di Paolo Iannuccelli
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Sono d’accordo con Rita Bosso (leggi qui): nessun revisionismo sul periodo dei confinati e sul fascismo.
Le splendide foto scattate a Ponza di Palmiro Togliatti, Nilde Iotti e Marisa Malagoli – il marito, Gustavo Imbellone, fu segretario della federazione del Pci di Latina negli anni ottanta – mi spingono a ricordare uno dei momenti più terribili della mia esistenza.
Era il 7 luglio 1960, il giorno dei cinque morti di Reggio Emilia uccisi dalle forze dell’ordine durante una manifestazione di protesta contro il governo Tambroni, un monocolore democristiano sostenuto esternamente da missini e monarchici.
Tambroni aveva autorizzato lo svolgimento del congresso Msi a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, suscitando proteste in diverse città italiane che insorsero con moti popolari. Specialmente Roma si fece sentire con determinazione ed orgoglio, al pari di Catania e Palermo.
Lo sciopero generale proclamato dalla Cgil ottenne adesione totale a Reggio, con migliaia di persone pacifiche in piazza per opporsi all’avanzata della destra.
Cinque giovani furono trucidati, la città rimase attonita, incredula, nessuno aveva voglia di parlare, tutti condannarono quell’episodio che passò alla storia come uno dei fatti più incresciosi del dopoguerra.
Io ero lì, bambino, ad assistere agli eventi, ai caroselli della Celere, gli ‘scelbini’, un corpo creato dal ministro di polizia Mario Scelba che aveva preceduto Spataro, il collega di quei giorni tristi.
I fatti del 7 luglio 1960 in piazza della Libertà a Reggio Emilia. Sotto, la repressione con le cariche degli ‘scelbini’
La pagina dell’Unità con la notizia dell’eccidio
Togliatti arrivò a Reggio per i solenni funerali, accompagnato da Nilde Iotti, Marisa Malagoli, Ferruccio Parri; in piazza, tra bandiere rosse a lutto, c’era Alcide Cervi, il papà dei sette fratelli uccisi.
Centomila persone ascoltarono il discorso del ‘Migliore’ che invitò alla prudenza, a non reagire con la lotta armata, come fece saggiamente nel 1948, in seguito all’attentato compiuto a Roma da Pallante.
Il grande leader comunista evitò il ritorno alle armi dei partigiani reggiani pronti allo scontro frontale: già avevano i fucili pronti,lo ricordo come fosse oggi, sentivo i loro discorsi.
Togliatti e Nilde Iotti visitano uno dei feriti del fatti di Reggio
Tambroni cadde di fronte alla forza di operai e contadini, delle classi medie che si avvicinavano sempre di più alla sinistra, del cattolicesimo aclista, dei dossettiani. Nacque il governo Fanfani, retto da forze aperte al progresso e all’innovazione.
Avendo vissuto quei momenti drammatici, in una città a spiccato senso democratico, dove il socialismo riformista di Camillo Prampolini aveva lasciato anch’esso il segno, mi trovo a condividere le tesi della Bosso.
Non si può tornare indietro con sciocco ed arido revisionismo: la verità storica è una sola, lo sarà per sempre.
Consiglio a tutti la lettura del bel libro di Paolo Nori “Noi la farem vendetta”, edito da Feltrinelli.
Un articolo da ‘Il Fatto Quotidiano’ dell’11 luglio 2013 dedicato ai fatti di Reggio in formato pdf (a cura della Redazione): Il Fatto Quotidiano. 7 luglio 1960 – dopo 53 anni facciamo chiarezza sui morti di Reggio