di Tina Mazzella
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Santella ricordava bene quelle spiagge animate un tempo, libere ed assolate, luoghi d’incontro, di scambi, di divertimento e di ritrovo per gente di ogni età e di ogni condizione sociale. I grandi s’intrattenevano in lunghe conversazioni, mentre i bambini ed i ragazzi giocavano indisturbati o si cimentavano in lunghe nuotate. Ora quelle spiagge, declassate al rango di depositi anonimi, erano state spogliate dell’originario valore.
La donna sospirò al pensiero che lo stesso imperdonabile degrado avrebbe colpito anche i muretti di Ponza, se non si fossero messi a punto interventi adeguati. Già, i muretti! Le antiche panchine dell’isola pronte ad accogliere le confidenze dei passanti, quelle pietre miliari che se avessero potuto parlare, avrebbero raccontato aneddoti, fatti ed innumerevoli storie! Non sarebbe stato lecito assistere inermi alla distruzione di quei muretti in cui era scolpita l’anima più autentica dei ponzesi.
Glielo aveva urlato con forza quel muretto di Giancos così indegnamente offeso, quel muretto sbrecciato ed ormai inutilizzabile posto davanti al negozio della Russiella.
Ed il casatiello? Che dire poi del casatiello che sapeva di casa, di lievito, di Pasqua e di allegre scampagnate, di quel casatiello ora improvvisamente snaturato per l’utilizzo arbitrario di prodotti impropri che ne alterano il sapore!
Da sognatrice inguaribile qual’era, la donna si rammaricò di non possedere quei poteri speciali che le permettessero di operare magie capaci di apportare i mutamenti necessari di salvaguardia e di valorizzazione del territorio e tali da eliminare dall’isola le condizioni d’incuria e di degrado appena riscontrate.
La mente all’improvviso la ricondusse lontano, al mondo incantato dell’infanzia e della prima adolescenza popolato di figure misteriose e ricco di credenze straordinarie, nel mondo in cui era ancora consentito sognare. Allora, durante la notte di San Giovanni ritenuta generalmente la notte dei prodigi, desideri e speranze trovavano risposta. Alla maniera di tutte le ragazze dell’isola, assistita dalla madre, anche Santella era solita raccogliere silenziosamente i propri sogni per racchiuderli con la chiara di un uovo in una grande bottiglia che riponeva sopra una finestra in attesa del mattino seguente, quando l’immagine formatasi al suo interno le avrebbe squarciato i veli del futuro.
Le tradizioni della notte di S. Giovanni. La predizione col bianco d’uovo
Ricordò tutto di quel tempo e, con il cuore colmo di rimpianto, per la prima volta parlò a Silveria di quella strana abitudine e quest’ultima che l’aveva ascoltata trattenendo il fiato le propose di ripetere quel rito modificandolo leggermente. Seguendo l’esempio dei marinai in guerra destinati a morte imminente, avrebbero potuto affidare ad una bottiglia un messaggio contenente un bel sogno comune ad entrambe. Ne discussero un po’, finché la decisione non fu presa.
Fu così che, sedute al tavolo di cucina del monolocale che le ospitava, nonna e nipote concepirono e scrissero il seguente messaggio.
“La difesa del passato e delle tradizioni e la tutela del territorio dal degrado, dalla speculazione e dai facili guadagni costituiscono un dovere ed un impegno per tutti noi, sia per la fruizione collettiva di beni comuni, sia per l’affermazione della nostra identità, che per restituire ai nostri figli l’inestimabile patrimonio di valori che ci è stato affidato e che non è giusto sperperare.
Storia ed ambiente sono per noi linfa vitale e ci appartengono indissolubilmente.
Dobbiamo attribuire ad essi l’importanza che meritano per essere degni dei padri e per porci come modelli positivi nei confronti dei figli”.
Santella e Silveria fermarono questi pensieri su un foglio di carta e lo rinchiusero in una bottiglia che gettarono in mare con la segreta speranza che presto o tardi qualcuno l’avrebbe trovata.
L’accorato appello delle due donne non andò perduto. Con la complicità del mare finì sul lido di Frontone, proprio nella zona in cui un gruppo di bambini si divertiva a giocare a palla.
Incuriosito dalla bottiglia galleggiante sull’acqua, uno di loro la raccolse, l’aprì, ne estrasse il contenuto e lesse.
Lo lesse più volte spalancando gli occhi colmi di meraviglia; poi lo mostrò ai compagni stupefatti che gli si erano accalcati intorno e che si spintonavano vicendevolmente per avere accesso all’inusuale tesoro arrivato misteriosamente dal mare.
La notizia del sorprendente rinvenimento si diffuse per l’isola in un baleno scatenando congetture, ipotesi e malumori; alla fine tuttavia coinvolse le persone di ogni età e di ogni ceto sociale, dai vecchi ai giovani, dai ragazzi ai genitori, dai bambini ai maestri ed ai professori e raggiunse persino le autorità.
Fu convocata in piazza un’assemblea isolana nel corso della quale a ciascun cittadino fu consentito manifestare liberamente il proprio pensiero circa il contenuto del messaggio. Il dibattito si rivelò interessante ed animato: furono espressi pareri e critiche; prevalsero soprattutto i buoni propositi e l’idea di assumersi la responsabilità di operare positivamente per migliorare la situazione dell’isola. In ultima analisi quasi tutti aderirono a quell’appello stimolante vergato da mani ignote.
Furono presi accordi operativi in ordine alla divisione del lavoro e alle priorità da rispettare per restituire alla loro terra la propria autenticità e per renderla più viva ed accogliente.
Finalmente consapevoli di dover conseguire obiettivi comuni, nessuno osò sottrarsi agli impegni assunti, dal momento che si trattava di preservare la loro memoria ed il volto più autentico della loro isola dall’oblio e dalla massificazione.
[I sogni della notte di S. Giovanni. 2. Fine]