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E torniamo all’idea di bene comune, un tema oggi molto attuale anche sulla spinta dell’attualità di argomenti quali il riscaldamento globale, la depauperamento di ecosistemi unici (esempi: le risorse ittiche; i grandi spazi verdi del pianeta), la perdita di biodiversità… tutti beni comuni dell’uomo.
I beni comuni o risorse comuni (in inglese ‘commons’) sono beni utilizzati da più individui,
Includono concetti giuridici fondati su:
– la difficoltà di esclusione di un individuo dalla fruizione del bene (escludibilità);
– il fatto che il suo consumo da parte di un attore riduca o meno le possibilità di consumo degli altri (sottraibilità).
La copertina del libro di Ugo Mattei, giurista e docente all’Università di Torino, fra i promotori del Forum nazionale del movimento dell’acqua pubblica: Manifesto per i Beni Comuni, 2011; Laterza Ed.
Un libro recente di Ugo Mattei chiarisce una certa confusione esistente intorno al concetto di ‘bene comune’ per i quali disponiamo soltanto di parametri limitati; sostanzialmente quelli che li definiscono di pertinenza pubblica o privata.
L’idea di ‘bene comune’ investe l’intera forma del vivere e della percezione: comune è il lavoro, che dovrebbe essere riconosciuto a misura d’uomo e regolato da condizioni dignitose e costituzionali; comune è l’acqua, che non possediamo, ma da cui dipendiamo per la sopravvivenza; comune è la politica dei movimenti, che diffonde l’attivismo senza ingabbiarlo in logiche partitiche.
Da un punto di vista normativo i beni comuni costituiscono un’area extra-territoriale del diritto per quanto riguarda l’appropriazione da parte dello stato o dei privati.
Muovendo dal Medioevo e passando dalla costituzione seicentesca dell’assolutismo statale fino all’Illuminismo, Mattei dimostra che in nessun caso i beni comuni sono stati concepiti in termini di libertà di accesso alla disponibilità delle risorse condivise.
La situazione normativa italiana fa riferimento a norme obsolete del 1804. Nel 2007 una Commissione ministeriale è stata istituita al fine di dettare una nuova più moderna normativa di riforma del Codice Civile.
In quel disegno di legge venivano descritti i “beni comuni” su un piano giuridico come quei beni che non rientrano in senso stretto nella specie dei beni pubblici, poiché sono a titolarità diffusa, potendo appartenere non solo a persone pubbliche, ma anche a privati. Ne fanno parte, essenzialmente, le risorse naturali, come i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque; l’aria; i parchi, le foreste e le zone boschive; le zone montane di alta quota, i ghiacciai e le nevi perenni; i tratti di costa dichiarati riserva ambientale; la fauna selvatica e la flora tutelata; le altre zone paesaggistiche tutelate. Vi rientravano, altresì, i beni archeologici, culturali, ambientali.
La commissione, voluta da Clemente Mastella e presieduta da Stefano Rodotà, ha presentato al Senato della Repubblica su tali temi un disegno di ‘legge delega’ che non è mai giunto alla discussione parlamentare.
Il bene comune della terra, di Vandana Shiva. 2006; ed. Feltrinelli
Vandana Shiva (1952) è una scienziata indiana, ambientalista e attivista nota in tutto il mondo, tra gli esponenti di spicco del movimento democratico globale. Nel 1993 ha ricevuto il Right Livelihood Award, cosiddetto Premio Nobel alternativo.
Nel libro di cui sopra è presentata la copertina, Shiva fa il punto sulle battaglie che anche grazie al suo contributo hanno assunto un rilievo internazionale: la lotta contro la privatizzazione delle risorse naturali, i brevetti sul vivente e l’impiego di organismi geneticamente modificati in agricoltura e nella produzione alimentare riconducendole a un progetto politico, economico e culturale di democratizzazione della globalità. L’Autrice delinea dunque una alternativa alla globalizzazione economica, che giudica responsabile non soltanto della catastrofe ecologica imminente, ma anche dell’avvento dei fondamentalismi politici e religiosi.
Vandana Shiva considera i brevetti sul vivente e la privatizzazione delle risorse naturali come l’ultima frontiera di un colonialismo che aveva cominciato a manifestarsi già nel XVI sec. con la recinzione delle terre comuni britanniche.
La privatizzazione delle risorse comuni, insieme alla progressiva erosione dei beni e dei servizi pubblici e all’indebolimento dei meccanismi democratici di controllo dell’economia, costituiscono una grave minaccia in termini di sostenibilità ecologica e di sopravvivenza sociale.
L’idea che esista un’unica via nella risoluzione dei problemi posti dai beni comuni – sia essa l’ipotesi statalista o la suddivisione e privatizzazione delle risorse, idea di matrice essenzialmente economica – è stata messa in discussione da Elinor Ostrom (Premio Nobel per l’economia nel 2009..!) soprattutto con la pubblicazione di “Governing the Commons” (E. Ostrom, 1990).
La Ostrom confuta soprattutto l’idea che esistano dei modelli applicabili universalmente. Al contrario, in molti casi – storici e contemporanei – le singole comunità appaiono essere riuscite a evitare i conflitti improduttivi e a raggiungere accordi su una utilizzazione sostenibile nel tempo delle risorse comuni tramite l’elaborazione endogena di istituzioni deputate alla loro gestione.
Che è anche il motivo per cui siamo qui a definire i termini della conoscenza di base del problema.
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[Venezia, Ponza e il “bene comune” (2) – Fine]