di Francesco Ferraiuolo
La questione del dissalatore è l’argomento di questi giorni.
Il dibattito pubblico tenutosi ieri a Ponza ha avuto una vasta eco. Stamane ne ha parlato la stampa cartacea e quella on-line (con un pezzo a parte abbiamo riportato i riferimenti di alcuni articoli); la discussione che si è aperta sta interessando sempre più persone.
Intanto Francesco Ferraiuolo ci invia una lettera, diretta al sindaco Vigorelli, con la quale puntualizza la sua posizione nei confronti dei dissalatori e approfondisce alcuni aspetti già trattati nell’intervento fatto nel consiglio comunale dell’11 maggio scorso.
La Redazione
Caro Vigorelli, diceva il compianto Massimo Troisi: “io sono responsabile di quello che dico. Non di quello che capisci tu”.
Ecco, nel mio caso ti pregherei di non mettermi in bocca cose che tu interpreti a modo tuo ma che io non ho detto; nel mio intervento in consiglio comunale, in sostanza, ho semplicemente sostenuto che la costruzione di un dissalatore in una piccola isola come la nostra pone dei seri interrogativi e che per apprezzare la bontà della siffatta iniziativa sarebbe stato opportuno fare una comparazione sotto i diversi profili con altre possibilità di approvvigionamento, tra cui la condotta sottomarina, visto che la stessa era stata, in passato, ritenuta valida da uno studio effettuato dall’Università di Roma.
Da qui la richiesta di rinvio ad altra seduta della trattazione dell’argomento dopo aver avuto piena contezza di tutti gli elementi in gioco. L’indicazione dei vari punti problematici, tra cui anche quello emerso nel Convegno a cura dell’Accademia Nazionale dei Lincei, tenuto a Roma il 20 marzo 2015, in cui si è parlato del “Grado di inquinamento naturale di acque e suoli in Italia” (quello relativo alla presenza nei nostri mari di arsenico, mercurio e rame, per intenderci), aveva chiaramente il mero scopo rivelativo dell’esistenza di sostanziali elementi di perplessità che andavano approfonditi sul piano scientifico-tecnico-amministrativo, ma non perciò acriticamente condivisi. Come si vede una scelta di chiarezza e non di opposizione aprioristica.
Che poi in questa operazione di comprensibilità e di scelta venisse coinvolta anche la cittadinanza con un dibattito, supportato da tecnici della materia indipendenti, mi pare oltremodo doveroso dal momento che stiamo parlando di un qualcosa che va ad incidere sensibilmente sulla vita civile locale.
Ed in questi casi non si può tenere all’oscuro un’intera comunità presentando in consiglio comunale, con un ordine del giorno aggiuntivo, quasi a mo’ di blitz, un progetto dalle caratteristiche industriali qual è la costruzione di un dissalatore, con tutte le implicazioni sottese in relazione alla fragilità del nostro territorio.
Sicuramente, invece, ho manifestato contrarietà ad Acqualatina, in quanto società di gestione del ciclo delle acque, e qui lo confermo, per motivi di principio e perché la sua conduzione presenta tante problematicità, non ultimi gli ingenti costi di esercizio che si scaricano sull’utenza e che sollevano proteste feroci da parte dei cittadini dei comuni in cui essa è presente.
Vedo che anche tu, nell’accusare gli altri non so di quali manovre o di quali azioni di retroguardia, non ti esimi dall’esporre argomenti “ad un tanto al chilo”, come spesso dici, di chiaro tenore populistico, diretti alla “pancia” della gente, pur di avvalorare una scelta da te promanata.
Ma io da persona “attempata”, come dice qualcuno, il freno a mano l’ho tirato per non portare il cervello all’ammasso, cosicché la tua prosa non mi incanta. E così hanno fatto, grazie a Dio, tanti altri.
Per centrare il cuore delle questioni e per poter sviluppare un’opinione razionale, mi documento, ponendo ascolto a chi ne sa più di me sul piano scientifico nonché consultando internet e pubblicazioni specializzate di settore. E quando dici che nel mondo ci sono più di 15000 impianti di dissalazione a difesa della scelta del dissalatore a Ponza, da quello che ho letto e appreso, ti rispondo che il dato in sé ha poco significato se non lo si analizza. Quasi tutti gli esperti concordano che la produzione di acqua dolce a partire da acque salmastre o da acqua marina è un processo ben sperimentato e frequentemente utilizzato nell’industria, ma dicono anche che le applicazioni in campo civile sono invece meno diffuse per varie ragioni, fra le quali il costo quasi sempre elevato dell’acqua prodotta.
Di solito, gli impianti ad uso civile vengono installati in zone ed in condizioni particolarmente favorevoli. Infatti, quasi la metà della potenzialità produttiva è localizzata nei paesi produttori di petrolio della penisola arabica perché in quelle zone la disponibilità d’acqua è molto scarsa e la modernizzazione ha portato ad un forte incremento dei consumi della regione.
Ma c’è da dire anche che in quei paesi si rivela una grande disponibilità di risorse energetiche a basso costo, se non, addirittura, praticamente nullo, in quanto, come il gas estratto dai pozzi di petrolio, sono spesso un sottoprodotto destinato allo smaltimento in torcia.
I due aspetti (grande richiesta d’acqua e grande disponibilità d’energia a basso costo) concorrono a favorire la produzione di acqua dissalata ad un costo sostenibile.
Un’altra situazione che necessariamente favorisce l’uso civile della dissalazione si presenta nelle isole che hanno bassa disponibilità idrica e la cui distanza dalla terraferma è molto grande (vedi Malta) per la messa in opera di un’adeguata condotta sottomarina. In questi casi i costi dell’acqua proveniente dalla dissalazione risultano paragonabili o inferiore rispetto al costo dell’acqua trasportata con le navi cisterna.
Fanno eccezione a quanto sopra menzionato, la Spagna e la Sicilia dove la produzione dell’acqua dissalata è una tecnica molto usata. In Spagna, dove vi sono vaste zone che per la scarsità delle precipitazioni mostrano caratteristiche idrologiche simili a quelle delle piccole isole del mediterraneo, nel passato, furono realizzati diversi interventi basati sull’interconnessione tra bacini più ricchi ed altri più poveri d’acqua; questa linea, però, fu poi abbandonata, specie per i problemi creati dall’accentuato regionalismo, quando nel 2004 entrò in funzione il programma AGUA, che ha fatto sì che tutto il sistema della dissalazione si reggesse sugli aiuti economici comunitari, grazie ai quali l’acqua viene pagata dal cittadino a poco più della metà del suo costo reale. Un caso particolare è rappresentato dalla Sicilia.
Qui vi sono gli impianti di dissalazione di Porto Empedocle, di Gela e di Trapani che in totale producono circa 21 milioni di metri cubi all’anno ma, osservano i tecnici, “non è facile capire se questa forte attività sia effettivamente necessaria” dal momento che in detta regione esistono invasi che non si è mai riusciti ad utilizzare completamente o che, in gran parte, mostrano margini di utilizzo molto bassi.
Come si vede, la presenza di tali impianti è prevalentemente giustificata da ragioni di necessità non disgiunte da considerazioni tecniche ed economiche, anche se in taluni casi entrano in gioco valutazioni di carattere geo-politico che alterano il profilo della razionalità. Pertanto, dire che ci dobbiamo allineare perché, sic et simpliciter, esistono 15000 dissalatori in giro, peraltro una cifra modesta su scala mondiale, e perché il domani è dei dissalatori, mi sembra una grande banalità.
Un altro aspetto che si deve tenere in considerazione è che un impianto di dissalazione dev’essere tenuto sempre in funzionamento costante, pena il verificarsi di gravi guasti, cosa difficilmente possibile in un’isola come la nostra dove abbiamo bisogni idrici minimi in inverno e massimi in estate a fronte di una variazione della popolazione molto sensibile. Una gestione discontinua influenza il costo della produzione in quanto vengono variate le condizioni operative di progetto.
Ad esempio, il costo di ammortamento dell’impianto costituisce la componente di costo più significativa con un’incidenza che è compresa fra il 65 e l’80%. Se l’impianto producesse in un anno una quantità pari alla metà di quella di progetto, l’incidenza del costo fisso dell’unità prodotta raddoppierebbe e, quindi, aumenterebbe il costo totale di produzione.
Vi sono, è vero, numerosi impianti con ridotto utilizzo i cui costi appaiono accettabili, ma si deve tener presente che nella maggior parte dei casi bisogna considerare che nel calcolo è stata trascurata la componente di costo fisso oppure questa componente è stata sostituita con un parametro che non corrisponde ad un accantonamento sufficiente per restituire il capitale impegnato. Infine, altre considerazioni andrebbero fatte per l’impatto ambientale in termini paesaggistici, di immissione in mare di correnti d’acqua di rifiuto nonché di emissione nell’aria di CO2.
Ripeto: non sono pregiudizialmente contro un impianto di dissalazione ma già dai parziali argomenti sopra riportati, che ho tratto da una letteratura scientifica e riportato in alcuni passi integralmente, si capisce che quantomeno un approfondimento andava fatto, come noi consiglieri di minoranza avevamo proposto.
E’ peccato fare una richiesta del genere? E’ lesivo di qualcosa? Dare la possibilità di comprendere di più non è un diritto della cittadinanza, sulla cui testa, in definitiva, i provvedimenti ricadono?
Ti pregherei di evitare di cavalcare contrapposizioni tra ponzesi e fornesi, tra conservatori e progressisti (da cosa dovremmo dedurre che fare un dissalatore, piuttosto che una condotta sottomarina o altro, è da progressisti), tra chi ha la ”uallera” e chi non ce l’ha, ecc.
Io comprendo che il “divide et impera” è una tecnica efficace per controllare e governare una comunità, specie se piccola, ma, credimi, a Ponza tutto questo non attacca proprio perché, in definitiva, in questa isola, nessuno ha l’anello al naso e, comunque, nessuno se lo fa mettere. Stanne certo!
N.B.: Nella foto, che apre l’articolo, è visibile l’impianto di dissalazione di Lipari. Mi viene difficile da immaginare che una cosa, più o meno, così possa essere messa a Capo Bianco.