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Sono state, tuttavia, conservate alcune caratteristiche di base, comuni a società diverse che si manifestano nelle Feste dei Morti, come credere che in un determinato giorno o periodo dell’anno i morti ritornano fra i vivi, che bisogna ospitarli con offerte di cibo, di abiti e altri oggetti, e farli partecipare ai banchetti festivi, invitandoli a lasciare di nuovo il mondo dei vivi dopo lo svolgimento dei riti a cui i morti hanno assistito, alla fine della festa.
A volte sono i vivi ad invitare o evocare i morti e si preparano all’evento con la pulizia delle strade e delle case, il digiuno e l’astinenza. L’incontro può avvenire nelle case dove hanno vissuto, nei luoghi pubblici o presso le tombe, e con funzioni diverse, dalle lamentazioni, alle danze, alle mascherate, alle vere orge, ai sacrifici; il tutto si conclude con riti purificatori per ristabilire l’ordine normale che separa i vivi e i morti.
Così era in Grecia, con la festa delle Antesterie, sacre a Dioniso, che duravano tre giorni a cavallo tra febbraio e marzo, prima dell’equinozio di primavera.
Oltre alle grandi bevute della prima giornata per assaggiare il vino nuovo, appena spillato, c’era il ritorno dei Morti al secondo giorno e i vivi, per proteggersi, chiudevano tutti i santuari, fuorché quello di Dioniso, e cospargevano le porte di pece sormontandole con un ramo di biancospino.
Il terzo giorno si offriva ai Morti una torta, la panspermìa [dal greco σπέρμα, -ατος, τὸ sperma-spermatos: seme], fatta con i semi di ogni pianta, l’equivalente dei pasticcini fatti poi in epoca cristiana con le mandorle, la melagrana, l’uva passa e la farina di grano, simboli rispettivamente delle ossa, del ritorno del corpo nella terra, di un futuro gradevole dopo la morte, della resurrezione. L’offerta si concludeva con l’invito agli spiriti di abbandonare le case.
A Roma, oltre alle feste delle Lemuria (leggi qui) e delle Caristia, nell’ultimo mese dell’anno, che per loro era febbraio, c’erano i dies parentales, in cui si festeggiavano, con sacrifici e banchetti sulle tombe, gli antenati divini per nove giorni. Inoltre, in epoca imperiale, si diffuse “la festa delle rose” che vedeva i familiari dei defunti deporre offerte di frutta e di fiori e corone di rose sulle tombe.
Presso i Celti la festa dei Morti coincideva con l’inizio dell’anno, la prima notte del mese di samhain, il nostro novembre, quando i morti e i vivi s’incontravano.
Il sidh, il mondo degli spiriti, l’aldilà dei celti, era un luogo aperto dove c’era pace e serenità, e potevano entrarci anche alcuni vivi, gli iniziati come gli sciamani. Ma la prima notte dell’anno consentiva anche agli spiriti di tornare nel mondo dei vivi per crearvi caos e con essi entravano le forze magiche come quelle delle Fate. Per scacciarli e placare il dio della morte Samhain (da cui deriva il nome del mese) si indossavano le maschere spaventose di Halloween e si offriva del cibo.
È interessante sapere, per coloro che pensano che prima c’era la Festa dei Morti e poi è nato Halloween, che così non è.
La festa celtica che era diffusa in tutte le zone europee abitate da questo popolo, quindi anche nell’Italia settentrionale, con l’arrivo del cristianesimo non voleva tramontare, tanto che papa Gregorio III, nella prima metà del VIII secolo, decise di spostare al 1 novembre, dal 13 maggio, la ricorrenza di Ognissanti.
È interessante sottolineare che la caratteristica di questa ricorrenza cristiana è che i Santi considerati sono sia quelli morti e presenti in paradiso sia quelli vivi che sono i credenti in grazia di Dio: è la giornata di unione dei vivi e dei morti, proprio come la festa celtica. E, poiché in quel giorno si continuava a festeggiare, successivamente Papa Gregorio IV, nella prima metà del IX secolo, trasformò la ricorrenza in festività.
La Commemorazione dei Defunti è collocata a ridosso della festa di Ognissanti perché i riti connessi ai morti continuavano ad essere effettuati in contemporanea.
Così l’abate di Cluny, Odilone, nel 998, stabilì che dopo i vespri del 1° novembre le campane suonassero con rintocchi funebri per celebrare i defunti e che le preghiere del giorno successivo fossero dedicate a loro.
Diciamo che chi si lamenta di aver perso la tradizione delle scarpe sotto il letto la notte fra il 1 e il 2 novembre a favore di questa festa incomprensibile odierna con maschere paurose, ha ragione per il legame affettivo-nostalgico che ci lega alla nostra infanzia, alla nostra tradizione, ma… l’origine dei doni dei morti per i bambini e i travestimenti per spaventare gli spiriti che tornano, vengono ambedue da molto lontano; sono stati a braccetto per secoli e millenni, si sono divisi ed oggi ha prevalso la vena celtica che è giunta a noi col prevalere della società americana di origine anglo-sassone.
Diciamo che ha prevalso anche per il suo aspetto scenografico che il consumismo di massa in cui viviamo predilige fortemente.
Gustav Klimt. Le età della vita (1905) – Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea – Roma
Immagine di copertina. Gustav Klimt – “Morte e vita”
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[Halloween o le scarpe sotto il lettino? (2) – Fine]