di Francesco De Luca (Franco)
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Ora che la piazza trascorre un periodo di silenzio, resa muta dall’estendersi del cauto autunno, o forse già catturata dal suo sopore, non appaia frivolo esternare sensazioni. Che pure si attagliano alla realtà ponzese, perché da essa sorgono e ad essa si rivolgono.
È una sensazione lampante che la vita dei giovani di Ponza appare schiacciata da una carenza d’espressione.
Soltanto nelle foto di facebook traspaiono la giovialità, l’allegria dei nostri giovani. Essi sono un segmento sociale racchiuso in recinti propri (scuola – chiesa – bar), impermeabili ad influssi che non siano indotti da cause esterne (si dimostra per la mancanza del gasolio, per gli orari delle navi, per la mancanza dei professori); manca una visione propria, una autonoma tensione ad uno scenario sociale.
La sensazione che se ne trae, da chi sogna di vedere espressa in Ponza una vita sociale piena, discordante ma autentica, è che manchi chi potrà dare umanità al futuro, anzi chi potrà dare ponzesità al futuro di questa isola.
Taccia ancora un po’ la piazza, faccia emergere i segnali umani che si muovono giù alle banchine, dove la tensione al lavoro è predominante, quotidiana, e inascoltata.
Dalle porte chiuse dei negozi, così come dai ristoranti e bar, non segni vitali, fuoriescono soltanto avidità e indifferenza.
In altri tempi e con altri compagni la navata della chiesa sarebbe stato il luogo dell’affratellamento. Ma oggi un’altra fede sprona. È alimentata dalla razionalità che analizza e decide. Qui non trova ricetto e non appare chi coltivi questa speranza.
L’umido dell’autunno, insinuante e pervasivo, cautamente tacita la piazza. E insorgono pensieri, e sanno di delusione.