Come refolo sono stato spinto dalla corrente in un vicoletto, sollievo alla calura in questi giorni afosi. Qui saliva la gradinata sconnessa una anziana donna dal passo insicuro e scendeva un’altra signora più ben messa, con le stesse rughe dell’età. Nessuno sguardo fra loro, nessuna espressione.
Sono vicine di casa, anzi confinanti, eppoi hanno trascorso la gioventù insieme, nell’ Azione cattolica femminile. Lo so perché mi soffermavo fra quei due alti alberi del giardino parrocchiale quando si radunavano, chiamate da mons. Dies per imparare i nuovi canti all’ Immacolata. Erano controllate dall’occhio severo della superiora delle suore del Preziosissimo Sangue.
“Plaudiam con gli angeli, plaudiam col cielo, a te che sfolgori nell’uman velo” – si cantava.
Mi piaceva sentire le loro voci, e già immaginavo l’effetto che si sarebbe avuto con l’accordo delle voci maschili.
Loro erano là, due signorinelle in ansia fra la devozione alla Madonna, l’attrazione verso i giovani dell’ Azione cattolica maschile, la gioia d’essere fuori casa e lontane dai lavori domestici.
Ricordo ancora i nomi, e ora sono indifferenti l’una all’altra, con l’astio nel cuore e l’indifferenza negli occhi.
La vita dovrebbe stringere i legami d’umanità e invece… Sì lo so che i loro diverbi sono stati oggetto di sentenza giudiziaria, e so anche che si sono dovute difendere l’una dall’altra.
L’andatura è lenta e accorta, la corporatura grave, l’affaticamento evidente.
Mannaggia… le separa troppo l’astio. Si sfiorano eppure si ignorano. Le questioni della quotidianità hanno inficiato le affinità. Gli angeli sono svaniti con la ricerca dell’utile.
Non si ritroveranno più a cantare, e il cielo è sordo.
Come refolo ho cercato di spingere un po’ il corpo di quella che saliva, e l’altra già era stata oscurata dalla scalinata che porta giù.
Cosa ho fatto? Ho agitato i capelli biondi dell’una, che ha passato la mano sulla fronte come a togliersi un ricordo. L’ho fatto anche ai capelli castani dell’altra. Stesso gesto. Un ricordo breve e fugace ma uguale per tutt’e due.
Silverio Guarino
7 Luglio 2015 at 23:46
Con dovizia di particolari ed accurata e raffinata malizia, ci viene riportato un tipico spaccato della realtà del nostro amato scoglio. Ci si sofferma su aggettivi e sostantivi che si compiacciono nell’esporre la situazione di odio tra due vecchie donne di chiesa (ex-compagne dell’azione cattolica giovanile) che magari continuano anche oggi a battersi il petto in prima fila davanti l’altare.
E’ la descrizione di un avvenimento di quotidiana normalità ponzese, l’odiarsi per una proprietà vinta o persa a colpi di cause civili durate una eternità.
Il risultato è ignorarsi quando ci si incontra e girare la faccia dall’altra parte, nonostante tutta la buona volontà del refolo malandrino.
Più volte mi sono chiesto ed ho chiesto a molti la soluzione per sconfiggere questo rissoso modo di vivere. Ma mi è sempre stata data la stessa risposta, che non si può fare niente perché si tratta di una condizione innata nel popolo isolano e che Ponza è perfettamente allineata, da questo punto di vista, a tutte le altre isole del Mediterraneo e del mondo intero.
E quindi è fisiologico e rientra nella norma, l’abitudine che le famiglie e le amicizie si sfascino a causa di proprietà rivendicate e perseguite fino all’ultima carta bollata.
E questo atteggiamento si inserirebbe anche in un contesto nazionale, essendo l’Italia (mi sembra) seconda in classifica in Europa solo dietro la Lituania, per litigiosità e per processi civili pendenti.
Da sognatore impertinente, io non ci sto. Non mi faccio capace che sia effetto del destino “isolano”, quello di litigare con il vicino o con i parenti.
Io non ci sto.
Se i bambini e gli adolescenti di Ponza continueranno ad avere come esempio i loro parenti ed i loro educatori, il mio sogno di vedere cambiare i costumi degli isolani, rimarrà però a lungo solo un sogno.
Lasciatemi almeno sognare.
Silverio Guarino
Pasquale
8 Luglio 2015 at 19:47
Se si litigasse per una villa, un’abitazione, una grotta, un pertugio…. sarebbe già da considerare!
Si litiga, invece, per:
a) Una “parracina”;
b) Una pietra della parracina;
c) Un buco nella “parracina”;
d) Un canaletto dove scorre acqua lurida;
e) L’argine del canaletto;
f) Una pianta di fico d’india
g) Una “paletta” di fico d’india;
h) Un filo d’erba;
i) Il taglio dell’erba;
j) Una finestra aperta a considerevole distanza dalla propria abitazione e che non ostruisce nulla;
k) Una finta finestra;
l) I panni stesi ad un balcone;
m) Un calzino steso ad un balcone;
n) Il rumore prodotto dal martello per appendere un quadro alle dieci del mattino;
o) Il taglio di una porzione di pollo alle dieci del mattino;
p) Il suono delle campane a festa;
q) Il suono della campanella
r) Il pianto dei neonati
s) Antipatia e/o per ragioni di cui non si ha conoscenza.
Il solito pessimista dice: “Oggi non si sopporta più niente”
Questa è inconfutabilmente una grossa bugia: quale popolo è più “ paziente” di noi?
Sopportiamo, infatti,:
a) Il rumore martellante dei macchinari
b) L’inquinamento acustico
c) Lo smog
d) L’ululato continuo delle sirene
e) I proclami di… “faccendieri” del momento
f) La deturpazione del territorio
g) Le vessazioni burocratiche…
h) Le file chilometriche in strada e negli uffici
Chi più ne ha, più ne aggiunga.
L’antica bilancia a due bracci soppesa i due elenchi: da quale parte dovrebbe pendere?
Il fatto, poi, che il litigio sia una peculiarità isolana, qualcuno asserisce che questo è un modo “ingegnoso” per ingannare il tempo che, altrimenti, scorrerebbe troppo scialbo soprattutto nelle stagioni “morte”.
Pasquale
Silverio Guarino
8 Luglio 2015 at 22:13
E perché mai il coro di protesta degli azzeccagarbugli di turno si sarebbe mai alzato al cielo quando la sede della tribunale di Gaeta è stata “trasferita” a Cassino, se non per la potenziale (ma molto potenziale) perdita dei proventi degli innumerevoli clienti delle turbolente isole del mar Tirreno?
Meditate, rissosi e ingegnosi ingannatori del tempo delle stagioni “morte”!
Silverio Guarino
Pasquale
9 Luglio 2015 at 16:26
A tutto ciò si deve aggiungere che la SR 630 Formia – Cassino è una strada “minata”: autovelox e pattuglie di polizia locale in agguato. I comuni da essa attraversati “gongolano”. Si può, pertanto affermare: il cuore degli isolani è grande come il liquido che li circonda! Essi, infatti, ridanno alla terraferma ciò che hanno guadagnato con il mare e sul mare! – Pasquale