di Francesco (Franco) De Luca
Quando questo stato meteorologico si insedia sull’isola, Ponza ridiventa un brandello di roccia immerso nel mare: approdo insicuro per natanti e uomini, ultimo riparo ai contrasti della natura e primo appiglio per rinsaldare il legame con la vita.
Infuria il mare da est, da sud-est, e le onde nel frangersi alzano pinnacoli di spruzzi sul masso della Ravia, sul costone delle Grotte Azzurre, e le case di Santa Maria e di Giancos vengono lavate di salmastro.
Ribolle il mare nel porto. Turgido si gonfia a riprese, sale sulla banchina Di Fazio, sulla Banchina Nuova.
La nave con tutte le funi che la tengono avvinta alle bitte sembra un malato sul lettino in ospedale con tubi e tubicini. Una fune si lamenta nell’essere sollecitata e il portellone ne accompagna il gemito. Una pena … ! Tale e quale a quella stampata sui volti dei marinai, attenti e tristi.
Le barche da pesca invece sono guardate a vista dai loro padroni. Bivaccano costoro, appoggiati al muro, parlano fra loro, si intendono con quelli che sono andati a bordo a rinforzare gli ormeggi, a migliorare i parabordi, perché gli scafi sussultano sotto la spinta del mare.
Greco e levante, questo è il vento, e il mare vi si sottomette.
I nostri marinai ne conoscevano le sembianze e gli effetti, e si paravano con i panne ‘i ll’acqua perché di solito s’accompagna la pioggia. Come è accaduto per tutta questa giornata.
I pescatori guardano le barche, ne vorrebbero placare l’eccessiva motilità, ma soprattutto vorrebbero prevedere il decorso del tempo, ora che le ombre della sera incombono.
L’isola, i vicoli, le strade, i quartieri divengono un nulla, di fronte alla potenza del tempo che impone il suo dominio di impedimento.
Insegnava, questo sentimento di umana fragilità, l’umiltà, la solidarietà, la condivisione.
L’isola non si vive nell’egoismo.
Luisa Guarino
2 Dicembre 2013 at 17:40
Leggendo questa mattina il quotidiano Latina Oggi sono rimasta sconvolta da un titolo che parlava di ‘bora’ sul Golfo di Gaeta. Oddio, mi sono detta, va bene che il mondo si è ‘arrevotato’ e non si capisce più niente, ma so che quel vento spira solo a Trieste. Devo chiedere lumi, mi sono detta. Per fortuna poi leggo lo scritto dell’amico Franco (Francesco De Luca) il quale ristabilisce la verità: greco/levante, ora sì che ci siamo! Anche se quelle foto bellissime e impressionanti mettono i brividi. A questo proposito ricordo quanto mi ha detto alcuni anni fa Mario Iozzi, la cui figlia Maria Francesca vive appunto a Trieste: quando lì c’è la bora, dopo qualche giorno quel vento forte oltrepassa gli Appennini e da noi arriva il levante. Quelle parole mi sono rimaste impresse, e da allora quando vedo che la bora flagella Trieste, so dopo un po’ a noi tocca il levante. Grazie dunque a Mario, e soprattutto a Franco.
polina ambrosino
3 Dicembre 2013 at 00:42
Il Greco è il vento che spira da nord est, il temutissimo vento per noi ponzesi. La Bora viene dalla medesima direzione, per cui essa è associabile al Grecale. Ecco perchè si sarà detto cosi per quanto riguardava Gaeta. Accade spesso, infatti, che quando a Trieste c’è la Bora qui da noi fa Greco e Levante, che non vengono da sud est, ma da Nord, Nord Est.
Francesco De Luca
3 Dicembre 2013 at 00:49
Errore mio! Il grecale è vento che viene da nord – est.
Faccio ammenda e mi scuso con i lettori. La descrizione è veritiera, menzognera è la mia indicazione.
Francesco De Luca
Pasquale
12 Dicembre 2013 at 17:25
Caro Franco
Il Levante/grecale è un vento impetuoso. A me ha sempre affascinato forse perché fresco, teso e soprattutto pulito. Il libeccio, invece, o peggio ancora lo scirocco rende il mare torbido. La spuma bianca mi rallegrava gli occhi. Mi manca. Qui, dove abito, non lo vedo ergersi nel mare; in lontananza solo la “refola”. Una volta, mentre andavo nell’isola dei Sardi, mi trovai nel bel mezzo di un maestrale furioso: onde che si rincorrevano, spuma bianca, nave come impazzita. Giocavo con la nave e con lo spettacolo della natura. Già lo avevo avvertito durante la notte; alle prime luci dell’alba, livida, ho visto il cammino del mare. Lui lo sa, mi rincorre e si palesa ogni qual volta oso solcare il mare. Come quando mi sollevava e mi abbassava sulla grande prua di una nave diretta là dove, in un periodo dell’anno, il sole non tramonta mai. Vento e spuma e la prua che, imperterrita, cozzava, avanzando, contro queste: furiosa e quasi perenne lotta.
Al tempo in cui vuota era la Rada, dal balcone di casa mia non riuscivo a staccare gli occhi da quell’albero che, in lontananza, si piegava e si raddrizzava e dalle onde che flagellavano la Ravia, salendo su e sempre più su, nell’incavo, come già ho scritto, verso la vecchia casa diroccata. Per non parlare, poi, degli spruzzi enormi che salivano dietro il Lanternino e ricadevano sulla piccola spiaggia della Caletta. Felici sensazioni! Come dice Leopardi i pensieri vagavano nel nulla o erano totalmente assorbiti da quell’immenso, ammaliante spettacolo.
Ora quelle cose lì non ci sono più. Gli occhi sono piegati verso aggeggi elettronici e quindi sono rivolti sempre in basso anche se, dicono, spaziano nell’etere. Ho, però, la percezione di qualcosa di freddo, di artificioso. E’, forse, soltanto una sensazione. Lascia, intanto, che io faccia una riflessione su questo tuo scritto, bello come tutti: il vento, bello, pulito, anche se impetuoso, arriva; poi, nella sua corsa, “scalomma” (si dice così?) a chella vanna” ( scavalca la collina) e se ne va, portandosi dentro e dietro tutti i pensieri e le considerazioni.
Restano solo gli uomini, i quali non si guardano intorno – chissà perché – ma guardano, pensierosi e preoccupati, soltanto le… barche (non so se m’intendi).
Un augurio, senza amarezza,
Pasquale