello dell’editor un vero lavoro, seppure oscuro, in uno spirito di servizio – si può dire anche da civil servant – che, capisco, a volte neanche si riesce a concepire.
Ma riassumiamo i termini di un problema già ampiamente dibattuto (leggi qui).
Sono in campo due modi diversi di rappresentazione grafica del dialetto: quello proposto su questo sito – e portato avanti in centinaia di articoli – di riprodurre il più fedelmente possibile il suono della lingua parlata; e quello praticato ‘in solitario’ da alcuni sedicenti “puristi” del dialetto, di evitare le parole tronche applicando regole che producono – alla pronuncia ‘in voce’ – suoni improbabili (tipo: abbascio u puorto)
I primi argomentano che essendo l’italiano una lingua che “si parla come si scrive”, anche nella trascrizione dialettale pare corretto applicare la regole di “scriverlo come si parla”; gli altri si lanciano in cervellotiche ‘spiegazioni’ su “piane sdrucciole o bisdrucciole” e “sulla pronunzia muta, come la ‘e’ muette francese”… – “muette”, monsieur!? – …ma parle comme mange, pe’ ppiacere!
Non paghi… invece di proporre esempi virtuosi, ‘giocano sporco’ all’insegna di un terroristico: “È questo che volete?” …partorendo mostruosità mai viste né proposte da nessuno al mondo (leggi qui). Come questa:
‘O paés d’ ‘o sól
Ogg stó’ ttand aller ca quas quas
m mettéss a chiagñ’r p ‘st ‘a f’licità…
…E questi sono i puristi!
Poi su Ponzaracconta viene fuori un titolo: ’A lettera d’a ’Merica (leggi qui) che chiunque faccia la prova di leggerlo ad alta voce, troverà ‘foneticamente’ corretto (dove l’elisione prima della M chiaramente denota la A omessa) e… giù bacchettate!
Mentre invece l’uso della lingua è un processo fluido e creativo… necessita sì di regole, ma non di essere ingessato in rigidi dogmatismi.
Come scrivere allora?
’A lettera d’America?
’A lettera d’a ’Merica
O addirittura Lamerica, come nel titolo di un film di qualche anno fa? (“Lamerica”, di Gianni Amelio, del 1994)
Alessandro Romano
15 Dicembre 2015 at 14:38
Visto che ci siamo, vediamo chi sa cosa è ‘u ‘Mierico (maschile singolare)? Non è il marito d’a ‘Merica, ma si inserisce perfettamente nella discussione.
Luisa Guarino
15 Dicembre 2015 at 16:09
Subito dopo aver letto il commento di Carmine ero corsa anche io subito a cercare “Lamerica” di Gianni Amelio, il titolo che indica chiaramente la trasformazione-deformazione che tutti i nostri emigrati, così come i migranti che arrivano da noi, operavano e operano sulle parole.
Sandro Russo
15 Dicembre 2015 at 16:26
Rispondo a Sandro Romano…
E come non lo sappiamo!? Su Ponzaracconta c’è tutto, basta saperlo cercare!
Ma siamo appunto davanti ad un esempio di come non ci si capisca, pur intendendo la stessa cosa…
Perché quello che tu chiami ‘mierico, Franco De Luca in un suo articolo – appunto con questo titolo (leggi qui) – lo chiama u mereco.
Se non temessi di innescare un altro casus belli azzarderei la versione che a me suona meglio: ‘u miereche
Alessandro Romano
15 Dicembre 2015 at 16:55
Probabilmente si pronuncia meglio come lo hai scritto tu, in ogni modo la traduzione rende l’idea: “piccone di fabbricazione prettamente nord-americana”. Quindi “miereche” che in napoletano potrebbe significare “medico”, sta per americano, come dire “‘mericano“. Infatti ogni italiano che va in America diventa americano; ogni ponzese che va a’ ‘Merica diventa mericano. Infatti, mio grande amico, Girotto ‘u ‘mericano.
Carmine
15 Dicembre 2015 at 17:53
Bel duetto, “…va sunate e va cantate tra di voi…” se non fosse per il rispetto che si deve alla parola scritta, “…quasi quasi me mettesse a rirere…” Affermate che la lingua è in continua evoluzione e pertanto deve essere innovato anche il modo di renderla graficamente. “… E chi ho ddice?” Il dialetto è una cosa antica , che rispecchia la nostra cultura e la nostra tradizione, va trattato con rispetto, per chi prima di voi ha versato fiumi di inchiostro e poi un giornale dovrebbe avere anche una funzione didattica nei confronti dei lettori. E cosa insegnate ai bambini che hanno perso l’uso del dialetto ( non ho più sentito un bambino parlare ponzese!) ciat’ fegat’ sapurit’? Ma faciteme u piacere. A me piace scrivere “ abbascio u purto “ Voglio chiudere qui la polemica e la mia presenza su queste pagine. “Ve site fatte u pazziello? E mmo jucate…e buon divertimento
vincenzo
16 Dicembre 2015 at 10:06
Io non ci capisco una “mazza” di dialetto ma capisco quello che dice Sandro: “amici, questo sito è nato intorno al recupero del dialetto, c’è stato poi un lungo confronto dove hanno partecipato tutti quelli che erano interessati a farlo liberamente, alla fine si è arrivati a proporre delle regole condivise.
C’è adesso chi non condivide queste regole, libero di contribuire alla comprensione dell’intrigato meccanismo tra il dialetto scritto e quello orale ma senza accampare visioni dogmatiche”.
Detto questo voglio dire una cosa al mio amico-cugino Carmine.
Non esagerare Carmine, gli integralisti in questo momento non sono di moda. Anche oggi i bambini parlano in dialetto anche se gli impongono marce forzate di grammatica italiana e torture di lingue straniere perché anche l’Italiano non è di moda.
Come scrivere in dialetto è un’altra cosa e le polemiche lo dimostrano che lo scritto non riguarda la cultura popolare, la tradizione ma riguarda l’individuo che tenta di esprimersi in dialetto, che tenta di farsi comprendere in dialetto. Tu conosci il dialetto perché l’hai sentito parlare non certo te l’ha insegnato nonno Asdrubale con l’abecedario di zio Borbone. Poi da solo ti sei interessato e hai imparato a scrivere, utilizzando testi e adattandoli alle tue esigenze perché volevi esprimere dei tuoi pensieri.
Quando si scrive lo si può fare per se stessi e quindi non importa se gli altri capiscano oppure lo si può fare per gli altri e allora ci si deve far capire per cui il giudizio finale, se la cosa è ben scritta o no, è ancora una volta individuale, riguarda chi scrive e chi legge. Il resto è pura accademia.
Mimma Califano
16 Dicembre 2015 at 12:41
Non ho competenze su come si scrive il nostro dialetto, posso solo dire che lo parlo di frequente e con ponzesi di diverse zone ed età.
Mi limito perciò a fare poche considerazioni di massima.
Fonetiche. Maggiore o minore vicinanza del termine scritto in dialetto con il modo corrente di pronunciare quel termine.
Mi viene perciò da dire che non ho mai sentito parlare di mierico, nessuna delle due ‘i’ nella pronuncia esiste, piuttosto detto così mi ricorda la parola medico in dialetto napoletano.
A Ponza, ho sempre ed unicamente sentito il termine ‘u mereco, (in italiano dovrebbe essere accetta a doppio taglio), quello importato dai nostri emigranti in America, da cui prende il nome.
Mentre ‘a ‘Merica ci sta tutta.
Non è che noi stessi stiamo dimenticando il dialetto e pronunciandolo male corriamo il rischio di riportarlo così anche nella scrittura?
Non sono infatti d’accordo con l’affermazione che la lingua (dialetto nel nostro caso) è in continua evoluzione e quindi anche la grafia si deve adattare. Per il semplice motivo che il nostro dialetto si sta perdendo / imbastardendo, quindi riportando per iscritto i nuovi termini, andremmo a conservare la memoria di un misto ponzo / italiano / romanesco / altro…
Poiché il sito è nato per salvare la storia e la cultura di Ponza e dei Ponzesi, non può e non deve dimenticare il dialetto, quello “classico” direi, diciamo dei nostri genitori o almeno della nostra infanzia (e tanti termini anche noi non li conosciamo / utilizziamo più). Quante volte ci siamo adoperati per cercare parole dialettali ormai desuete…
Caso mai un arricchimento potrebbe nascere dall’identificazione / segnalazione di termini che si vanno modificando, fermo restando quel che era il dialetto ponzese di derivazione napoletana.
Non dimentichiamo neppure che mediamente il dialetto (al di là del diverso modo di scrittura) utilizzato sul sito direi che è di Ponza-porto, quindi di derivazione ischitana (a parte forse qualche incursione di Sang’ ‘i Retunne). E il dialetto utilizzato alle Forna?
Mi fermo qua, ma tante potrebbero essere le considerazioni da fare e che potrebbero valorizzare l’argomento.
Mi dispiace invece constatare che un dibattito partito con le migliori intenzioni, invece di cercare una sintesi o anche una convivenza tra le diverse posizioni – che non sono neppure tante, direi essenzialmente due: utilizzo di vocali mute o di apostrofi – si sia ormai ridotto a reciproci attacchi, addirittura personali, a sostegno del proprio punto di vista, che per l’appunto è un punto di vista.
Un po’ di condivisione e convivenza, noo? Ed è solo il dialetto!