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Un caloroso bentornato al Gianni Paglieri – “vero comandante di vere navi”, scrivemmo all’inizio – con cui non abbiamo mai interrotto il filo dei pensieri scambiati, anche se non sono apparsi su queste pagine.
Il recente scritto di Gabriella Nardacci (leggi qui) lo ha convinto a scrivere ancora per noi.
La Redazione
L’articolo di Gabriella é scritto bene ma é amabilmente “ruffiano” perché “racconta” i marinai nella maniera in cui tutti quelli che marinai non sono, desiderano che i marinai siano raccontati… Scusate il periodare faticoso…
Il titolo é poetico anche se il “vento leggero” a me fa venire in mente il Profeta Elia che dopo aver ucciso 450 sacerdoti di Baal fuggì sul monte Oreb dove incontra Dio non nel fuoco, nel terremoto ma… in un vento leggero (1Re 19,11-13).
Comunque questo titolo mi sta bene perché il mare é poesia …e come la poesia può essere “inafferrabile e incomprensibile”.
Come accade con una donna, per amare il mare bisogna averlo nel cuore; come una donna il mare non accetta di essere amato soltanto se é calmo, azzurro e scintillante, non chiede di essere blandito o accarezzato invano; chiede rispetto.
Ma come tutte le storie d’amore, il nostro rapporto col mare é fatto di incomprensioni, di paure, di rifiuti, di passione e di odio…
Oggi i marinai non amano più il mare, spesso vanno a lavorare sulle navi come andrebbero in qualunque altro posto a terra… troppe volte tra il marinaio e il mare non c’é “feeling”.
A bordo delle navi i marinai non cantano più: stanno insieme giusto il tempo di “passarsi le consegne per la guardia”. Sono quattro gatti e il posto migliore dove stare é la loro cabina.
Una volta cantavano (credo) per tutte le cose che ha ben spiegato Gabriella ma anche per tenersi compagnia… perché il mare può fare paura anche al marinaio più incallito… e ogni marinaio sa che nella tempesta non c’é romanticismo… c’é soltanto da evitare che la tempesta entri a sconquassarci dentro.
Una volta, se il tempo era buono, i marinai stavano insieme in coperta, il mozzo caricava le pipe dei vecchi e andava a dormire, e i marinai parlavano di donne e di misteri (…sono parole che ho letto da qualche parte).
Sono cambiati i marinai, sono cambiate le navi… Solo il mare é rimasto lo stesso (anche se é meno pulito di un tempo) ma lo capiamo sempre meno e quando parliamo del mare ne parliamo come quello che lo ha guardato soltanto dalla riva… e poi… chissà perché, le parola “mare”, “marinaio” fan venire in mente un’avventura, una donna, un coltello… e soprattutto… sempre… una nave passeggeri.
Perdonate lo sproloquio… forse ho scritto tutto quello che potevo partendo da come cantavano i marinai.
Post Scriptum:
Per la canzone Cuccuruccuccu Paloma consiglierei quella cantata da Caetano Veloso nel film “Hable con ella” di Almodovar (2002 – vedi e ascolta sotto): una interpretazione che tocca il cuore e il film un capolavoro.
La poesia di Masefield é bellissima (soprattutto in inglese) e riguarda chi ha il mare nel cuore: sia che abbia navigato o che semplicemente ami il mare. Masefield la scrisse a vent’anni.
Gabriella Nardacci
2 Marzo 2014 at 23:16
Forse sarebbe stato più completo il mio pezzo, se avessi citato, in ultima analisi, anche De Gregori e Dalla con la canzone “Dove vanno i marinai…”.
C’è un ritratto meno romantico dei rudi uomini di mare in quel testo come, del resto, dev’essere se ogni uomo ha lati positivi e negativi.
È un onore, per me, essere stata citata da Gianni Paglieri nel suo pezzo. Certamente di marinai e di mare ne sa moooolto più di me ed apprendere altre cose come completamento di quelle che so, non può che arricchire il mio bagaglio.
Mi piaceva, comunque, dare dei marinai un’immagine “romantica” (in questo caso nel significato più banale del termine…) e mi sono astenuta dall’elencarne troppi difetti.
Credo inoltre che Dio abbia fatto la scelta giusta nell’aver scelto il vento leggero all’incontro con Elia sul monte Oreb, anzichè il fuoco… ma ovviamente quest’ultima cosa vuole essere solo una nota sorridente….
La poesia di Masefield, invece, la trovo di un romanticismo meraviglioso (io amo profondamente il mare, anche in tempesta…) e mi piace pensare che il poeta l’abbia voluta dedicare anche a… me, mentre, in tutta serietà, non riesco a capire come “La Paloma” sia finita nell’elenco degli shanty. Qualsiasi interpretazione o rielaborazione di essa, non hanno distrutto la passione e lo struggimento che si prova nell’ascoltarla. Io l’avrei, di certo, messa nel fado.
A Gianni Paglieri, con stima e cordialità, vanno i miei ringraziamenti.
Gabriella Nardacci