Riprendiamo dal sito dell’Associazione Cala Felci, sezione “Racconti, Storia e Tradizioni” e con l’assenso dell’Autore, questo scritto su Zi’ Innàr’.
La Redazione
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Zi’ Innàr’ era un contadino dal portamento dignitoso e fiero che abitava sopra i Conti nella casa che si trova proprio sotto la Grotta del Serpente.
Non era un granché acculturato, come d’altronde la maggioranza dei contadini ponzesi agli inizi del ’900, ma il suo eloquio – educato, cerimonioso, farcito di santi, madonne e citazioni bibliche – lo facevano sembrare detentore di un sapere ben più elevato di quello effettivamente posseduto.
Eppure Zi’ Innàr’ di cose ne conosceva tante. Oltre ad essere un eccellente contadino possedeva la grande sapienza della “medicina dei”: in parole povere era un guaritore appartenente alla categoria spiritual-religiosa.
Egli guariva qualsiasi male per mezzo di riti religiosi.
Nascosto tra vecchie carte ingiallite è arrivato fino a noi il rito con il quale Zi’ ’Innàr’ guariva la “resibbia” che era un’infezione cutanea molto temuta e diffusa in quel tempo probabilmente a causa delle scarse condizioni igieniche [‘a resibbia: l’erisipela – vedi Nota 1)].
I sintomi erano arrossamento della pelle con piccole macchie dal colore più intenso.
Duomo di Milano. Giovanni Battista Crespi detto ‘Il Cerano’ (1610). Miracolo di Aurelia Degli Angeli
L’ammalato si recava a casa di Zi’ Innàr’, il quale prendeva un ciuffetto di lana tagliata al momento da una pecora, lo immergeva nell’olio e poi lo riscaldava sulla “squarcessa” che era una bugia di porcellana a due manici con al centro una candela accesa.
Con il batuffolo di lana così preparato segnava i bordi dell’infezione cutanea e poi faceva delle croci all’interno. Il tutto mentre ripeteva per tre volte questa preghiera:
“Quand’ Gesù Cristo ieve cammenann’,
scuntaie a Resibbia:
– Resibbia maledetta donne vaie?
Vaco addò ’nu cristiano p’u fa muri’ spasemann’,
però nun m’accide e num’m’ammazza’.
Piglia ’nu cierno ’e lana pecurina
augliata c’u nomm’ ’e Dio
Mamma Maria e la Resibbia se ne va p’a via”
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Nota 1) – L’erisipela è un’infezione acuta della pelle, che coinvolge il derma profondo ed in parte l’ipoderma, causata da batteri piogeni (produttori di pus); il principale responsabile è un tipo di streptococco, ma talora risulta in causa uno stafilococco o altri germi meno comuni.
In passato l’erisipela era una malattia estremamente grave, con un tasso di mortalità che negli anziani e nei bambini sfiorava il 100%. Nelle prime incisioni dermatologiche ottocentesche vengono riportate le prime fedeli immagini dell’erisipela.
Il Cerano (il pittore barocco Giovanni Battista Crespi) nel 1610 dipinge nei “quadroni” del Duomo di Milano il miracolo di Aurelia degli Angeli, affetta appunto da erisipela. L’episodio, con una bella descrizione della malattia, è narrato nella “Vita di Giussano” (1610): “Aurelia delli Angeli di Milano aveva la gamba sinistra molto guasta dal male del canchero, con alcuni buchi profondi in essa, per la carne, e li nervi marciti, uscendo dalle invecchiate piaghe di tre anni, insieme con molta copia di materia carognosa, tanto gran fettore, che l’istesso Cirurgico veniva quasi meno nel medicarla. La gravezza di questo male gli teneva addosso la febbre continua, non potendosi trovare medicamento potente a sanarla (…)”
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[Zi’ Innàr’ ’i mar’e coppa. (3). Continua]
Gennaro Di Fazio
16 Dicembre 2013 at 23:20
Io sono testimone di me stesso della guarigione della “resibbia” (erisipela) conseguita con le stesse pratiche descritte in questo articolo, allorquando da bambino, potevo avere intorno ai 5 anni, la contrassi sul mio avambraccio. All’epoca abitavo in via salita croce, vicina alla casa di Zia Marietta (Maria Conte) la cui madre, “Lucie ‘i scerocche” al secolo Lucia Migliaccio classe 1880, si diceva avesse il potere di guarire. Il mio ricordo non è nitido, anche se rammento questa vecchia, che io chiamavo nonna Lucia, sempre vestita di nero la quale praticava il rito della lana intinta nell’olio e il pronunciamento di alcune preghiere che a me risultavano incomprensibili: le cosiddette giaculatorie. Di questo mio ricordo sono certe due cose e cioè che l’infezione guarì, anche se non so in quanto tempo e se dopo una o più applicazioni, e che la lesione cutanea era sicuramente erisipela, da me poi verificata quando, durante il corso di laurea in Medicina e Chirurgia, ritrovai sul libro di patologia medica la stessa immagine che avevo visto da bambino sulla mia pelle.
Gennaro Di Fazio
sandro vitiello
17 Dicembre 2013 at 07:40
Zì Innar era conosciuto per la sua saggezza e per i suoi “doni” anche a Le Forna.
Racconti della mia famiglia dicono che ad un certo punto lui decise di lasciare a qualcuno le sue conoscenze.
Scelse quattro persone dell’isola tra cui una donna: la mia nonna materna, Apollonia Feola.
Di questi quattro ragazzi due vennero subito allontanati o se ne andarono per loro scelta.
Rimase solo la mia nonna e l’altro suo compaesano di cui non ricordo il nome.
Mia nonna apprese e si mise a disposizione soprattutto per una pratica molto utilizzata fino agli anni sessanta: la “novena”.
Era questo un modo di comunicare a distanza, anzi più precisamente percepire a distanza della condizione di persone di cui si voleva sapere il destino.
Ho sentito anche un’altra storia ricca di dettagli sulla capacità di Zì Innar di condizionare il destino delle persone.
Un pochino macabra ma che affermava della capacità di quest’uomo di aggiustare soprusi che soprattutto i più deboli subivano.
Il mondo ponzese della magia ha anche un’altra appendice nelle vicende dell’isola de La Galite.
I ponzesi che vi andarono ad abitare portarono a Jalda anche tutte le loro conoscenze spirituali.
Ne ho scritto qualche anno fa nel mio blog
http://lacasadeisacco.blogspot.it/2013/11/zio-peppino-e-la-magia-dia-ponza.html?q=zio+peppino
Tutta la storia della nostra isola ha sempre avuto figure come quella di zì Innar; non così complesse e autorevoli ma ognuna con una sua specificità.
L’arte di “appercandà” le malattie, di tirare via i porri, di aggiustare le ossa, di togliere il malocchio, dell’uso del papagno erano parte di una ragnatela di relazioni che permetteva di risolvere a “costo zero” tanti malanni e disagi che la gente della nostra isola viveva.