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I ghat di Benares (Corrispondenza con Emanuela: viaggio 2001 in India)
Non ci voleva certo l’India per scoprire che viviamo in uno strano mondo, ma è qui a Varanasi (Benares) che le contraddizioni si mostrano nel modo più esasperato, addirittura grottesco. È solo qui che per una stradina a gradoni piena di merde di tutti i tipi, dove l’ultima insegna segnalava – “STD – IDD – International calls – Internet -E-mail” -, si arriva tra cataste di legna stipate dietro reti metalliche, al ‘ghat’ dove bruciano i morti…
A Varanasi
Emanuela,
allora ci sei passata pure tu per quelle stradine puzzolenti fatte di gradoni in discesa … e figuriamoci se non hai sperimentato la trepidazione ad ogni curva della strada, tra le cataste di legna e le bilance; l’attenzione ad inalare ogni filo di fumo… nel caso portasse un sentore di carne bruciata…
Avrai visto i primi lebbrosi della tua vita, dopo aver letto di loro ne ‘La citta’ della gioia’ di Dominique Lapierre (…io li avevo già incontrati in Africa).
Sarai passata accanto a quei cumuli di stracci – che prima erano veli – di porpora e fili dorati – di cui vengono spogliati i morti prima di avvolgerli nel sudario bianco e immergerli nel fiume; prima ancora di ‘marinarli’ con sandalo e incenso e metterli sulla pira.
Avranno detto e ripetuto anche a te delle sei categorie di cadaveri che non si bruciano e perché (i morsi dal cobra, i lebbrosi, le donne gravide, i bambini, i santi uomini e gli animali) e che fine fanno questi, come pure il trattamento dei cadaveri degli assassini, dei morti di morte violenta, dei paria. Ora una cerimonia funebre completa costa sulle 12.000 rupie (circa 700.000 lire; tariffe 2001 – NdR)), che non tutti possono permettersi. Un corpo richiede legna per una pira di circa quattro ore, e anche così alcuni pezzi come la cassa toracica e le anche delle donne, devono essere girati e rigirati affinché si consumino per bene.
Sarai passata anche tu per quelle stradine della città affacciata sui ghat, la mattina presto e poi ancora la notte, dopo che un milione di persone ci ha lasciato ciascuna qualcosa, fosse anche un fiore caduto dalle ghirlande che portano al Tempio d’Oro, nella città vecchia, insieme al vaso con l’acqua del Gange (ma spesso non siamo a questi livelli di poesia..).
Varanasi è diversa da qualunque altra città che possiamo aver visto ed è refrattaria a qualunque tentativo di inserirla nei nostri schemi mentali; l’albergo che mi hai consigliato è perfetto: un po’ scaciato e delabré; ci si arriva per un dedalo di stradine piene di merde e piscia… il giusto, per non dimenticare che sei a Benares.
Dalla mia camera la vista sul Gange è spettacolare, ma di questi tempi di siccità anche la Grande Madre si è ristretta e grandi banchi di sabbia occupano la maggior parte dell’alveo.
La prima sera ho assistito al passaggio dei lumini (..ma questo l’ho scoperto dopo; per quello che riuscivo a vedere al buio e dopo quello che avevo letto, poteva essere di tutto..!).
Invece erano solo lumini affidati alla corrente alla fine della cerimonia serale, tutta tamburi e campanelli, col bramino che officia su una folla che ci crede davvero. La stessa che la sera dorme sui ghat. Ci si passa in mezzo, scavalcando i corpi di quelli addormentati per terra, tra le donne spesso in gruppo a salmodiare o a raccontarsi le loro cose; gli uomini più solitari, sempre a fumare.
Tutti quanti, la mattina dopo il levar del sole, faranno la ‘puja‘ di purificazione nel fiume: il motivo per cui hanno affrontato il viaggio e una notte di disagi.
Valla a capire Benares…
Avrà eccitato le tue fantasie mortuarie o tutto era troppo reale, la morte troppo presente e esibita, per nutrire fantasie? Adesso che abbiamo accertato che ci sei stata e cominciamo a sentire i tuoi racconti, sono curioso di sentire come l’hai vissuta, come andava con le tue ‘forze di vomito’.
…E Domenico, in tutto questo, che diceva..?
[Varanasi – 27.09.2001]
[Su “Gli aquiloni di Varanasi” (2006), sul sito, con altre foto, leggi qui]
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Le perdite impongono pause, momenti di riflessione. Si cerca di capire il senso di quello che succede, si fanno a se stessi e agli altri domande globali, impegnative. Ma forse si è troppo coinvolti. Si conosce, ma non si accetta e non si applica, quel pensiero di Confucio: “Il lutto deve portare all’afflizione, ma non più lontano” (Dialoghi 19, 14).
Forse è la distanza, quella che manca; il tempo che necessariamente dovrà passare, come la sapienza popolare ben conosce, ma che ogni singola persona deve riscoprire da capo.
La ricerca è sempre la stessa. Trovare un senso alla vita; a quella di chi ci ha lasciato e di riflesso alla nostra. A volte basta una indicazione, un’immagine; come quella evocata da Antonio Tabucchi, in una intervista letta non troppo tempo prima della sua scomparsa:
“…E’ come uscire a fare una passeggiata nella neve… tornare in casa e vedere nelle orme, dalla finestra, il senso che ha avuto il camminare”.
Senza portare niente, solo un sorriso
Senza lasciare niente, solo ricordi
…e impronte di piccoli passi
Per mia madre Giovanna
Α – Ponza 19 luglio 1920
Ω – Lanuvio 19 agosto 2007
In memoriam
Nota dell’Autore
Questo scritto, a cui sono state aggiunte successivamente le parti riguardanti le tradizioni di Ponza e una corrispondenza sull’India, nella sua formulazione originale è stato pubblicato in due puntate su Mag-O – il Magazine della Scuola di Scrittura ‘Omero’ – nel sett. 2007, ed è dedicato a mia madre.
Le precedenti puntate si possono trovare riferendosi in “Cerca nel sito”, a questi titoli: