Questa domanda l’abbiamo sentita rabbiosamente forte fra i ponzesi negli ultimi anni. Da quando il Piano per l’Assetto Idrogeologico (PAI) elaborato dalla Regione Lazio ha sancito la pericolosità pressoché totale delle coste dell’isola di Ponza.
La domanda, più proliferava, più si abbrutiva, ma non trovava risposta. Perché? Perché occorrono competenze geologiche e addentellati con ambienti politici. Cose estranee al popolino che perciò si arrabbia, mugugna, diviene rozzo.
Il Convegno dei geologi a Ponza ha offerto l’occasione aurea di portare i geologi a vedere come le norme debbano coniugarsi con l’umanità dei luoghi. A prendere atto pratico delle conseguenze degli elaborati in sede tecnica. E a parlarne pubblicamente. Tanto è vero che la portavoce dei Restauratori Senza Frontiere, Alessandra Morelli (leggi qui l’articolo e il commento), ha mostrato chiaramente – su questo Sito – il nocciolo dei problemi: “ci si sofferma a mettere in sicurezza l’arcipelago ponziano e non si fa altrettanto sulle tanto amate Dolomiti”.
La risposta, come scrive ella stessa, sta nella babele normativa in cui si aggrovigliano le direttive delle diverse regioni italiane. Ma forse ragioni stanno anche nella valenza politica delle stesse regioni, nella sensibilità ambientale dei Responsabili, nella loro decisione di approcciarsi ai rischi per farli diventare risorse.
Alessandra Morelli auspica una “rivoluzione culturale” ché porti le Regioni ad operare affinché i rischi reali, obiettivi, ineliminabili non divengano ostacoli mentalmente invalicabili, strategicamente non affrontabili.
E’ per questo che è da plaudire a chi ha organizzato il convegno, così come sono da ringraziare i Relatori, perché hanno tenuto in conto la vivibilità dell’isola.
Concetti che hanno mosso la sensibilità dei “Restauratori senza Frontiere” a partecipare a fianco dei Ponzesi. I quali si aspettano, da questa presa di coscienza ampia e dettagliata, di vedersi considerati meno isolati.
Immagine di copertina: Chiaia di Luna al tramonto (cliccare per ingrandire)