La cicerchia (Lathyrus sativus) è anch’essa una leguminosa, diffusamente coltivato per il consumo umano in Asia, Africa orientale; in minor misura in Europa, soprattutto Italia Spagna e Grecia.
È una coltura particolarmente importante e redditizia in aree tendenti alla siccità ed alla carestia; per questo detta coltura di assicurazione poiché fornisce un buon raccolto quando le altre colture falliscono.
Il consumo di questa leguminosa in Italia è limitato ad alcune aree del centro-sud e isole ed è in costante declino, tanto che molti neanche la conoscono, né come pianta (dal bel fiore celeste) né come alimento).
Come altre Leguminacee, la cicerchia produce semi ad alto contenuto di proteine. I suoi semi tuttavia contengono anche, in quantità variabile, una neurotossina nota come ODAP (acido β-N-Oxalyl-L-α,β-diaminopropionico) causa della malattia detta latirismo (o neuro-latirismo), una patologia neurodegenerativa che causa disturbi del comportamento, paralisi degli arti inferiori del corpo e convulsioni. La malattia era diffusa in passato in seguito a carestie in Europa, Nord-Africa e India ed è ancora presente in Eritrea, Etiopia ed Afghanistan, nei casi in cui le cicerchie sono la fonte esclusiva o principale di nutrimento per lunghi periodi (rischio tra l’altro collegato ad una maggior concentrazione della tossina nella pianta in condizioni di estrema siccità).
L’assunzione della cicerchia dopo cottura, com’è nella cultura delle popolazioni italiane elimina il rischio, dato che l’infusione in acqua, e successiva cottura, degrada i principi tossici (torneremo sul tema della tossicità con i lupini, che vengono consumati crudi).
Curiosità tossicologiche
Goya testimonia la diffusione del latirismo in Spagna: Desastres de la guerra Gracias á la almorta (1862-’63)
Tale tipo di intossicazione è stata accertata come la causa della morte di Christopher McCandless, durante il suo soggiorno in Alaska, a seguito dell’ingestione di semi di Hedysarum alpinum (var. boreale McKenzie), un’altra leguminosa.
Dalla vicenda sono stati tratti un libro: “Nelle terre estreme” di Jon Krakauer (1997) e un film, di Sean Penn (2007): “Into the wild” con Emile Hirsch entrambi di grande successo.
Culetuòtene
La veccia (Veccia – vicia sativa var. ‘macrocarpa’), ancora più spartana della cicerchia quanto a esigenze colturali, è stata in passato, e per molto tempo, anche coltivata a Ponza, specie alle Forna, per l’utilizzo in alimentazione umana.
Scrive Sandro Vitiello in uno dei suoi primi articoli sul sito (leggi qui):
“Il piatto più comune nelle famiglie più umili dell’isola di Ponza era costituito dai legumi; fave essenzialmente. Queste venivano prodotte, insieme ai piselli, lenticchie, ceci, cicerchie e ’culetuòtn’ , una sorta di piselli neri e duri, passati agli animali appena è arrivato un po’ di benessere”.
Vicia sativa (i culetuòtene)
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Piccola antologia dei legumi. (2) – Continua
Per l’articolo precedente dedicato alle lenticchie, leggi qui
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Adriano Madonna
24 Settembre 2015 at 15:35
Caro Sandro,
ho letto con interesse la tua “Piccola antologia dei legumi. 2” e devo dire che i “culetuòtene” proprio non li conoscevo, ma tu hai specificato che si tratta delle vecce, al che mi sono ricordato di un passo di Pinocchio, il libro che tutti noi della nostra generazione abbiamo letto, in cui, a un certo punto, Collodi scrive che Pinocchio mangiò un piatto di vecce (che io non ho mai visto né assaggiato).
Innanzitutto, mi incuriosisce il nome in dialetto ponzese, “culetuotene”, e ti chiedo se culetuòtene significa “culo di totano”, il che sarebbe una ennesima conferma che l’incredibile fantasia popolare non ha limiti. In ogni caso, è possibile mangiare oggi a Ponza i “culetuòtene”? Se così fosse, alla prima occasione non mancherò di togliermi questo sfizio. Si vendono? Sono saporiti? (se, come dice Sandro Vitiello, divennero cibo per gli animali, non credo). A che cosa somigliano?
Grazie, un caro saluto
la Redazione
24 Settembre 2015 at 18:42
Scrive Sandro Romano in Ponza in Tavola – Storia&Sapori:
“L’adattamento si ritrova anche nei prodotti agricoli. La cronica scarsità di acqua, le caratteristiche acide dei terreni, l’elevata ventosità dei luoghi hanno operato una mutazione nei vegetali messi a dimora a Ponza. La frutta, i fagioli, le cicerchie, il grano coltivato dai più coraggiosi e tutti gli altri legumi e ortaggi avevano una singolare caratteristica: erano di dimensioni ridotte rispetto alle stesse specie coltivate sul continente. Il che significava più piante da curare, più fatica e meno raccolto.
Un’altra singolarità dei prodotti isolani era la riduzione dei tempi di cottura e, quindi, della legna impiegata in cucina; tale particolarità era legata, oltre che alle dimensioni ridotte, anche all’acqua. Additata come una delle cause delle malattie alle ossa e ai denti degli isolani l’acqua piovana, contenente poco calcio, meglio cuoceva i legumi rendendoli teneri e digeribili, tant’è che a Ponza si riuscivano a mettere in tavola persino i rozzi e legnosi culetuotani, che altrove venivano dati agli animali.”
Adriano Madonna
25 Settembre 2015 at 07:41
Leggo con interesse quanto scrive Sandro Romano nel commento a “Piccola antologia dei legumi 2”. In particolare, pongo attenzione sulla mutazione genetica che avrebbe interessato i legumi coltivati nell’isola.
Qui siamo in tema di DNA e mi soffermo volentieri sull’argomento perché è il mio settore. In sintesi, se noi avessimo la possibilità di effettuare unìindagine biomolecolare su un “culetuoteno” di un secolo fa e un “culetuoteno” dei tempi attuali, troveremmo delle differenze e cioè quelle mutazioni che interessano i geni deputati alla consistenza dei tessuti costituenti il legume. Ciò è molto interessante e meriterebbe uno studio specialistico che mi piacerebbe effettuare in laboratorio.
A questo punto, chiedo dove, a Ponza, è possibile reperire dei “culetuoteno”, anche se mancherebbe, in ogni caso, un reperto di paragone, ma forse qualcosa si potrebbe fare ugualmente.
Saluti a Sandro Romano e a tutti gli amici
Sandro Vitiello
26 Settembre 2015 at 08:41
Culetuòtene: vicia sativa o roveja?
Quattro o cinque anni fa ho portato a Ponza un sacchetto di roveja, un legume della famiglia dei pisell i(Pisum sativum ssp. arvense varietà “roveja”).; presidio slow food coltivato in Umbria.
Mio padre l’ha subito riconosciuto come culetuòtene.
In diversi mi hanno confermato che si trattava di quello strano legume che ha sfamato tanta gente della nostra isola durante la seconda guerra mondiale.
Dopo lo scritto di Sandro Russo sui legumi ponzesi mi sono sorti dei dubbi e, cercando in rete, ho scoperto che il termine roveja indica una pianta ben precisa della famiglia dei piselli.
La familiarità con i piselli piuttosto che con la veccia si nota soprattutto guardando le foglie della pianta.
I dubbi arrivano guardando i semi.
Roveja e vicia sativa hanno semi pressoché identici. E anche la storia è simile (ne fa fede anche Pinocchio!): abbandonati nel dopoguerra e sostituiti da alimenti più buoni e digeribili.
Sarebbe interessante capire se a Ponza c’era l’una e/o l’altra varietà.
In coda allo scritto di Sandro Russo ho aggiunto alcune foto della pianta e dei semi della Vicia e della Roveja.