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In occasione del 70° anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine – 24 marzo 1944 – riceviamo da F. Ferraiuolo questo ricordo di Mario Magri che ivi perì.
Magri, antifascista, già confinato a Ponza, aveva sposato la ponzese Rita Parisi.
l. R.
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Magri, nato ad Arezzo il 17/04/1897 da una famiglia di tradizioni risorgimentali, maggiore di artiglieria, fu volontario nella guerra del 1915-18, ferito due volte e decorato di medaglie d’argento e di bronzo.
Legionario fiumano a capo di un valoroso gruppo incaricato per il rifornimento di armi, vettovaglie e denaro, fu aiutante di campo di D’Annunzio, che gli conferì la medaglia d’oro.
Dopo il delitto Matteotti, si era opposto al fascismo e per questo dovette riparare in Marocco, dove, combattendo per la sua indipendenza, comandò le artiglierie del sultano Abd-el-Krim nella guerra contro il colonialismo francese e l’occupazione spagnola.
Ritornato in Italia, confidò ad un amico, rivelatosi poi un delatore del regime, il suo proposito di uccidere Mussolini.
Ciò gli valse l’arresto e il confino, sempre reiterato per complessivi 17 anni, salvo alcune interruzioni in carcere, dal 1927 al 1943, fino alla caduta di Mussolini, pur non essendo stato mai processato per non rischiare di coinvolgere, per i suoi passati legami, D’Annunzio, che fu garante per il suo rientro in Italia.
Confinato a Ponza dal 1929 al 1939, fatta eccezione per un breve trasferimento alla colonia di Lipari nel ‘32 per pochi mesi, fino alla chiusura della stessa, e di un “soggiorno” al Carcere di Poggioreale di Napoli nel ‘35, per otto mesi, fu sempre tra i protagonisti delle lotte dei confinati, collegandosi con l’avv. Placido Martini, il generale Bencivenga e altri esponenti liberali.
Appena trentaduenne, Magri era giunto a Ponza con la fama di uomo audace e leggendario.
Terracini scrisse in proposito: “…intorno a Lui era intessuta come una leggenda di paesi lontani, di guerre fra strani popoli, di fortezze, di evasioni”.
Magri era sempre in prima fila fino a guadagnarsi il rispetto e la stima di numerosi confinati come Francesco Fausto Nitti che di lui diceva: «era di carattere allegrissimo e simpatico. Era uno dei più popolari tra i compagni. Tutti stavano volentieri con lui, tutti gli volevano bene. Ed egli era con tutti gentile, buono, pronto ad essere utile».
Magri era anche grande appassionato di pugilato e di lotta greco romana; tentò di organizzare una palestra per i confinati che fu chiusa in breve tempo dai militi quando qualcuno di essi, in tenzone sportiva, venne da lui ridotto a mal partito.
Aveva anche fama di essere un “dongiovanni”; circolava voce che in Marocco avesse “sposato sette mogli tutte assieme”.
Tita Montagnani-Marelli Fusco nel suo libro “Milano, cronache familiari” a tale riguardo scrive che il capitano di cavalleria “Sagri”, “finito in Africa” e “segretario di Abd-el-Krim” [Sagri evidentemente sta per Magri] appena arrivato alla colonia di confino di Ponza “tutti i confinati gli si fecero intorno e, come usavano fare sempre, vollero sapere tutto di lui. Il capitano raccontò ciò che voleva far sapere e non di più, ma accennò, un po’ seriamente e un po’ sorridendo sotto i baffi, alle sette spose, di cui sentiva la mancanza…
Gli altri si divertirono un mondo e lo incitarono a mandare una petizione al ministero dell’Interno perché gli permettesse di tenere con sé la sua sposa-gruppo. Tutti si davano di gomito e si sganasciavano dalle risate al pensiero di Mussolini, che si sarebbe trovato di fronte una richiesta di tal genere…”.
Qui finisce il gossip: la storia dimostra, invece, che a Ponza Magri trovò l’amore vero.
Quando la ventenne Rita Parisi, orfana da tenera età e presa in cura dallo zio prete, divenne l’oggetto del corteggiamento di Magri, fu colta da sentimenti contrastanti: da un lato, ella si sentiva attratta dal quel confinato così fine e con una storia tanto interessante; dall’altro, la fama di “dongiovanni” le suscitava una certa diffidenza.
Tuttavia, un giorno, trovandosi a casa di una sua zia, ella ebbe modo di conoscere Mario Magri e da lì si sviluppò una grande storia d’amore, che fu avversata dalle autorità fasciste e dal suo zio prete.
Magri fu trasferito d’urgenza alla colonia di Lipari e Rita fu cacciata dallo zio prete e obbligata a trovare ospitalità presso una parente a Napoli.
Alla chiusura della colonia di Lipari, Magri fu rispedito a Ponza, dove anche Rita, di lì a poco, fece ritorno.
La relazione tra i due riprese tra mille difficoltà e impedimenti, specie per l’incessante pedinamento cui Magri era sottoposto, sicché Rita, sia per tale ragione, sia perché aveva cominciato a maturare sentimenti antifascisti al punto da essere considerata una sovversiva, subì il provvedimento dell’ammonizione.
Ma nulla poterono tutti gli accorgimenti messi in atto dal regime fascista per avversarli, tanto che essi il 7 novembre del ’35 riuscirono a sposarsi in Comune, finanche qui molestati dalla polizia, con il rito civile ed andarono ad abitare nelle vicinanze della piazzetta della Dragonara.
Alla chiusura della colonia di Ponza, nel ’39, Magri fu trasferito al confino di Tremiti, ivi raggiunto successivamente, dalla moglie. Fu quindi spostato, da internato, a Cirò prima, a Petronà poi, entrambi in provincia di Catanzaro ed infine a Pescopagano, in provincia di Potenza, dove, il 25 luglio del 1943, fu liberato.
La ponzese Rita Parisi, nell’appendice del libro, uscito postumo, redatto dallo stesso Magri “Una vita per la libertà”, scrive: “Al termine del nostro confino, credemmo che fossimo finalmente liberi, ma non c’era da farsi illusioni: la continuazione della guerra, la liberazione di Mussolini da parte dei tedeschi, l’Armistizio, la fuga di Vittorio Emanuele a Pescara, tutte queste cose fecero sì che il mio consorte, con tanti altri animosi italiani, dovette continuare ad affrontare una lotta aspra e dura che gli fu fatale”.
Si rifugiarono a Pieve di Cento, presso la mamma ed il fratello Carlo, entrambi sfollati, e poi a Roma, dove, dopo tante peripezie, riuscirono a trovare alloggio nell’appartamento dell’Ing. Giacomo Coen, al Largo della Gancia, n. 5.
Qui, con i vecchi amici del confino ponzese Placido Martini e Silvio Campanile, organizzarono il movimento clandestino denominato Fronte Unione Nazionale, che era in continuo contatto con le altre organizzazioni del Fronte della Resistenza operanti in Roma.
Essi organizzarono molte formazioni costituite dai soldati sbandati dopo l’otto settembre del 1943, provenienti prevalentemente dalla Marina e dal battaglione di Sardegna che, son parole di Rita, “non volevano subire l’umiliazione e l’oltraggio della Patria insidiata dai fascisti e dai tedeschi”.
Diversi gruppi di militari sbandati si collegarono a quel movimento clandestino, di cui Magri era il capo militare, per essere assistiti e rendersi utili; tra loro anche alcuni militari ponzesi: Ettore Mazzella, Totonno Scotti, Furio Conte e Salvatore Verde, i quali trovarono rifugio nel retrobottega della cartolibreria di Silvio Campanile in via dei Serpenti in Roma.
In seguito ad una delazione, Magri venne arrestato dalla polizia fascista assieme a molti suoi compagni il 26 gennaio del 1944, consegnato alle SS e imprigionato in via Tasso dove venne più volte torturato.
Si ha notizia che fu rinchiuso nella cella numero 1 assieme ad altri detenuti tra cui Carlo Zaccagnini, don Pietro Pappagallo, che ispirò il personaggio interpretato, poi, da Aldo Fabrizi in Roma città aperta di Roberto Rossellini, il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, capo del Fronte Militare Clandestino.
Successivamente, come si sa, egli fu ucciso, fucilato nelle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944, insieme ai suoi compagni del confino ponzese, Placido Martini e Silvio Campanile.
Per dovere di cronaca, va detto che nella stessa circostanza fu fucilato anche l’Ing. Francesco Savelli, lo scopritore del giacimento di bentonite bianca di Le Forna.
Mi piace concludere con l’immagine che Umberto Terracini ci lascia di Mario Magri e Rita Parisi: “Essi passavano, mano nella mano, con un sorriso ineffabile trascorrente dall’una all’altra bocca. E noi, chiusi in una solitudine sentimentale che ci inaridiva il cuore, coglievamo quel rapido bagliore di felicità con i nostri sguardi invidi, e tuttavia quasi confortati. Come se fossero una promessa per ognuno che la gioia, l’amore non erano morti nel mondo. Ed ancora li avremmo conosciuti”.