di Rita Bosso
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Ci sono luoghi che costituiscono lo scenario neutro su cui si svolge una vicenda e che potrebbero essere sostituiti senza alcuna modifica sostanziale della narrazione; ci sono luoghi che impregnano la narrazione; ci sono luoghi che hanno il ruolo di protagonisti, sono insostituibili e restano dentro allo spettatore (o al lettore) più della vicenda o dei personaggi “umani”; mi viene in mente “Fiesta mobile” di Hemingway, letto decenni orsono: non ho il più vago ricordo delle figure e delle vicende che animano le pagine, ma il profumo di Parigi è incancellabile. Direi allora che Parigi sta a Fiesta Mobile come Ponza sta a Lo Stracquo (l’arte che viene dal mare): cambiare set è impossibile. Me ne convinco ulteriormente conversando con Carlo De Meo, artista formiano all’opera a Ponza nell’ultimo fine settimana di marzo, insieme a tre suoi colleghi.
Carlo, al pari di tutti gli artisti intervenuti sinora a questa rassegna, è partito per Ponza con un bagaglio leggero: nessuna idea su cosa avrebbe realizzato, nessun progetto; il “qui ed ora”, per tutti, è stato imperativo categorico; si sono avviati con mente aperta e libera, sarebbero stati i pezzi recuperati a dettar legge.
Questa settimana la raccolta del materiale di stracquo è cominciata a Frontone; se fosse avvenuta altrove, avremmo avuto un’opera diversa. Sotto al Fortino giaceva la scocca nera di uno scooter; l’immagine di un tuffatore si è formata immediatamente, si è dilatata, è esplosa nello spazio; l’oggetto, dice Carlo, reca un segnale chiaro di cosa diverrà, e aggiunge: “Il lavoro si è formato non attraverso l’adattamento degli oggetti trovati all’idea, all’immagine ma, al contrario, è stata l’immagine stessa a scaturire e ad adattarsi agli elementi raccolti… ecco che la scocca diventa l’elemento dettante, il seme da cui scaturisce l’idea e si forma l’immagine”.
Poi, su quest’idea, bisogna lavorare: le foto mostrano l’artista alle prese con i disegni preparatori, tanto più accurati quanto maggiori sono le dimensioni: nel caso del Tuffatore, lungo quasi tre metri, una volta individuati i punti fermi dettati dalla curvatura della scocca, sono state definite le dimensioni e i rapporti, in modo da non perdere l’anatomia. Contribuiscono alla composizione alcune assi erose dall’acqua ed elementi neri (tappi, catrame), tutti raccolti sull’isola. che formano il ginocchio, l’ascella, parte della testa e le mani.
Al centro delle opere di De Meo – non solo di quelle realizzate a Ponza- è un corpo, intorno al quale è organizzato lo spazio; spazio che non è un contenitore vuoto nel quale l’opera è immersa, ma è integrato nell’opera stessa, come appare dalla foto seguente, in cui la striscia di travertino del pavimento della sala del Museo incornicia la piattaforma dello stesso colore su cui il Tuffatore è adagiato. A proposito: il titolo dell’opera non è “Il Tuffatore”, ma “Bevo parole salate mentre guardo uno specchio di mare”.
Carlo De Meo si definisce “spazialista, concettualista ironico”; lavora in genere con materiali di recupero, quindi il concetto dello stracquo (non la parola) gli era noto già prima di partecipare a questo evento. In passato ha utilizzato oggetti di produzione industriale deformati, schiacciati per ribaltarne la visione.