Volevo fare una riflessione sull’uso e l’abuso del nostro dialetto ponzese, quando a qualche nostro compaesano viene in animo di metterlo per iscritto.
Intanto è opinione diffusa che il “ponzese” sia fondamentalmente diverso dal “napoletano” e questo, a mio avviso, è una solenne cretineria.
Tutto ciò che abbiamo in ordine ad usi, costumi, tradizioni, deriva dalla cultura napoletana portata sull’isola dai nostri progenitori, tra questi anche il dialetto che, certamente, nel corso dei secoli di isolamento dalla “casa madre”, ha subito delle variazioni. La vocale “u” usata come articolo in sorte della “o” originaria (u sole anziché o sole) la “i” invece della “e” (i mane anziché e mane) ma sono piccole varianti rispetto alla lingua originaria, di cui è rimasta invariata tutta la forma grammaticale ed il modo di scriverla.
Adesso è tutto un fiorire di parole che sembrano dei codici fiscali per l’assenza di vocali, mettendo insieme tre o quattro consonanti, un vero tripudio di apostrofi ed accenti messi più o meno a caso, persone che si atteggiano ad esperti senza averne titolo ai quali consiglierei di leggere autori tipo: Raffaele Viviani, Salvatore Di Giacomo, Eduardo, Totò.
Leggete ed imparate.
In passato c’è stata una persone che ha cercato di mettere ordine alla questione, affermando che non tutte le parole debbano essere tronche, che le vocali finali vanno scritte e non pronunciate, costui era il compianto maestro Ernesto Prudente. Purtroppo è rimasto inascoltato.
Scrivere in “ponzese” non significa inventarsi una nuova lingua poiché è la trasposizione del “napoletano” ed essendo il “napoletano” la lingua di grandi maestri merita rispetto.
franco schiano
14 Novembre 2015 at 09:27
Bravo Carmine, sono d’accordo. IL ponzese scritto non è questa lingua gutturale fatta di parole tronche illegibili che spesso leggiamo anche su questo sito. Un misto tra polacco-cecoslovacco e un codice crittografato. Il ponzese scritto è una variante della lingua napoletana. Da essa deriva e pertanto le parole vanno quasi sempre scritte con una vocale finale che però diventa muta al momento della lettura.
vincenzo
14 Novembre 2015 at 17:30
Che mi fate sentire? Io che cercavo l’anonimo Sang’i Retunne nel pedigree dei ponzesi invece lo devo cercare in quello polacco-cecoslovacco.
franco schiano
14 Novembre 2015 at 17:49
Mi dispiace ma il mitico Sang’i Rutunne, ponzese doc o meno, conosce poco i canoni del ponzese scritto…
Admeto Verde
23 Novembre 2015 at 22:57
Vorrei fare una piccola precisazione sul dialetto.
Non è del tutto vero che il napoletano usi la “o” come articolo. Lungo la fascia costiera, nei Campi Flegrei e sulle isole di Ischia e Procida si usa la “u” (al plurale la “i”, o addirittura, a Procida, la “r”). La “o” si usa nell’entroterra nord-orientale di Napoli.
Questo semplificando notevolmente. Infatti il napoletano, come tutti i dialetti, non è codificato ed esistono pressoché infinite varianti di lessico e di fonetica.