di Vincenzo Pagano
Le elezioni politiche di settembre in Germania hanno riconfermato la signora Merkel come cancelliera. La sua vittoria, rappresentante il dominio economico finanziario e tecnologico della Germania sul resto dell’Europa, è chiaramente nel segno della continuità.
Ci sono due scenari: il primo, continuare sulla stessa strada. Il secondo, ma poco probabile, la Germania finalmente decide di intervenire e prendere le iniziative necessarie e costose per una vera politica di integrazione economica.
Da tante analisi fatte da studiosi di tutto il mondo c’è una valutazione complessiva che la Germania ha fatto finora una politica egoista e, traendone benefici, non ci sono motivi per cambiarla; pertanto il secondo punto e’ da escludere.
L’entità di rimesse per i paesi periferici dell’Eurozona è troppo oneroso per la Germania. Si stima che la Germania dovrebbe accollarsi qualcosa come 220-230 miliardi di euro all’anno. Brigitte Granville, un’economista esperta di trasferimenti fiscali, ha stimato che qualcosa come il 3% del GDP (*) tedesco deve andare alla Francia per i prossimi dieci anni solamente per mantenere la stessa distanza in termini di PIL.
Con la vittoria della signora Merkel si continuerà sulla stessa strada e i fautori di questa conduzione dell’eurozona ritengono di non aver nulla da rimproverarsi.
Quello che sta succedendo in Europa da diversi anni, cioè choc asimmetrici capaci di colpire in misura diversa i vari paesi europei , affonderà’ ancora di più le economie più deboli.
I paesi periferici non potendo svalutare hanno svalutato i salari creando un avvitamento negativo fatto di minori consumi, ma anche di minori investimenti. L’Unione europea è incapace di invertire questa tendenza perché c’è l’Unione monetaria, ma c’è l’assenza di una politica di integrazione economica europea.
Ma, una politica economica integrata è impossibile senza i trasferimenti fiscali che la Germania e gli altri piccoli paesi del Nord Europa osteggiano. In più non essendoci in Europa un’area valutaria ottimale con un vero Stato, né una vera Banca Centrale , né Eurobonds come mutualizzazione del debito, ne consegue che le divergenze fra i vari paesi dell’Eurozona continueranno a crescere.
Le problematiche del capitalismo contemporaneo rimangono e con euro o senza euro tutte le incognite di un modello basato sulla voracità della finanza rimarranno. Comunque, analizzando i paesi europei che hanno adottato l’euro e quelli che ne sono rimasti fuori, è evidente che i secondi sono stati capaci di difendersi meglio sia dalla crisi generale che dall’onda lunga della crisi oltreoceano. Come già spiegato nel mio saggio precedente non c’è l’aggiustamento macroeconomico fra i paesi in surplus e i paesi in deficit dell’Eurozona. Né s’intravede alcuna speranza di poter invertire questa situazione come appena testimoniato da studiosi che seguono attentamente gli eventi dell’Eurozona come Granville in Francia e Salvatore negli Stati Uniti.
Appunto per questo malfunzionamento, come tanti altri già noti, non si può avere la stessa moneta in comune in eterno. Finora la stessa moneta ha permesso la divergenza fra le aree ricche e quelle periferiche dell’Eurozona e, cambiando nulla, tali divergenze non possono che aumentare in quanto si crea un circolo virtuoso nei paesi ricchi che continuano ad attrarre capitali ed un circolo vizioso nei paesi periferici dove il costo del denaro è più caro e attrarre capitali è più difficile. Questa difficoltà ad attrarre capitali è dovuta anche alle politiche di austerità che hanno indebolito significativamente la domanda e, credere di risolvere i problemi concentrandosi sull’export non è realistico perchè l’euro è comunque sopravalutato per l’industria italiana e sottovalutato per l’industria tedesca.
In conclusione invece di ottenere una maggiore integrazione fra i paesi europei si assiste ad una significativa divergenza con potenziali risvolti sociali e politici.
PROSPETTIVE PER IL PROSSIMO FUTURO
L’Euro-zona è in una crisi strutturale e la recente conferma della cancelliera Merkel nelle elezioni tedesche spazza ogni dubbio sulla possibilità di invertire la rotta e quindi si andrà sempre di più verso la rottura dell’eurozona. Il potenziale superamento dell’euro avverrà per le seguenti ragioni:
La vittoria della cancelliera Merkel significa soprattutto mantenere la status quo. L’euro deve sopravvivere come è nella sua forma attuale. Il che vuol dire una diminuzione significativa del tenore di vita per la maggioranza dei cittadini europei con punte di disoccupazione mai viste finora. Disoccupazione in aumento e povertà diffuse freneranno l’economia europea innestando scenari disperati con possibili rivolte sociali.
L’euro così concepito sopravviverà ancora per qualche tempo ma solo tirando a campare e buttando sul lastrico le vite di milioni di europei. Alla fine l’euro perderà quella fiducia che ancora possiede perché come non ha potuto reggere alla crisi degli ultimi anni, o si è retto scaricando tutto sul popolo lavoratore con pagamento del debito, tagli alla spesa sociale e salari più bassi, così e di più deve fare per la prossima crisi.
Infatti già s’intravede una nuova crisi economica all’orizzonte. La finanza la fa da padrone, come e più di prima; d’altronde non può essere diversamente in quanto anche gli investimenti industriali sono rivolti verso la finanza che è diventata una ONE WAY STREET.
La prossima crisi avrà effetti devastanti e le masse popolari saranno chiamate un’altra volta a risanare con nuovi sacrifici significativi aumenti di debito pubblico. Il peggio deve ancora arrivare.
In Europa, soprattutto nei paesi periferici, ci saranno risvolti molto negativi in quanto queste economie hanno più bisogno di flessibilità che non vengono concesse dall’Unione europea la cui politica sarà sempre più basata sui vincoli di bilancio e fiscal compact.
La Francia è il paese clou o la chiave di svolta dell’intera eurozona.
Come l’Italia sta seguendo la Grecia verso un avvitamento negativo irreversibile, adesso è il turno della Francia.
In più c’è consapevolezza in Francia dell’andamento generale delle altre economie sviluppate soprattutto in Europa. La differenza c’è ed è significativa per i paesi che hanno adottato l’euro e i paesi che ne sono rimasti fuori.
Tutti i principali indicatori economici come la crescita del Pil, l’occupazione, i consumi, gli investimenti e la produttività sono a favore dei secondi. Inoltre è in Francia, più che altrove, che negli ultimi tempi si è individuato proprio nell’Euro ilfattore di crisi dello stallo europeo.
Un pò dappertutto in Europa c’è un crescente rifiuto di pensare in termini di Euro o Caos. Anzi, l’euro viene concepito come il fattore scatenante del caos europeo presente e invece di promuovere migliori relazioni fra gli europei, sta peggiorando l’integrazione fra i popoli europei.
I messaggi di paura di una uscita dall’euro funzionano sempre di meno. Dopotutto siamo nel ventunesimo secolo e i popoli europei non si fanno abbindolare facilmente dai nuovi sacerdoti dell’euro che minacciano l’inferno in caso di uscita dall’euro come i loro predecessori medievali minacciavano le pene dell’inferno qualora i cristiani non si fossero comportati adeguatamente.
Escludendo soprattutto la Germania e qualche altro paese, infine c’è sempre meno consenso verso i partiti europeisti. Questi partiti ancora rappresentano la maggioranza ma, con sempre meno consenso, non si può andar lontano. Sempre in Francia è più che evidente il crollo dei consensi verso Holland che doveva ribaltare la negatività attuale per una nuova alternativa europea.
I soliti moniti verso le “riforme” significano solamente più sacrifici per il ceto meno abbiente. LE ILLUSIONI STANNO PER FINIRE.
* GDP è l’acronimo di GROSS DOMESTIC PRODUCT, l’analogo del PIL (Prodotto Interno Lordo) in inglese (NdR)