La maggior parte delle persone attente alla parola dei giornali scritti, parlati o visti, è a conoscenza del significato giornalistico della parola “coccodrillo”.
Si tratta di quell’articolo, sempre pronto, con il quale si può annunciare l’avvenuto decesso di una persona (in genere importante), riportandone la biografia, i dati salienti della illustre vita vissuta, non dimenticandone le virtù e il vuoto incolmabile causato dalla sua scomparsa.
E’ ciò che puntualmente si verifica anche sul sito di Ponza racconta.
Non si fa in tempo a morire (magari in santa pace) che il “coccodrillo” appare come una cambiale “svizzera” in scadenza.
E non si lesinano aggettivi e frasi altisonanti per ricordare e compiangere persone che hanno avuto il solo torto di lasciare questa vita prima dei loro estimatori.
Il detto latino “parce sepulto” (sepulto: dativo maschile singolare e non accusativo, in quanto il verbo parcere regge il dativo) che vuole dire: “porta rispetto per chi è morto” o “risparmia di parlar male dei morti”, viene costantemente amplificato nel “coccodrillo” dalla descrizione di doti e apprezzamenti della vita terrena del deceduto, di cui magari lui stesso, in vita, non si è mai reso conto.
“Parce sepulto” è, dunque, nel DNA dei giornalisti cultori del “coccodrillo” e la genetica non può essere ancora modificata. Ciò che si può modificare è l’effetto della genetica sui comportamenti “coccodrilleschi”.
Infatti il mio personale pensiero, condiviso da più persone, è che se uno era buono e mite da vivo, potrà rimanere altrettanto nel nostro ricordo da morto, ma se uno era stato esattamente l’opposto, il ricordo di lui non potrà essere correlato a doti che non aveva mai avuto durante la sua esistenza.
Magari, parliamo invece bene di noi quando siamo ancora in vita, volendoci un po’ più di bene e mostrando un po’ più di comprensione l’uno per l’altro. Lo ha detto anche quel giovane di Nazareth, che per le sue parole subì il martirio della croce: “Amatevi gli uni con gli altri”.
Per non arrivare a vivere quell’aforisma riferito a Sacha Guitry che suona così: “se quelli che parlano male di me, sapessero quello che io penso di loro, direbbero molto peggio!”.
La saggezza di chi “pensa” rispetto alla insipienza di quelli che “parlano”.
Post scriptum: nell’ipotesi di una mia dipartita, vi prego, risparmiatemi il “coccodrillo”! Anche perché se rimarrà di me un buon ricordo, vorrà dire che non sarò vissuto invano, ma soprattutto perché andrò a tirare i piedi di notte ai miei estimatori postumi (!).
Io amo chi mi ama. Non posso amare chi mi amerà.
Sandro Russo
22 Luglio 2014 at 06:00
Caro Silverio,
se non lo chiamassi “coccodrillo” nell’accezione sarcastica che usi – in cui personalmente non mi riconosco, né ritrovo nel sito – ma ne rilevassi l’aspetto di partecipazione e di affetto, ecco che torniamo all’importanza di aver condiviso del tempo insieme con la persona scomparsa, al senso di quel vivere, alla speranza di non essere passati invano. Cioè al “ricordo” in senso umano, non giornalistico.
Con affetto
S.
vincenzo
22 Luglio 2014 at 09:30
“Nel mondo com’è: torbido, perché siamo torbidi e miope, perché siamo miopi. E poiché tutto è stato detto nella pianura di polvere di cui si nutre il ricordo, noi crediamo di aver bisogno ancora di un po’ di concentrazione prima di porre il caro sottoterra.
Un tempo lungo quanto sensibilità personali o i cunicoli che egli è riuscito a scavarci di dentro. Dovremo percorrerli per rintracciare il canto nel vacillio delle cieche certezze, delle visioni chiare.”
http://www.testitradotti.it/canzoni/francesco-de-gregori/festival