Raccolta e trascritta da Michele Rispoli
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Agli inizi degli anni ’50 noi ragazzini giocavamo a Sant’Antonio tra la strada, non ancora asfaltata e il piazzale, non ancora cementato.
Spesso ci fermavamo ad osservare i “grandi” mentre giocavano a bocce che venivano fornite loro, dietro una cifra modesta, da Civita Migliaccio (madre del Dr. Emanuele Vittorio).
Francesco, in modo particolare, era interessato a quel gioco che richiede concentrazione e precisione: occorre molta abilità per lanciare la boccia, il più vicino possibile al pallino. Così decise di averle tutte per sé e chiese al padre di comprargli le “palle di ferro”, tali gli apparivano, in modo che avrebbe potuto giocare come “i grandi”.
Suo padre Fausto gli diede un centinaio di lire e gli disse: – Va’ in piazza, da Totonno Farese, e gli dici: “Ha detto così papà che tu hai le palle di ferro, ecco i soldi, perciò me le devi dare”.
Francesco si recò da Totonno Farese (il cui negozio, gestito fino a pochi anni fa dalla nuora, veneta di origine, come cartoleria e souvenir; è ora in vendita) ed eseguì alla lettera il suggerimento.
Il vecchio negoziante replicò: – Ce dice a chillu sfaccimm’ ‘e patete, ca ‘i ppalle ‘na vota erano ‘i fierre, mo’ nun so’ manco ‘i lignamme!