La Ravia? Nome dal significato sconosciuto, dall’origine toponomastica misteriosa. Ravia? Boh… forse viene da una distorsione lessicale della parola Rada, scoglio della rada. In una vecchia cartolina degli anni ’50 così è chiamato lo scoglio, ma l’ipotesi confligge col fatto che già nel 1848 venisse riportato il nome Ravia (dal Mattej).
Forse un qualche accostamento può essere tentato con Gavia, ovvero gabbiano, ma l’ipotesi qui poggia sulla vicinanza fonetica delle due parole. Troppo azzardato!
Per agganciare il ragionamento ad un appiglio storico punto dritto su: fortino di lord Bentinck. Chi fu costui? Fu il responsabile inglese con l’incarico di fortificare in maniera adeguata l’isola di Ponza. I contrasti bellici fra l’Inghilterra, la Francia e il Regno borbonico durante il periodo napoleonico, dimostrarono ampiamente come il sistema di fortificazione dell’isola fosse carente e perciò facilmente superabile.
Lord William Bentinck (1)
L’Inghilterra, scavalcando il comando borbonico, inviò lord Bentinck a rimediare alle falle difensive dell’isola.
Il Lord fra l’altro decise di fortificare lo scoglio della Ravia. Vi costruì un deposito armi, la postazione di un cannone, gli alloggi per i militari. Probabilmente fece intagliare pure i gradini dal mare fin sopra, e anche una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana.
Ecco qui il fortino di lord Bentinck.
La posizione faceva pendant con l’artiglieria posta sul fortino del Lanternino. Cosicché il porto borbonico divenne più difeso. Anche in relazione con la prima linea di difesa rappresentata dai cannoni della Batteria, della Torre e del fortino di Frontone.
La Ravia e il Caciocavallo visti da dietro (lato Frontone)
E sotto? Cosa c’è sotto lo scoglio della Ravia? Sotto c’è un passaggio. Entrando a nuoto in quella grossa fenditura esistente ad est, nella parete al di sotto compare un grosso arco, come un ingresso ad una grotta sommersa. Prendiamo fiato e ci immergiamo… tre, quattro metri. Qui s’apre la luce veniente dalla parte di Frontone. Ci sarebbe da tentare il percorso in apnea ma… quanto sarà lungo il passaggio ?
Ci immergiamo di nuovo, quasi sul fondo, e cerchiamo di valutare la lunghezza del passaggio. Risaliamo. Lavorando di pinne ce la dovremmo fare. Enzo si immerge ma non scende tanto, soltanto i tre metri dove si apre l’arco, poi affronta il passaggio. Scompare alla vista. Mi faccio ardito e lo seguo. Stessa tattica. Subito dopo l’arco mi spingo verso l’uscita. Tre metri in orizzontale e risalgo dove vedo la sagoma di Enzo in alto.
Di fiato ce ne avevamo ancora ma è la paura che ci fa dubitare delle forze.
Comunque la cosa non era stata difficoltosa per cui ora dovevamo ritornare indietro. Sarebbe stato più facile. Sbagliato ! Perché nel ritorno non c’è la luce che ci rincuora. Nel ritorno l’uscita non si evidenzia perché c’è l’ altra parete della fenditura a togliere luce. In compenso però la parete stessa avverte che si è fuori dall’arco, e la risalita è sicura.
Certo, oggi è facile trovare ragioni e spiegare ogni cosa, ma lì qualche timore lo abbiamo avuto.
La Ravia durante una mareggiata
(1) – Lord William Bentinck (1774 –1839) è stato un politico e generale inglese.
Fu ministro degli esteri del governo siciliano riconosciuto dalla Costituzione siciliana del 1812, poiché l’Inghilterra esercitava un protettorato sull’isola. Nel 1814 fu protagonista della cacciata dei governi napoleonici dall’Italia nord occidentale.
Al suo ritorno in Inghilterra, Bentinck prestò servizio nella Camera dei Comuni per diversi anni prima di venire nominato Governatore generale del Bengala nel 1828.
In India ebbe un ruolo di rilievo nella soppressione del sati, la pratica religiosa che prevedeva la morte della moglie sulla pira funeraria del marito defunto, supportato in questo dal raja Ram Mohan Roy da molti riconosciuto come il “Padre dell’India moderna” [notizie sintetizzate da Wikipedia a cura della Redazione].
Enzo Di Fazio
14 Luglio 2015 at 14:14
Il ricordo l’ho ben chiaro nella mente e ne stimola altri. Erano gli anni in cui l’incoscienza ed il vigore propri dell’età giovanile ci portavano a fare di queste cose. Per esaltarci e per scoprire come fosse Ponza nei suoi fondali.
Ci fu il periodo degli anfratti e delle piccole gallerie esistenti sotto la grotta di Ulisse, sotto i faraglioni del Calzone Muto, sotto il faraglione di Cala Inferno, sotto la Ravia come racconta Franco e ci fu quello della rincorsa ai record di immersione in apnea, nel tentativo di emulare nel nostro piccolo quello che ogni estate faceva Enzo Maiorca.
Avevamo costruito uno scandaglio artigianale: una corda con tacche gialle ad ogni 50 centimetri ed un ancorotto alla fine che ci confermasse l’arrivo sui fondali.
E da lì, giorno dopo giorno, a fissarci, come matti, degli obiettivi. “Oggi dobbiamo tentare i 14 metri!” e, raggiunto il limite, il giorno dopo a faticare per arrivare a 15 e poi a 16 e così via in un crescendo che durava tutta l’estate. Eravamo allenati per le ore che trascorrevamo nella palestra del mare.
Un pugno di sabbia o un piccolo ciottolo portato a galla la prova del risultato raggiunto. Il record? 18/20 metri, non ricordo bene. Colto tra la posidonia e la sabbia delle limpide acque antistanti il bacile del Bagno Vecchio.
Franco Zecca
14 Luglio 2015 at 16:35
E’ tutto vero quello che Franco ha ricordato ed Enzuccio ha confermato.
In una di quelle uscite alla ricerca del record personale di immersione c’ero anch’io.
Non ho mai superato i 12 metri… o forse sì, ma da solo, e più avanti negli anni, alle “formiche” nel tentativo di cacciare una cernia che ai miei occhi, dall’alto, sembrava enorme.
Ma quella volta con voi ho imparato a vedere come bene si mimetizza, tra le posidonie, quella che noi ponzesi chiamiamo “lanaperla ” e altro non è che la “pinna nobilis”.
Grazie per aver suscitato, a distanza di tanti anni, quelle forti sensazioni che si provavano con l’incoscienza dell’età, e di cui oggi non restano che vividi ricordi.
Un caro saluto a Franco e a Enzo
Silverio Guarino
16 Luglio 2015 at 22:52
Anche io lo ricordo bene, quell’arco sotto la Ravia, col turchino splendente che si affacciava dall’altra parte che mi invitava ad immergermi ed a raggiungerlo, ma non l’ho mai attraversato sott’acqua, in apnea. La prudenza e la paura di non sapere cosa ci fosse al di là di quell’arco, mi hanno sempre fermato, negli anni dell’adolescenza. Anche perché, sotto l’acqua, come sopra l’acqua, ho sempre amato avere il cielo stellato sopra di me e mai un tetto di roccia o un arco di pietra che me ne impedisse la contemplazione.