di Alessandro Vitiello (Sandro)
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Per le puntate precedenti, digita: Teseo – nel riquadro CERCA NEL SITO, in Frontespizio
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Non sono esperto di navi e di naufragi e quindi mi limito a fare qualche considerazione un po’ superficiale sul processo che è seguito all’affondamento della nave militare Teseo.
Un paio di anni fa, mosso dalla curiosità successiva al mio scritto sul Teseo, andai a cercare riscontri ai ricordi di mio padre.
Chiesi alla Marina Militare, con diverse lettere, di poter accedere agli atti processuali relativi al naufragio del Teseo e finalmente mi si fece sapere che avrei potuto prenderne visione e fare copia di tutto quanto.
Una nipote milanese che studiava a Roma si offrì per me e in un paio di giorni fotografò tutto quanto era conservato in un faldone impolverato che conservava i ricordi di quel triste fatto.
Dentro c’era di tutto: la storia della nave e di tutte le volte che aveva fatto lavori in cantiere.
E di quanto era successo dopo che si era capito che non si sarebbe salvata da sola: telegrammi e quant’altro.
Di tutto. Oltre alle testimonianze dei sopravvissuti, le lettere di condoglianze, le richieste di pensione.
Ebbi conferma che i ricordi di mio padre erano giusti e le varie discrepanze erano legate alla conoscenza dei fatti e dei protagonisti raccontati in maniera verbale.
Ad esempio quello che lui chiamava “comandante Pasqualino” era in realtà il comandante Francesco Pasqualigo, al primo imbarco su quella nave.
La chiatta trainata in Sardegna non era la “Fata Bruna” come lui ci raccontava ma la “Faà di Bruno”, dal nome dell’eroe medaglia d’oro della terza guerra d’indipendenza.
La nave passeggeri che venne loro in aiuto non era “Acaralissa”, ma la Caralis, partita da Terranova (Olbia). E così via…
Quello che non quadra sono le conclusioni del processo.
Leggendo gli atti viene fuori che la nave è stata sì perduta anche a causa della fonte tempesta in cui si è infilata ma la responsabilità è del comandante Pasqualigo che non ha saputo governarla e che non ha predisposto quelle misure necessarie a salvarla dall’affondamento.
La nave è andata a fondo perché sono stati lasciati aperti i boccaporti e l’acqua è entrata all’interno.
Il comandante oltre all’incapacità nel governare gli eventi è anche venuto via dalla nave che affondava prima di almeno trenta persone che non l’avevano ancora abbandonata, contravvenendo ad una delle regole fondamentali della marineria:
“Il comandante è l’ultimo a lasciare la nave e, casomai, muore con essa”.
Quest’uomo però alla fine se la cava con solo due anni di sospensione dal servizio perchè l’incapacità e la codardia vengono sanzionate con sette mesi di carcere, sospeso con la condizionale, non menzionato sulla fedina penale.
Alla fine i morti sono morti e tutto il resto va come va.
Neppure una parola su quella che a parere di mio padre – e dei suoi compagni di sventura – è stata la causa del disastro.
Per loro la nave si era spezzata “in chiglia” andando a sbattere contro quella tempesta.
Le considerazioni di un gruppo di marinai non costituiscono prova ma questa nostra Italia ci ha insegnato a coltivare l’arte del dubbio e forse viene da pensare che quella condanna – si fa per dire – al comandante Pasqualigo abbia messo una coperta pesante su una storia triste.
Il comunicato – menzione a mio padre
P.S. – I miei scritti sul Teseo sono sul mio blog “La casa dei Sacco” da almeno cinque anni.
Ogni tanto arriva un commento di figli o nipoti dei protagonisti di quella storia.
In questo modo sono arrivate anche le foto che Salvatore D’Andrea aveva ereditato da un suo parente, marinaio del Trieste; come pure gli altri commenti.
Li abbiamo aggiunti a completamento di quanto scritto.
Comunicato di erogazione di fondi alle vittime
Completeremo il quadro con altre testimonianze ancora, nel prossimo (e ultimo) articolo.
[L’affondamento del Teseo (5) – Continua]