’A marenna
di Antonio de Luca
’A Marenna, da non confondere con la merenda tipicamente pomeridiana, è considerata, qui a Ponza come in buona parte del territorio partenopeo, un pasto quasi completo che si consuma a metà mattinata. Esempi illustri ci vengono dal mondo della cultura napoletana, dal teatro di De Filippo, dal cinema di De Sica e Totò. Il termine marenna (come l’italiano ‘merenda’ del resto, dal latino ‘merère’, ‘meritare’) implica il significato di evento ambito, ‘che si deve meritare’, come infatti avviene, in quanto è qualcosa di buono, di sostanzioso, che meritano quelle persone che si sono alzate di buon mattino per recarsi sul posto di lavoro e che quindi a metà mattina hanno già molto ‘faticato’ e necessitano di ristorarsi per poi affrontare la restante giornata di lavoro.
Al Fieno è sempre esistita questa consuetudine tra i contadini, fin dai tempi dei primi coloni ischitani. Ad una certa ora della mattinata – quando il sole toccava la punta del Fieno, all’incirca verso le 9.30 – chiamandosi tra loro, si davano appuntamento nella cantina di turno, ognuno prendeva dal proprio zaino gli avanzi della cena precedente e li metteva sul tavolo; oppure si preparava qualcosa di semplice e tipicamente napoletano come ‘sasiccie e friarielli’ oppure pane raffermo inumidito, con pomodori e prodotti sott’olio, come melanzane o tonno. Naturalmente non mancava il vino della cantina ospitante.
Il pane era ed è ingrediente fondamentale della marenna e lo si accompagnava con i salumi, i formaggi o con la parmiggiana i’ mulignane, ’a frittat’ ’i cipolle , ‘a ‘nzalàt’ ‘i patane; a volte soltanto cu’ sale e uoglie, il più povero dei companatici, ma anche fra i più saporiti.
Sicuramente il pane con pomodori colti sul posto, olio e sale era la marenna classica, che dopo la mezza giornata di lavoro allietava i lavoratori: si pensi che il lavoro nei campi allora come oggi iniziava alle 5.30 del mattino.
Al Fieno si perpetua quindi il rito della marenna tra gli ultimi contadini e fra i giovani che hanno ripreso la coltura/cultura della vigna: i motivi sono gli stessi… Il mangiare insieme è un grande aiuto a socializzare tra vecchie e nuove generazioni: si beve, e tra un brindisi e l’altro i vecchi raccontano ai giovani le esperienze dei tempi passati; storie di caccia e di cani, dialoghi che uniscono uomini che amano la natura ed il proprio lavoro. Come nelle poesie di Pavese, dove la vigna diventa ‘miele dell’anima’.
Il libro degli uomini del Fieno è scritto non solo col succo d’uva che questa terra difficile offre, ma anche con le parole, le storie di uomini alla marenna del mattino di ogni nuovo giorno.
Antonio De Luca
[Il Fieno (3) – Fine]