di Gino Usai
A Ponza il focaraccio (‘u fucarazzo) è un falò che si accende sulla spiaggia di S. Antonio sul far della sera al passaggio della processione del Venerdì Santo. Questa tradizione affonda le radici in tempi lontani. Negli anni Sessanta, quando io ero ragazzino, sulla spiaggia di S. Antonio se ne facevano ben tre. Il primo, il più grande, era composto esclusivamente da fascine di pennecilli. I contadini, molto numerosi in quegli anni, a febbraio iniziavano a potare le viti e i rami secchi venivano raccolti in fascine chiamate “pennecilli”. Queste fascine normalmente servivano per il focolare e venivano anche usate come barriere frangi vento per proteggere la semina nei campi. I contadini una quota, a malincuore, la davano ai ragazzini per il focaraccio del Venerdì Santo. Il secondo falò era composto da legname di vario tipo, e il terzo, il più piccolo, da soli cartoni. Partecipavano alla raccolta del legname frotte di bambini, che si sperdevano nelle campagne in cerca pennecilli. Il giorno tanto atteso del Venerdì Santo, i ragazzini aspettavano con trepidazione che uscisse la processione per accendere i falò. L’alto onore di accenderli toccava ai capetti, i capattas, i quali con una latta andavano a prendere la nafta alla Centrale Elettrica. Tornati sulla spiaggia intingevano le torce nel prezioso liquido, le accendevano e dopo aver cosparso altra nafta sulla pira, davano fuoco, proprio quando Cristo morto e l’Addolorata s’incontravano alla Punta Bianca. La Madonna scendeva dalla casa di Ersilia, sugli Scarpellini, portata a spalle dal fior fiore della gioventù maschile, mentre il Figlio proveniva dalla chiesa Madre, con in testa il parroco e le congreghe intonavano il funebre canto: “La Passione del Signore, i dolori di Maria, impressi sempre sian nei nostri cuori”. Anche Giancos faceva il suo focaraccio, e la notte splendeva di mille faville.
Con l’andare del tempo e con il mutare dei costumi, i ragazzini con minore costanza s’impegnorono nella raccolta dei pennecilli. Con l’arrivo del turismo l’isola perse la sua innocenza e la sua antica fede. La gioventù sbandò e i costumi cambiarono. All’innocenza subentrò la superbia, e col tempo l’arroganza e il tornaconto personale; andava sempre più scemando il concetto di comunità, che si ravvivava intorno alle feste religiose e al parroco. A mantenere viva la tradizione del focaraccio che si andava affievolendo, ci pensò lo spazzino comunale Renato Pasqua, il quale già dai primi di marzo cominciava ad accumulare sulla spiaggia qualsiasi cosa fosse utile per la combustione. Così il focaraccio pian pianino si trasformò in un ammasso di mobili e legname vecchio da bruciare. Negli anni Ottanta e Novanta, nel periodo del forte flusso turistico e con la grande espansione edilizia che portò in decine e decine di case al rinnovo di infissi e suppellettili, il focaraccio si trasformò in un immondezzaio orribile, nel quale spesso sono confluite anche le plastiche; un anno – ricordo – persino una barca in vetroresina venne fatta bruciare. Col tempo questa operazione di raccolta divenne appannaggio esclusivo di Renato, che restò padrone incontrastato dell’evento. Le generazioni che seguirono, persero l’abitudine di raccogliere legna e si rafforzò l’idea che il focaraccio fosse una cosa esclusiva di Renato; così ognuno si sentiva in dovere di ringraziarlo. Poi, col tempo, le cose si sono complicate. E’ intervenuta la Capitaneria di porto ad affermare la sua autorità sulla spiaggia di S. Antonio; successivamente è giunta la Protezione Civile a garantire la sicurezza, con tanto di apparato antincendio e agenti bardati a puntino. Insomma, pian pianino, il focaraccio ha perso la sua spontaneità e il suo antico fascino, assumendo un valore pagano, laico, quasi mercantile, diventando un’attrazione turistica, ormai priva di autentica fede religiosa. Poi Renato è andato in pensione ed ha lasciato l’isola. E naturalmente si è posta la domanda: e ora il focaraccio chi lo fa? Nasce quasi spontaneo, da solo, perché imperversa ancora la cattiva abitudine di trasformare il focaraccio in un immondezzaio.
Silverio Lamonica ha già parlato del focaraccio su questo sito e ha detto che “oggi se ne dovrebbe occupare la Pro Loco, qualche Associazione Culturale, come ‘La Compagnia del Trinchetto’ ecc. con il Patrocinio del Comune”
Io penso però che se il focaraccio viene organizzato dalla Pro-Loco o dal Comune, che razza di focaraccio è?
Il focaraccio devono farlo i ragazzini, perché così vuole la tradizione. Ma la tradizione è morta, perché i pennecilli non esistono più e non esistono più i contadini e i ragazzini, quando non sono oberati di compiti, preferiscono chattare su face book.
Torneranno più a bruciare i pennecilli nel Venerdì Santo e a palpitare i cuori di pulsioni innocenti?
Certo che si, ma solo quando i ponzesi faranno ritorno alla campagna e i bambini butteranno via il computer. Che è come dire: quando i fiumi saliranno sopra i monti.
Buona Pasqua a tutti e che sia una Pasqua di vera Resurrezione. Ne abbiamo un grande bisogno.