di Sandro Russo
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Per la prima parte di questo articolo, leggi qui
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La missione dell’Endurance – Imperial Trans-Antarctic Expedition), ebbe luogo tra il 1914 e il 1917.
Finanziata dalla gran Bretagna, la spedizione era comandata da Ernest Shackleton con un equipaggio di 27 uomini oltre a lui, a bordo dell’Endurance; aveva come obbiettivo l’attraversamento a piedi dell’Antartide partendo dal mare di Weddell. Il gruppo avrebbe poi dovuto essere recuperato dalla nave Aurora nell’altro lato del continente, sulla costa del mare di Ross.
La nave Endurance a vele spiegate
La spedizione salpa nell’agosto del 1914, ma a sole 80 miglia dalla destinazione, l’Endurance rimane intrappolata nei ghiacci del mare di Weddell che la stringono come in una morsa. La nave, così immobilizzata, va alla deriva con essi e il 27 ottobre deve essere abbandonata.
Il 21 novembre l’Endurance, dopo una lunga agonia viene completamente stritolata dalla pressione del ghiaccio che ne determina l’affondamento.
I partecipanti alla spedizione rimarranno bloccati in Antartide per 21 mesi.
Qui di seguito una sequenza di foto della nave incastrata e la sua progressiva inclinazione fino all’affondamento: eventi documentati dal fotografo ufficiale della spedizione Frank Hurley.
La Endurance, ancora a vele spiegate, tra i ghiacci
Tentativi di liberare la nave
L’Endurance intrappolata tra i ghiacci
Endurance è bloccata. Vista da prua
Ghiaccio uomini e nave
Notturno tra i ghiacci
La nave incastrata nel ghiaccio e il fotografo
La nave comincia ad inclinarsi. Nelle due immagini qui sopra vista da poppa
La prua della nave inclinata
L’Endurance è ormai perduta
L’affondamento. Si vedono ancora i cani da slitta; saranno soppressi prima del viaggio di trasferimento ad Elephant Island
La fine dell’Endurance
In previsione del destino della nave, Shackleton fa trasferire l’equipaggio sulla banchisa in un accampamento d’emergenza chiamato “Ocean Camp” dove il gruppo rimane fino al 29 dicembre quando si trasferiscono, trasportando al traino tre scialuppe di salvataggio, su un lastrone di banchisa in quello che chiamano Patience Camp.
Wild e Shackleton tra i ghiacci
Hurley e Schackleton al campo
Per passare il tempo e cercare di scaldarsi
Fino all’8 aprile 1916 rimangono sulla banchisa e quando questa inizia a sciogliersi, a bordo delle scialuppe riescono di raggiungere l’isola Elephant. Dopo una navigazione molto difficile, raggiungono la costa dell’isola il 15 aprile del 1916 (498º giorno della spedizione).
Considerando che le probabilità di ritrovamento e soccorso sono pressoché nulle, Shackleton decide quindi di raggiungere, con un piccolo gruppo e utilizzando la scialuppa in condizioni migliori, la Georgia del Sud (distante 700 miglia marine, circa 1.300 km) insieme a cinque uomini per cercare aiuto.
Gli altri 22 uomini aspettano speranzosi sull’isola Elefante, sopravvivendo di caccia e pesca.
La partenza della scialuppa James Caird con sei uomini a bordo da Elephant Island il 24 aprile 1916
La mappa dell’itinerario di Shackleton
I sei uomini salpano il 24 aprile 1916 e riescono ad attraccare nella parte meridionale dell’isola dopo 15 giorni di navigazione con l’aiuto di una sola bussola e di un sestante, in condizioni meteorologiche terribili
Qui i sei uomini si dividono; tre tra cui Shackleton attraversano l’isola in tre giorni in condizioni climatiche proibitive.
Essi riescono in 36 ore ad attraversare 30 miglia di montagne e ghiacciai inesplorati della Georgia del Sud (è il primo attraversamento dell’isola) e a raggiungere la stazione baleniera di Stromness situata sulla costa settentrionale. Vi giungono il 20 maggio.
Panorama della South Georgia
Da qui Shackleton organizza il soccorso degli uomini rimasti a Elephant island a cui fa ritorno il 30 agosto 1916 e lì apprende con sollievo che tutti i 22 uomini rimasti sono sopravvissuti.
Essi sono tratti in salvo, al quarto tentativo, il 30 agosto del 1916 dal rimorchiatore cileno Yelcho.
All safe! All well!
Questa la descrizione dell’arrivo di Shackleton con i suoi due compagni alla base di Stromness (dal libro di Lansing, citato in seguito):
“Mathias Andersen era il sovrintendente della stazione di Stromness. Non aveva mai conosciuto Shackleton, ma, come tutti nell’isola della Georgia Australe, sapeva che l’Endurance era salpata da lì nel 1914 e, senza dubbio, era affondata con tutti i suoi uomini nel mare di Weddel. In quel preciso istante, comunque, i suoi pensieri erano ben lungi da Shackleton e dalla sfortunata Imperiale Spedizione Transantartica. Aveva alle spalle una dura giornata di lavoro iniziata alle 7 del mattino; erano le quattro del pomeriggio ed era piuttosto stanco. Se ne stava sul dock a controllare una squadra di uomini che scaricavano delle provviste da una imbarcazione.
Proprio allora udì un grido e alzò lo sguardo. Due ragazzini di una decina d’anni correvano a gambe levate, non per gioco, ma spaventati. Alle loro spalle Andersen scorse le figure di tre uomini che camminavano lentamente, e quasi trascinandosi verso di lui. Andersen non poté non rimanere sbigottito.
Una cosa era certa: quegli uomini erano degli stranieri, ma quello che tanto lo sorprendeva era il fatto che non sopraggiungevano dai docks, dove potevano essere giunti a sua insaputa a bordo di qualche nave, ma dall’entroterra, dalle montagne. Come quelli si avvicinavano, vide che avevano lunghe barbe e i loro volti erano quasi per intero neri, eccetto gli occhi, i capelli lunghi come quelli di una donna giungevano all’altezza delle spalle e per qualche ragione a lui ignota erano arruffati e sporchi. Anche i loro abiti erano strani. Non indossavano i maglioni e gli stivali portati abitualmente dai marinai, ma giacconi di maglia o di pelle, anche se difficili da riconoscere perché ridotti a brandelli.
L’uomo al centro parlò in inglese: – Potreste condurci, per cortesia, da Anton Andersen? – gli chiese con un filo di voce. Il sovrintendente scosse il capo. Anton Andersen, spiegò, non si trovava più a Stromness. Era stato sostituito dal direttore stabile della fabbrica, Thoralf Sorlle.
L’inglese sembrò contento. – Bene -, disse – Conosco bene Sorlle.
Il sovrintendente bussò alla porta del direttore e, un attimo dopo, Sorlle stesso apriva. Era in maniche di camicia e aveva sempre i baffoni a manubrio. Quando scorse i tre uomini indietreggio di un passo e un espressione incredula apparve sul suo viso. Rimase a lungo in silenzio prima di mormorare: – Ma chi diavolo siete? – L’uomo al centro fece un passo avanti.
– Il mio nome è Shackleton – rispose con voce sommessa.
Di nuovo ci fu un grande silenzio.
Sorlle si voltò e pianse”.
Note
Si consiglia vivamente di aprire il file .pdf con il bel reportage che “La Domenica di Repubblica” ha dedicato all’impresa di Shackleton nel giugno 2014. Scritto da Giorgio Bertone – docente di Letteratura Italiana all’Università di Genova e amante (esperto) di montagne e di mari – che nell’ottobre 2013 ha ripercorso la rotta e i percorsi di Shackleton e ne racconta in questo bel servizio: “Sulle tracce dell’Endurance”. Insieme, un altro articolo di Stefano Malatesta
Estratto da “La Domenica di Repubblica” pp. 23-25 del giugno 2014 (N.d.A.) : Estr. da La Domenica di Repubblica del 29.06.2014
Notizie e foto della spedizione riportate sono state riprese e sintetizzate ibidem dal libro di Alfred Lansing del 1959; dal libro fotografico di Frank Hurley e da Wikipedia – I riferimenti bibliografici saranno approfonditi nella prossima puntata]
[Shackleton (2). L’epopea della sopravvivenza – Continua qui]
Aggiornamento del 31 gennaio 2019 (v. Commento)
File .pdf da la Repubblica del 31 gennaio 2019: Alla ricerca della Endurance

Sandro Russo
31 Gennaio 2019 at 08:26
Aggiorniamo questa bella pagina dell’esplorazione del Polo Sud, con un articolo comparso oggi su la Repubblica, di una missione scientifica alla ricerca della Endurance, la nave di Shackleton stritolata dai ghiacci nel 1915.
Nell’articolo di base una foto e il file .pdf dell’articolo