di Rosanna Conte
Le bufale su Facebook possono costituire una vera e propria mandria e non sempre è facile individuarle a prima vista.
E’ di questi giorni la polemica sulla frase pronunciata da Umberto Eco durante la sua lectio magistralis a Torino, alla cerimonia in cui ha ricevuto la laurea honoris causa in Comunicazione e Cultura dei media:
«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».
C’è stata una rivolta generale che ovviamente parte dai presupposti che ognuno si sente in grado di discernere il vero dal falso e che anche gli imbecilli hanno diritto di parola, anzi, come scrive sulla Stampa Gianluca Nicoletti, forse è arrivato il momento in cui, non solo possiamo misurare il tasso di imbecillità presente da sempre fra gli umani, ma finalmente gli intellettuali sono costretti a misurarsi con la verità degli imbecilli e a difendere la propria verità con le unghie e i denti.
Eco, nel suo discorso, aveva considerato questo aspetto e aveva invitato i giornali a filtrare, con l’aiuto di esperti, le informazioni per capire l’attendibilità o meno di un sito, come a dire: lasciamo la sacrosanta libertà di espressione anche agli imbecilli, ma tuteliamo almeno le persone che non vogliono accedere a vere e proprie patacche o essere preda delle bufale, dando degli strumenti per capire.
La polemica può continuare all’infinito, perché ognuno può soffermarsi su un aspetto particolare del problema e trattarlo a modo proprio, ma possiamo pensare che se per i siti che trattano tematiche di un certo livello, dalla storia alla fisica, alla letteratura, ci si può anche orientare attraverso la serietà scientifica di chi si firma, e in questo caso devi avere un minimo di conoscenza della materia o degli intellettuali che la trattano, per i social network come facebook o twitter, dove effettivamente chiunque si svegli al mattino può scrivere quello che vuole e dargli la patente di verità, il riconoscimento della bufala può risultare più complicato.
E’ quanto è successo con la notizia della battaglia di Schichwa messa in giro, a bella posta, da un blogger iracheno che vive a Londra, Ahmad al-Mahmoud, e da tre anni raccoglie notizie sulla guerra dell’ISIS che provengono dall’Iraq.
La città di Schichwa non esiste, ma lui ha raccontato sul suo account Twitter@IraqSurveys che è stata liberata dall’ISIS e in tanti si sono uniti nella gioia per questa liberazione ampliando la notizia e aggiungendo particolari sulla sua collocazione geografica.
La bolla si stava ingigantendo senza che a nessuno venisse l’idea di controllarne il contenuto e Ahmad, dopo due giorni, visto che il gioco gli stava sfuggendo di mano, ha messo fine al cinguettìo.
A onor del vero, il blogger iracheno non è un caso isolato, tante sono state le false notizie immesse nei circuiti “per vedere l’effetto che fa”, ma anche a riprova della discrepanza fra la potenza del mezzo di informazione e la massa pronta ad accogliere di tutto, di più.
Quante trasmissioni tv sono impostate su falsi, eppure hanno un fedele pubblico che le segue e crede che sia tutto veritiero!
E non si tratta solo di persone sprovvedute, anche quelle che dovrebbero avere una certa dimestichezza con la complessità della comunicazione, amano affidarsi acriticamente alla fonte di informazione prescelta.
Bisogna pur dire che la mole di notizie oggi è tale da scoraggiare un eventuale volenteroso dal lavoro di cernita.
Eco ha invitato i giornali a filtrare le notizie provenienti dai siti web, ma anch’essi avrebbero bisogno di filtri perché, sia quelli stampati che quelli on line, sempre più spesso – invece che ricostruire con obiettività le famose cinque domande del classico giornalismo: “Chi? Dove? Quando? Come? Perché?” – scelgono la propaganda, manipolando chi più chi meno le notizie, per sottrazione o superfetazione di informazione, se non addirittura creandole dal nulla come i famigerati dossier.
Allora?
Alle bufale, purtroppo, non c’è rimedio se non il loro smontaggio da parte di chi conosce l’argomento.
Né si possono arginare gli imbecilli, perché internet, per quanto rivoluzionario – ha trasformato il modo di lavorare, di informarsi, di comunicare -, resta comunque uno strumento e come tale lo dobbiamo considerare: amplifica e velocizza la diffusione delle nostre idee e se le nostre idee sono quelle da bar o da aula magna, tali restano.
Ovviamente favorisce l’aggregazione dei simili, perché nella grande piazza virtuale chi soffre di solitudine immagina di trovare compagnia e si aggrega a chi più gli somiglia, per cui i danni del pettegolezzo da bar si amplificano, le bufale si ingrandiscono e i danni sono maggiori.
E non parliamo dell’aggregazione delle persone violente, eventuali terroristi, razzisti, estremisti politici, e non ultimi, coloro che attaccano con parole o con immagini l’eventuale nemico di turno per schiacciarlo – mors tua, vita mea – ricevendo adesioni da altrettanti violenti o aspiranti alla violenza che non hanno il coraggio di muoversi, ma nel gruppo web si sentono protetti e osano.
E’ questo l’effetto del branco che, non perché abbia luogo nel mondo virtuale, può essere meno nocivo di quello reale.
Allora, forse, la preoccupazione di Eco per l’invasione degli imbecilli, che etimologicamente significa debole mentalmente, ha una sua fondatezza.
Nota a cura della Redazione
L’argomento è di cogente interesse; proprio su La Repubblica di oggi 16 giugno, nella rubrica delle “Lettere a Corrado Augias”, si può leggere questa corrispondenza:
La lezione di Eco su Internet
CARO AUGIAS, quante ne ho lette sulle parole di Umberto Eco a Torino, in occasione della Laurea ad honorem. Parole urlate, graffianti, smentite, applaudite, criticate, quanti “ma che c. dice” e così via. Ho letto articoli di giornalisti che contenevano cose distorte rispetto a ciò che lui ha davvero detto, basta guardare i video.
Spero che, dall’alto dei suoi 83 anni, Eco ne sorrida e punto. Dal mio punto di vista, Eco fa il mestiere che i migliori intellettuali hanno sempre fatto: porta a riflettere. Chi volesse davvero ascoltarlo non dovrebbe ignorare il suo consiglio di dotare i figli fin da piccoli e dotarsi di “filtri” per setacciare il materiale diffuso in Internet. A volte, quando sono costretta a navigare per lavoro in lungo e in largo nella Rete, ho l’impressione di essere in un luogo dove abbondano i rifiuti tossici, maleodoranti, tra le cose migliori che molte persone, invece, riescono a pubblicare, comunicare, condividere.
Anna Maria Corposanto — [email protected]
RITENGO anch’io che l’intervento di Umberto Eco sia stato male interpretato da critici frettolosi. Deve aver impressionato il termine ‘imbecilli’ che ha messo in ombra il resto di un ragionamento che del resto Eco elabora da tempo. Ho avuto per esempio occasione di ascoltarlo lo scorso settembre nel corso del festival della Comunicazione che si tiene a Camogli (si ripeterà nel settembre prossimo). Le sue idee su Internet sono un po’ più complesse di quanto quel termine faccia immaginare; nello stesso tempo sono facilmente verificabili. Uno degli ostacoli nella comunicazione rapida e concisa (esempio massimo Twitter) è che vi si pone con sempre maggiore frequenza la questione di chi siano i mittenti. Non sapere con chi si sta parlando — anche perché spesso si tratta di anonimi: “incrina — dice Eco — il rapporto di fiducia nella relazione mettente-destinatario, ma anche alimenta false e pretestuose relazioni, fondate su falsi miti e ipocrita affidamento”. Spaventa Eco (e anche chi scrive) l’effetto ‘tweet’ che propaga un chiacchiericcio insulso con la forza di diffusione e di velocità che ha la Rete. Si può obiettare: ma è lo stesso che s’è sempre fatto nei tanti “bar sport” disseminati qua e là. Certo che è così, ma a parità di ‘sciocchezze’, l’accresciuta dimensione cambia anche la qualità della comunicazione. Anzi, peggio ancora di così. Quando il chiacchiericcio di massa diventa notizia si possono generare mutamenti importanti nel concetto stesso di democrazia. L’altro problema, connesso, è dato proprio dalla velocità. Quando si doveva rispondere a una lettera e perfino a un telegramma compilando la risposta, si disponeva di un certo tempo per compilare il testo riflettendo sulla scelta del tono e degli stessi termini. Una risposta fulminea invece, spesso limitata al ‘mi piace’ può creare una tempesta comunicativa nella quale ognuno rischia di dare il peggio di sé, comportandosi appunto da ‘imbecille’ — non sempre per suo demerito, sia chiaro, ma per colpa dello strumento usato.