di Martina Carannante
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Per il passato, su una vasta estensione dell’attuale Europa – dall’Atlantico al Mar Nero, dal Belgio a Gibilterra – la matrice comune di molte lingue è stata il “latino volgare”, cioè parlato.
Poi a seconda della zona e nel corso del tempo i dialetti sono mutati e si è sviluppata una lingua nazionale.
Certo è che l’impronta della matrice originaria è restata, a dispetto delle distanze tra i vari popoli e del tempo trascorso.
La sequenza temporale delle correlazioni storico-linguistiche si può così schematizzare:
1) Per quanto riguarda specificamente l’Italia, le differenze linguistiche di partenza sono quelle dovute alle lingue diverse esistenti nella penisola prima della unificazione sotto il dominio di Roma.
2) Successivamente alla latinizzazione, e a causa delle invasioni barbariche, altre influenze hanno agito sulle forme assunte dal latino: sopratutto le lingue germaniche, l’arabo e il greco bizantino.
3) Le successive dominazioni – araba, spagnola, aragonese, francese, austriaca, ecc… – attraverso i secoli e nelle diverse parti d’Italia, hanno apportato, ciascuna per la propria parte, altri elementi.
Lingue e dialetti all’Unità d’Italia
Nel 1861, al momento della proclamazione dell’Unità d’Italia, meno del 10% della popolazione era in grado di usare l’italiano nella conversazione (italofoni).
La dialettofonia era una condizione linguistica normale; la lingua nazionale era poco conosciuta e comunque sempre affiancata dal dialetto della determinata area linguistica.
Già dalla seconda metà dell’Ottocento inizia un’erosione della vitalità dei dialetti, e si delinea una contrapposizione tra ‘l’italiano’ e ‘il dialetto’ .
Alcuni fattori influirono – e sono tuttora operanti – su questo fenomeno quali:
1) la Scuola: a partire dall’Unità d’Italia, la scuola svolge un ruolo fondamentale. L’obbiettivo dichiarato era: “Dare una lingua comune agli italiani!”
In realtà, una ‘lingua nazionale condivisa’ non fu esattamente in grado di svolgere questa funzione di amalgama in quanto era poco frequentata e/o versava in condizioni disastrose.
Ma da quegli inizi si radicarono nella scuola due “vizi” che la caratterizzarono per lungo tempo:
– la ‘lingua italiana’ risultava assunta da- / improntata su- modelli letterari;
– veniva al contempo intrapresa una lotta ai dialetti, considerati un ostacolo all’apprendimento della “lingua corretta”.
Questi ostacoli si superarono solo alla seconda metà del Novecento
2) l’Urbanesimo: con le rivoluzioni industriali, a cavallo dei due secoli, le attività industriali si concentrarono nelle città: lì si trasferirono coloro che nell’industria cercavano lavoro, soprattutto contadini e braccianti disoccupati.
Era l’inizio di un passaggio irreversibile, dal mondo rurale all’urbanizzazione, che caratterizzerà tutto il Novecento.
Le conseguenze linguistiche furono rilevanti: in città si sviluppava una lingua ‘colta’ mentre nelle campagne si rimaneva legati al dialetto.
3) l’emigrazione: dalla seconda metà dell’Ottocento per quasi tutto il Novecento, la nostra penisola è stata fulcro di una serie di emigrazioni sia interne (da sud a nord) che esterne (verso le Americhe soprattutto, e anche verso i paesi europei); questo ha fatto sì che si creasse una mescolanza linguistica notevole.
4) Burocrazia, esercito, stampa: con la nascita di uno stato unitario, tutta la sua organizzazione, leggi, comunicati con enti pubblici e privati, doveva avvenire in una lingua comune e comprensibile a tutti. Si va così a formare un ceto di funzionari italofoni, che si collocano su un livello sociale medio-alto, contribuendo sia direttamente che indirettamente alla progressiva italianizzazione del repertorio linguistico italiano.
5) Cinema, radio, televisione: avranno un ruolo fondamentale – e lo hanno ancora oggi – per la diffusione dell’italiano. Tramite i mezzi di comunicazione è facile apprendere l’italiano ascoltando e imparando i basilari, ma anche espressioni e modi di dire.
6) Internet, la rete: negli ultimi quindici-dieci anni a tutti questi fattori si è aggiunta come forza trainante la diffusione dei computer e l’utilizzo pervasivo della rete – internet e social network in testa – come modalità di scambio e di diffusione di espressioni ed immagini che in breve tempo (ma con una durata effimera) divengono “virali” (anche questo aggettivo è desunto da quell’ambito).
In conclusione, e per tornare al tema iniziale dei rapporti tra la lingua nazionale e il dialetto:
– tra lingua e dialetto nel periodo unitario c’era un rapporto di “diglossia”: coesistevano entrambe le varietà, una ‘alta’ (l’italiano) e una ‘bassa’ (il dialetto).
Tutti conoscevano il dialetto; solo pochi dominavano l’italiano.
– con l’urbanizzazione si instaura un “bilinguismo senza diglossia”, in cui coesistono lingua e dialetto, ma è la lingua ad avere maggior diffusione rispetto al dialetto.
– attualmente, nelle aree metropolitane, non possiamo più parlare ne di “bilinguismo” né di “diglossia”, ma di vero “abbandono del dialetto” [Cfr la raccolta di scritti sul tema del “dialetto” pubblicati su Ponza racconta; (Ibidem) – CERCA NEL SITO digitando – dialetto – ].
Una vignetta di Andrea Pazienza (Cliccare sull’immagine per ingrandirla)
[Dialettologia. (3). I rapporti tra la lingua nazionale e i dialetti – Continua qui]