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Nel 1963, esattamente mezzo secolo fa, il Dr Silverio D’Atri (1898 – 1979) pubblicò il volumetto di poesie Faville dell’anima [Edizioni Xerografiche Vercellini – Verbania, 63 pagine]. Sono sonetti ed odi pervasi da una profonda e sentita religiosità. È un po’ come tornare alle origini, perché la storia della letteratura italiana inizia proprio con la poesia religiosa di San Francesco e Fra Jacopone Da Todi. E nel leggere questi sonetti ed odi, sorge spontaneo l’accostamento a Fra’ Jacopone, per ciò che riguarda il disprezzo per la vanità umana, l’amore per la Vergine Maria e il mistero della Passione.
In merito alla spiritualità di questo nostro concittadino, l’amico Franco De Luca ha già pubblicato, su questo sito, un articolo molto interessante (leggi qui).
Pertanto io mi limiterò ad aggiungere altri cenni biografici (appresi dalle sue figlie: la maestra Giulia e la Sig.na Genoveffa) tratteggiandone la figura soprattutto come medico e come uomo, per comprendere meglio il personaggio.
Silverio D’Atri nacque a Ponza il 16.12.1898, da Silverio (Sr) e M. Giuseppa Conte, ultimo di otto figli, di cui ricordiamo il primogenito Giovanni (il panettiere) e Luigi (il farmacista, sindaco di Ponza nell’immediato dopoguerra, nonché suocero del Dr. Francesco Sandolo, a sua volta primo cittadino per oltre un ventennio).
Il loro genitore, ufficiale del Dazio tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900, fu coinvolto, suo malgrado, nel crac della Banca Romana (20.01.1893), perché qualche giorno prima aveva inviato i soldi appena percepiti dai contribuenti, proprio a quell’Istituto. Sicché dovette poi risarcire chi di dovere e per questo motivo fu costretto a vendere parte della proprietà e il titolo di duca ereditato dal padre Gaetano. A tale proposito bisogna precisare che una sua antenata, Maria Coppa, sposò in seconde nozze – a Ponza – Don Cesare del Tufo, nipote di Sant’Alfonso de’ Liguori. (La famiglia D’Atri, negli anni ’30 del secolo scorso, donò alla Chiesa di Ponza un quadro del Santo, autore della celebre pastorale “Quanne nascette Ninno..”, ereditato da quel loro avo).
Silverio si laureò in medicina e chirurgia all’Università di Napoli il 5 luglio 1924, ma non cessò – con la laurea – di approfondire le conoscenze nel vasto campo della medicina, specializzandosi – nella medesima Università – in Pediatria col Prof. Rocco Jemma, in Anatomia Chirurgica e operazioni, Urologia, Oculistica e Ginecologia. Nel corso della sua professione medica, cinquantennale, applicò in diversi casi la medicina omeopatica.
Il 18.12.1927 sposò Adele Manna, la cui famiglia gestiva la rivendita dei Tabacchi e Monopoli di Stato e con la nascita della primogenita Giulia (la futura maestra) si accostò alla fede religiosa.
Il dottore D’Atri, tra il 1938 e il 1939 ricoprì anche la carica di segretario del Partito Nazionale Fascista (P.N.F). I più anziani non ricordano che in tale veste abbia vessato i confinati o i concittadini con soprusi, essendo egli un cattolico praticante, anzi le figlie ed altri ricordano che nella sede del fascio imponeva ai camerati la recita del Santo Rosario!
La foto ritrae il Dr. Silverio D’Atri in divisa da segretario del fascio (forse si tratta di una commemorazione: 4 novembre o la “festa della Madonna dell’uva” che allora si celebrava, come suggerisce Silverio Mazzella); dietro di lui si scorge il maestro Valiante, seguito dalla guardia municipale Finelli con lo stendardo del Comune.
La foto fu scattata alla Punta Bianca – si nota il palazzo di Clorinda, allora sede municipale, con lo stemma del Comune sull’ingresso ed una lapide a sinistra, di cui purtroppo non è possibile leggere l’epigrafe (Cliccare sulla foto per ingrandirla)
Dal 1939 al 18.06.1970 il dr. D’Atri fu medico condotto di Ventotene. Tornato a Ponza ricoprì, nei primi anni ’70 anche l’incarico di Ufficiale Sanitario del Comune di Ponza, per un certo periodo.
Morì a Ponza il 9.08.1979
Fino agli anni ’70 i medici condotti visitavano i pazienti a domicilio, i dottori Martinelli e Aldo Coppa, di cui s’è accennato su questo sito, ne hanno dato ampia conferma.
Ma nel corso di quelle visite a casa, professionalità e umanità del sanitario procedevano di pari passo, come il Dr D’Atri ci racconta in:
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La Mia Giornata
Siccome un cappuccino questuante
esco al mattino e vo’ di porta in porta,
recando a sera la segreta scorta
di lai querele e lagrime abbondante.
Volti emaciati dal respiro ansante,
occhi lucenti per la febbre insorta,
lamenti piaghe, carne sfatta e torta
da morbi o convulsione conquassante
sono il caleidoscopio mio vivente,
che di pietà m’accende mente e cuore,
facendomi sentir che siamo niente.
….
Ma ciò che colpiva maggiormente la sensibilità di questo medico era la condizione miseranda in cui versavano tanti suoi pazienti:
Febbricitante scarna ed arruffata,
dall’occhio ardente ed affannoso il petto,
giace una madre in un tugurio abbietto,
da tisi e da miseria consumata.
In quella mucida ombra abbandonata,
entro a capo scoperto e con rispetto.
Dal cuor commosso traggo ogni mio detto,
e riverente assisto l’ammalata.
Più che la tisi il mondo l’ha consunta,
e sostiene quest’ore desolate,
al tramonto di un dì che non rispunta.
Sulla parete solo un Crocifisso,
dall’implacabil braccia spalancate,
veglia i relitti dell’umano abisso!
Tra il 1925 e il 1939 il Dott. D’Atri esercitò la professione di medico nella nostra isola.
Specie a Le Forna accadevano di frequente, purtroppo, casi di malattie infettive come la tubercolosi; spesso i parenti – per il timore di essere contagiati – isolavano il congiunto ammalato in locali non idonei (di solito si trattava di grotte) senza assistenza. Silverio D’Atri, oltre a visitarli, sostituiva i familiari diffidenti e li accudiva, aiutandoli anche a consumare la colazione e a lavarsi.
Saper stare vicini agli ultimi: la fede cristiana, sinceramente vissuta, rende naturale tale “vicinanza”; anche se non mancano, per la verità, esempi di lodevole filantropia pure da parte di certi “agnostici”.
Il Dottore D’Atri, in ossequio alla tradizione cattolica pre-conciliare, era anche un severo censore di certi costumi “moderni”, al pari di Mons. Dies cui era legato da profonda stima ed amicizia. I due sonetti dedicati alla “Moda” (pagg. 14 e 15) ne sono un esempio eloquente, riporto due terzine:
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Libellula senz’ali un verme appare;
senza corolla un fior rama pagliosa;
donna svestita, obbrobrio e lupanare.
….
E lo scempio ridicolo, beffarda,
rinfocola ed a nuovi eccessi sprona
l’ebete folla, perfida e ghignarda.
Spesso lo incontravo tra Sant’Antonio e il Corso Pisacane e mi esprimeva il suo profondo rammarico, in estate, notando le donne in giro “eccessivamente scollacciate”.
In una giornata afosa di luglio, verso la metà degli anni ’70, era a Sant’Antonio, seduto sul muretto ed io, prima di prendere la barca, mi avvicinai per salutarlo.
Appena mi vide (ero a torso nudo) esclamò: “Non ti riconosco, sei senza ‘divisa’, non puoi andare in giro così!”. Per sdrammatizzare, gli feci notare con garbo che non indossavo la divisa perché avevo finito il servizio militare già da un bel pezzo, che faceva molto caldo e andavo a fare un bagno. Ma non accettò la giustificazione e ripeté, con fare solenne, il rimprovero. Successivamente evitai di incontrarlo “con schiena e pettorali in mostra” per non suscitare nuovamente il suo grave disappunto.
Però considerata la triste “piega” presa da un libertinaggio sempre più dilagante e che, proprio in questi giorni, ha portato anche Ponza alla ribalta di una cronaca per nulla edificante (le ‘luccioline’ dei Parioli) il nostro concittadino – ritenuto da tanti eccessivamente moralista – non aveva tutti i torti.
Ma la sua, come molte altre, fu “una voce che grida nel deserto”.