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La gioia che provavo quando la domenica mattina riuscivo ad arrivare a casa della nonna prima che rifacesse il letto e potevo così affondare, sprofondare negli enormi e morbidissimi materassi del suo lettone, è uno dei miei ricordi più antichi e allo stesso tempo più intensi. Non so perchè provassi una emozione così grande, non so perchè la ricordi ancora nonostante i tanti anni passati da quei giorni. So solo che conservo quei momenti tra i ricordi più belli della fanciullezza e nelle narici ancora mi sembra di sentire quell’odore forte e allo stesso tempo delicato d’a spicandoss’ (Lavanda spica), che dominava tutta la biancheria della nonna.
Il letto della nonna, come lo ricordo io, era costituito da un telaio in ferro che teneva unite e sorreggeva le testiere che erano in ghisa dipinte di un colore strano tra il verde ed il marrone con degli arabeschi floreali di un colore indefinito ma che forse in origine dovevano forse essere sui toni dell’azzurro. Agli angoli c’erano dei pomelli d’ottone che io all’epoca credevo fossero d’oro. All’interno del telaio c’erano due scranni in ferro battuto, che sorreggevano quattro larghe tavole in legno di pioppo, sulle quali poggiavano quattro enormi materassi di lana, due per lato. Avere un letto con quattro materassi di lana era – all’epoca – roba da ricchi. Ma in questo caso, i materassi di lana erano l’unica ricchezza materiale della nonna, che aveva però tanti altri talenti morali e di saggezza.
Ma torniamo al materasso. La stoffa era uguale per tutti e molto somigliante, per le caratteristiche righe verticali, al vestito che nei film indossano i carcerati.
I benestanti, per l’imbottitura, usavano la lana grezza. Quelli ricchi avevano addirittura due materassi di lana, come mia nonna che però – come ho detto – ricca non era.
La lana si comprava a chili e a Ponza la portavano in grandi sacchi di yuta. Era grigia e bianca con qualche raro ciuffo nero. Per la maggior parte proveniva dalle pecore sarde e veniva portata a Ponza o direttamente dai pescatori al ritorno dalle campagne di pesca, oppure dai bastimenti di armatori ponzesi che per molti decenni hanno avuto un ruolo preminente nei traffici marittimi Sardegna- Napoli che o all’andata o al ritorno una breve tappa a Ponza la facevano quasi sempre. Molto rinomata e ricercata era la lana di Tunisi ritenuta – non so dirvi perchè – migliore di quella sarda, tanto che quando qualcuno se lo poteva permettere e quindi inserirlo nella dote della sposa la cosa veniva evidenziata con molta enfasi durante l’apriezz’: “Due materassi di lana di Tunisi” diceva a voce alta l’apprezzatore ( colui che valutava il corredo della sposa – figura importante e di prestigio nella Ponza dell’800 e dei primi decenni del ’900.
Il materasso di lana però, oltre ad essere abbastanza costoso, tendeva a compattarsi con l’uso e perdere così la sua morbidezza (senza contare che poteva anche essere albergo per parassiti poco graditi, ma diffusi in quel tempo) così, con una certa frequenza, si dovevano “fa’ i matarazz’.
Mia nonna lo faceva ogni due o tre anni durante il mese di settembre, ma c’era anche chi lo faceva in maggio o giugno. La nonna chiamava a raccolta tutte le amiche del vicinato. Toglievano i punti che tenevano tutta la lana dai materassi e la mettevano in alcuni grandi cufanaturi (grandi contenitori in terracotta dalla forma svasata) e vi versavano sopra dell’acqua bollente che aveva lo scopo di eliminare gli ospiti non desiderati della lana. Dopo una vigorosa strizzatura per farla asciugare bene, veniva stesa al sole ‘ncopp’ all’astec’ per almeno due o tre giorni.
‘Ncopp’ all’astec’ ci potevi mangiare gli spaghetti. Si spazzava e biancheggiava ‘n’capo e piedi all’ann’ perchè vi si raccoglieva l’acqua potabile p’a piscina.
Dopo aver asciugato la lana, per farla tornare morbida e vaporosa, la nonna, insieme alle sue amiche la allargavano, ossia la cardavano a mano. Era una buona occasione per stare insieme, ridere e scherzare e raccontarsi storie.
A questo punto si chiamava ‘a materazzara, che era l’esperta a rimettere la lana nei materassi e fissare i punti col grande ago(u saccurale) per rimettere in forma il materasso.
C’era anche chi – disponendo di adeguate finanze – affidava tutto il processo alla materassaia di professione, che effettuava la cardatura con una macchina in legno che consisteva in una specie di altalena con tanti chiodi che strappavano la lana ridandogli la vaporosità originale.
Ma allora non tutti si potevano permettere i materassi di lana.
Era molto usato ‘u saccone un grande sacco di tela a strisce imbottito con foglie di pannocchie di granturco (‘i sbreglie). ‘U saccone a differenza del materasso di lana aveva due larghi spacchi laterali nei quali si allungava la mano per riassettare le sbreglie che col peso tendevano ad ammassarsi ai lati. Il letto con i materassi di sbreglie si chiamava a paraglione, era molto alto tanto che in alcuni casi per salirvi bisognava usare uno scannetto.
– …’E preparàt’ ‘u liett’ a paraglione? – Si domandava con una punta di malizia all’amica che aspettava il ritorno del marito dalle lunghe campagne di pesca. Era un modo di dire per sottolineare che il letto era stato preparato con particolare cura per un avvenimento importante.
Per mantenere ‘u saccone possibilmente morbido, ogni anno, nella stagione estiva, dopo la raccolta del granturco, il sacco veniva aperto e si buttavano le vecchie foglie che nel frattempo si erano triturate, per sostituirle con altre più corpose e fresche di annata.
I sbreglie si vendevano in balle che Barbaresca abbasci’u’puort’ portava dalla terraferma con la sua barca.
Questo materasso aveva il vantaggio di essere fresco d’estate ma lo svantaggio di essere assai rumoroso. Divertentissimo per noi bambini che amavamo sentire il profumo del mais mentre sprofondavamo dentro il materasso al minimo movimento.
Un’alternativa all’imbottitura di foglie di mais era costituita da quella fatta con “l’erba zolfina”. Si comprava confezionata in grosse trecce di colore grigio-verde, con la forma e la consistenza molto simile al crine animale, anche questa necessitava della cardatura manuale, era meno morbida della lana, ma molto più fresca nei mesi estivi, e soprattutto non era adatta a ospitare parassiti.
Galium verum (Fam Rubiaceae). In passato questa pianta è stata usata per vari scopi, ad esempio per riempire i materassi con le parti essiccate, oppure per allontanare gli insetti (sembra che uccida le pulci)
Ora dormo su un mega materasso in geoflex e lattice, con un telo impermeabile al sudore, caldo d’inverno e fresco d’estate. Si adatta automaticamente al corpo nelle sue varie posizioni e al suo peso, adagiato su una rete in doghe di legno che si sollevano con sofisticati comandi elettrici secondo le necessità.
Tutto questo dovrebbe garantire un sonno sereno e profondo ma io… chissà perché, continuo a sognare i grandi e morbidi materassoni della nonna…
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