L’ingresso al rock-festival costa una cifra irrisoria (al senno di poi: solo tre sterline!); ma comunque al di fuori delle mie possibilità e interessi). D’altra parte i paganti sono un’esigua minoranza; ad essi viene tatuato sul polso un segno con un inchiostro indelebile per la durata dell’evento, perché si possano muovere dentro e fuori il recinto. Il grosso del pubblico non pagante, cioè gli ‘uomini liberi’ si sistema sulla collina che viene presto ribattezzata Desolation Hill (ma anche Devastation Hill). La vista è ottima, anche se il palco è lontano, ma la musica si sente bene.
All’interno del recinto del Festival (spettatori paganti). Sul palco si legge la scritta “3RD ISLE OF WIGHT FESTIVAL OF MUSIC 1970”
Foto dall’interno del recinto del Festival verso la collina prospiciente (Desolation hill) gremita di gente . Chi scrive era proprio sulla collina, da qualche parte tra la folla. Al di là del crinale della collina c’è la discesa che porta al mare di Freshwater bay
Foto opposta alla precedente, dalla collina verso il sito del Festival e il palco delle esibizioni. Sulla sinistra della foto, dal lato del palco, lo spazio per i servizi. Sulla destra invece, parzialmente visibile nella foto qui sotto, c’è la tendopoli con il boschetto della perdizione (leggi in seguito)
Sulla destra del recinto col palco (guardando giù, dalla collina) c’è una tendopoli e un rado boschetto; è lì che si sono accampati i primi arrivati: gruppi per lo più, o grandi famiglie. Ci sono delle strane moto con il manubrio alto (…mai viste prima, ma anch’esse diverranno famose: Easy rider, il film, è del ’69!), e anche piccoli van adattati in modo fantasioso; tende di diverse misure e rudimentali cucine da campo. La notte diventa un posto fantastico, tra fumo e incensi indiani, lampade a petrolio e odori di cucinato. Circolano strane voci, a proposito del ‘boschetto’: di orge notturne e di droghe pesanti. È lì che sento parlare per la prima volta di ‘eroina’. A un ragazzo ‘perbenino’ come me il posto dà l’idea dell’anticamera dell’inferno, infatti non ci metto più piede!
Ma la vita sulla collina non è meno avventurosa. A causa della pendenza ci si deve stendere in una posizione obbligata, con i piedi verso il fondovalle. La prima notte si sperimenta e si impara tutto in necessario per la sopravvivenza. La tecnica più rudimentale consiste nello scavare due buchette, o una sola più grande, in cui piantare i talloni, ma anche così, nel rilassamento del sonno, si può perdere la presa. Nessun problema, ritrovarsi addosso a qualcuno: grandi pacche sulle spalle e qualche volte anche un invito a bere qualcosa insieme. Il giorno dopo compaiono piccole nicchie o terrazzamenti fatti lavorando di badile (dig… dig…).
L’umidità notturna entra nelle ossa e sembra non ci sia modo di difendersi; i cartoni per coprirsi vanno a ruba. Ma la mattina dopo il tam-tam del campo annuncia che si vendono a pochi soldi (very cheap!) dei rudimentali sleeping-bag, in cartone catramato a prova di umidità (sleep warm and dry!).
Sleeping bag catramato, probabilmente tossico, ma erano categorie ancora inesplorate
Anche la musica può diventare un problema. E’ vero che sul palco si avvicendano i gruppi più famosi del momento – cioè di tutta la storia del rock – e ognuno dei presenti ha un suo preferito nel programma, ma la musica è continua, giorno e notte, con una brevissima pausa nel primo pomeriggio. Quando si vorrebbe dormire, il tumb… tumb… tumb… dei bassi diventa ossessivo e somiglia a un incubo.
Però ci sono anche gioie e scoperte. La più importante è l’atmosfera di libertà gioiosa del raduno; la togetherness che si sperimenta lungo i bordi del festival site, guardando le famiglie borghesi dei residenti dell’isola che vengono in gita con i bambini, il sabato e la domenica, a guardare… come si fa con gli animali allo zoo.
Dall’alto della collina, di tanto in tanto si vedono assembramenti lungo il recinto in lamiera zincata del concerto; di incerto significato. Poi si viene a sapere che un gruppo di “esclusi” ha sfondato la barriera al grido di Free concert! e dalla ‘falla’ non più riparata si è riversata una fiumana di gente. Il concerto è diventato davvero libero.
L’abbattimento della barriera in lamiera ondulata
Poi c’è la scoperta del mare. La mattina, appena il sole comincia a scaldare, una massa di gente da ogni parte del vasto campo risale la collina, scavalcando i corpi delle persone ancora addormentate e si riversa, come per una migrazione biblica, verso il mare dall’altra parte: Freshwater bay. Quel che promette mantiene! Per essere fresca è fresca – la baia e l’acqua – anzi gelida! Inavvicinabile per noi mediterranei…
La discesa al mare
Sul bagnasciuga e sulla spiaggia pietrosa stanno tutti nudi; tutti parlano fluent english.
– Tu sei italiano, vero? – mi dice un gigante (forse) norvegese, preciso a Odino, come l’ho sempre immaginato. Cosa si può rispondere, quando un Dio nudo ti interroga?
– Beh! ..Sssee
– E’ che sei l’unico che non si è spogliato – The only one not undressed!
Mamma mia! Che vergogna..!
L’aggregazione spontanea di decine di persone in acqua, al suono di tamburelli, a formare la figura di un cuore è di quelle che non si dimenticano; ritroverò la foto di quell’evento, al ritorno in Italia, su un settimanale (di destra). La didascalia sotto, dice: “I teppisti… finalmente si lavano!”.
La copertina di un settimanale giovanile con ampi resoconti dell’evento, all’interno. All’epoca il nudo in copertina faceva abbastanza scalpore
C’è anche la musica, è vero. Ma di quell’esperienza non è il ricordo più forte. Un po’ sono frastornato da tutto il resto, un po’ le mie conoscenze musicali all’epoca sono scarsine. Fatto sta che i grandi nomi – mai più rivisti tutti insieme sulla scena del rock – si confondono sul palco e nelle mie orecchie in un magma confuso.
Questo, molti anni dopo, costituirà un grande motivo di rimpianto.
Il Rock Festival ’70 all’isola di Wight costituisce la penultima apparizione in pubblico di Jimi Hendrix (morirà circa tre settimane dopo, in un albergo di Londra, il 18 sett. 1970), e anche l’ultima apparizione del gruppo dei Doors con Jim Morrison in Europa (‘King Lizard’ muore a Parigi il 3 luglio del ’71). L’eroina, le sue centrali e i suoi profeti divennero da allora e per sempre i nostri nemici generazionali. Si chiudeva una stagione esplosiva e anche il movimento hippie – che da noi in Italia sembrava ancora una novità – cominciava da lì il suo lento declino.
Jimi Hendrix nella sua esibizione all’isola di Wight, il 30 agosto 1970
Ricordo molto bene la lunga strada del ritorno, sotto la pioggia. Quando più di mezzo milione di persone che erano arrivate in ordine sparso nel giro di una settimana, presero tutte insieme la via del ritorno. Sporchi, bagnati, affamati.
Tanto dovevo far pena, che un buon vecchio signore inglese (…Dio strabenedica gli inglesi!) che mi dà un passaggio, non ha il coraggio di mollarmi per strada; mi porta invece a casa sua e insieme alla moglie mi offrono un bagno caldo, una tazza di brodo e un letto per la notte…
Al porto di Dover arrivo puntale, ma il mio amico all’appuntamento non c’è, né ho idea di cosa possa essergli successo (l’epoca dei telefoni cellulari è ancora al di là da venire).
Non solo… Ho speso gli ultimi soldi rimasti in lattine di birra inglese da portare in regalo in Italia, così mi ritrovo con lo zaino appesantito e senza una lira, per un’attesa che non so quanto potrà essere lunga.
La notte sta scendendo, sulle bianche scogliere di Dover…
Aiutooo! …Mi sono perduto nel vasto mondo..!?
Telefono… Casa…
Ma questa è un’altra storia…
[L’isola di Wight. (2). Continua; per la puntata precedente, leggi qui]
Da YouTube,“L’isola di Wight”: un singolo dei Dik Dik, pubblicato nel 1970 dall’etichetta discografica Dischi Ricordi ripreso da un grande successo mondiale del 1969 di Michel Delpech “Wight is Wight“. Il particolare questo filmato è stato scelto perché ripropone le immagini di quei giorni lontani
Silverio Guarino
18 Novembre 2014 at 21:09
Caro Sandro,
molto più prosaicamente, la mia isola di Wight è stata il Palazzetto dello sport dell’EUR di Roma; la mia nave per raggiungerla e per tornare indietro (ultima corsa a mezzanotte), era la Metro A, che mi riportava all’appartamento di Via Tiburtina 150, Scala E Int.10. Con i miei inseparabili amici rockettari, Augusto, Remo e Maurizio rimanevamo estasiati ai concerti dei Gentle Giant, Uriah Heep, Jethro Tull, Grand Funk e Deep Purple, quando Eugenio Finardi e la Premiata Forneria Marconi facevano da “intro” alla serata.
Che cominciava rigorosamente alle 21.30 per finire alle 23.30.
Noi ci mettevamo il più in alto possibile per apprezzare meglio il concerto e, con l’uso di cannocchiali (da operetta) osservavamo le dita e le mani degli artisti per carpirne i segreti.
Pizza e al massimo qualche Marlboro.
Poi tutti a ninna; ci aspettavano le lezioni all’università, ma la testa era piena di rock e la voglia di imitare i nostri idoli il giorno dopo, era incommensurabile.
Sandro Russo
19 Novembre 2014 at 07:30
Caro Silverio,
mi ha fatto piacere leggere la tua testimonianza.
Quando ho cominciato questa serie avevo proprio in mente di fare un punto su quegli anni – il 1970 cruciale per la nostra generazione che ho focalizzato appunto sull’evento dell’Isola di Wight – per chiedermi/chiederci: – Dov’ero, che facevo a quel tempo?
Perché cruciale? Perché è stato una breve stagione di riconoscimento e presa di coscienza generazionale – ricordate i movimenti di protesta americani, il rifiuto della guerra del Vietnam, quando in USA si bruciavano le cartoline precetto, i moti all’Università di Berkeley, il film “Fragole e sangue”, il ’68 in Italia, il Maggio francese, Rudi Dutscke a Berlino – in cui ci sembrò che il mondo potesse cambiare dall’interno, attraverso i giovani.
Just say no! – Semplicemente rifiutati!
Poi, come sappiamo, è andata diversamente.
Che sarà anche il tema della mia terza (e ultima) puntata sull’isola di Wight.
marcello
20 Novembre 2014 at 23:47
L’aspetto!
Grazie
P.s. Purtroppo avevo solo 10 anni ma qualche bel concerto anche io non me lo sono fatto mancare…
Enzo Di Fazio
22 Novembre 2014 at 20:16
Nel 1970 ero a Milano per vivere la mia prima esperienza di lavoro.
Erano gli anni della contestazione studentesca e dell’inizio della “strategia della tensione”.
L’anno prima, il 1969, era stato l’anno della strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura che aveva provocato 17 vittime e anche quello della morte di Pinelli. I cortei di protesta organizzati dagli anarchici, dal movimento operaio e da quello studentesco di Marco Capanna erano all’ordine del giorno
In galleria su un grande schermo dell’Agenzia Ansa scorrevano, ogni sera, le notizie di cronaca e di politica aggiornate continuamente, e la loro lettura rappresentava per me uno stimolo per essere informato degli accadimenti quotidiani ed un’occasione per conoscere gente ed idee ed approfondire fatti ed opinioni.
Film come “Indagini su un cittadino al disopra di ogni sospetto” di Elio Petri e “Sacco e Vanzetti” di Giuliano Montaldo ci appassionavano per i riferimenti politici alla storia di quel tempo e per i temi che trattavano.
Georges Moustaki (che emozione averlo incontrato ad un concerto al teatro Argentina) ci deliziava con le note de “Le Mètéque” (Lo straniero), mentre dominava i cortei la voce di Joan Baez, “l’usignolo di Woodstock” con ”We Shall Overcome”, canzone che veniva dagli Stati Uniti dove era diventata un inno pacifista per la rivendicazione dei diritti civili.
C’erano belle idee, tanto impegno e voglia di fare, grandi movimenti di opinioni, insomma una gran voglia di cambiamento. Peccato poi che la protesta sia sfociata in violenza.
Adriano Madonna
22 Novembre 2014 at 21:26
Caro Sandro,
mi è piaciuto davvero tanto il tuo articolo “La mia Isola di Wight”. Mi ha fatto sognare, mi ha portato indietro di un’eternità (pensa, avevo i capelli!). Erano anni fantastici, per noi che volevamo cambiare il mondo, costruirne uno migliore, con la chitarra invece dei carri armati (Mettete dei fiori nei vostri cannoni!). Ti ricordi? “Sotto una montagna di paure e di ambizioni c’è nascosto qualche cosa che non muoreeee… E’ la pioggia che va, e ritorna il sereno…”
Perché del ricordo di quegli anni, che sai rendere benissimo con la tua penna, non fai qualcosa di più grande? Scrivi un libro: “Una giovinezza da ricordare”, con riferimenti a tutto quanto accadde in quegli anni e ai nostri entusiasmi.
In ogni caso, il tuo articolo è bellissimo. Complimenti!
Si dovrebbe coniare una medaglia da consegnare a coloro che sono stati nell’Isola di Wight, con il diritto di fregiarsene il petto.
Un caro saluto a te e agli amici
Adriano