di Gino Usai
Il 10 Agosto del 1936 Carlo Fabbri e Giuseppina Bosso si erano sposati. Poco dopo, per aver caparbiamente voluto sposare Giuseppina, Fabbri venne trasferito alle Tremiti, per punizione. Alla moglie, benché incinta, non fu concesso di seguirlo. La gravidanza si presentava difficoltosa. Intanto suo zio Amerigo, a cui il 25 giugno del 1935 erano stati inflitti due anni di ammonizione, a ottobre dello stesso anno, all’età di 48 anni, fu richiamato sotto le armi nella Marina Militare e destinato, col grado di timoniere, al Dipartimento Marittimo del Basso Tirreno. Sul finire del 1936 Amerigo ottenne il proscioglimento dall’ammonizione e, subito dopo, il congedo militare. Intanto nel mese di ottobre, circa Amerigo Bosso, le autorità segnalano: “Egli non nasconde la sua simpatia per il Fascismo e per il Capo del Governo del quale è simpatizzante”. Questa dichiarazione favorì la sua riassunzione alle Poste.
Nello stesso tempo a Giuseppina venne finalmente concesso di raggiungere il marito, ma il duro viaggio peggiorò le sue precarie condizioni di salute e una volta giunta alle Tremiti dovette essere ricoverata d’urgenza all’ospedale di Foggia, dove il 27 gennaio del 1937, prematuramente, diede alla luce la figlioletta Teresa. Dopo sei mesi, viste anche le traversie del marito in carcere e le difficoltà di portare avanti la bambina, Giuseppina decise di far ritorno a Ponza, dove la famiglia, nonostante le durissime vicende trascorse, l’accolse amorevolmente.
Infine Fabbri venne trasferito a Ventotene. Per il Natale del 1942 Giuseppina e Teresa andarono a Ventotene per festeggiare con il papà. Portarono in dono merluzzo e frutti semplici e prelibati della loro campagna. Furono ospitati presso una famiglia di ventotenesi. Il portone di quella casa era provvisto di spioncino che si apriva dall’esterno che permetteva al milite di turno di controllare l’interno. Davanti allo spioncino, per essere lasciati in pace almeno la notte di Natale, piazzarono un armadio; così cenarono e giocarono a tombola gioiosamente.
In quel tempo prestava servizio a Ventotene come agente di PS un certo Attilio Vitale, che sposò Ortensia De Luca di Ponza, cugina di Giuseppina Bosso, il quale teneva nei confronti di Fabbri un atteggiamento tollerante.
Alcuni anni fa Teresa mi ha raccontato che una volta a Ventotene, da bambina, vide il padre ammanettato su una barca in mezzo ai militi che lo portavano via e ne rimase atterrita.
Terminato il periodo di confino ed essendo in corso la guerra, la posizione di Carlo Fabbri si trasforma in quella di “internato politico” sino alla fine del conflitto. E venne mandato a Ponza dove era stato istituito il Campo di Concentramento per i prigionieri di guerra.
La condizione di internato gli permetteva uno stato di semilibertà. Nella casa dei suoceri, sulla Dragonara, Fabbri aiutava a coltivare la campagna e a pascolare le capre. Giuseppina aveva conseguito il diploma di maestra di taglio e cucito a Napoli e faceva la sarta; era molto brava e sapeva cucire anche abiti da sposa.
Dopo l’8 settembre del 1943 decisero di far ritorno a Milano, per riprendere la lotta di Liberazione. Carlo era di Intra, una frazione del comune di Verbania, sul Lago Maggiore. I collegamenti con la terraferma erano saltati dopo l’affondamento del S. Lucia e partirono con il gozzo del “Pittore”, diretto a Terracina. Giuseppina era nuovamente incinta. La piccola Teresa li aveva preceduti a Intra qualche mese prima, affidata alle cure dello zio paterno Igino e di sua moglie Margherita Saini. Igino, presidente del CLN, di formazione cattolica, insieme alla sorella Nerina si occupò delle sorti di Carlo e gli fu d’aiuto.
Si era in piena guerra e i porti della terraferma erano tutti minati. In prossimità della costa il gozzo urtò un cavo che fece esplodere una mina: due marinai morirono, Fabbri, che non sapeva nuotare, rimase aggrappato al sedile della barca terrorizzato, mentre Giuseppina finì in acqua ove rimase per circa un’ora, riuscendo infine a risalire sul gozzo. Scampato il pericolo giunsero a Terracina e proseguirono il viaggio per Intra. Qui Carlo cercò nuovamente lavoro a Milano come giornalista (quella era la sua professione) e venne ben accolto nell’ambiente. Igino trovò per loro un appartamento nella periferia di Verbania, due stanze, con tanto freddo e tanta neve quell’inverno del 1943. Giunse il Natale, i partigiani preparavano i doni per i bambini dei compagni: trenini per i bambini e carrozzine a quattro ruote con bambola per le bambine. A Teresa toccò una splendida carrozzina. Giuseppina lavorava come sarta, i clienti glieli procurava Igino, che lavorava come rappresentante di commercio alla Commerciale Francioli, una ditta di dolciumi. Nel marzo del ’44, Giuseppina ebbe nuovamente una gravidanza prematura; nasce Paola, ma vive solo poche ore.
Pochi giorni dopo, il 30 marzo del 1944, minata nella salute, stremata dalle fatiche del parto, dal dolore della perdita della bambina, privata delle cure e della necessaria penicillina, Giuseppina muore di broncopolmonite. Venne sepolta a Intra.
Carlo intanto era già passato alla clandestinità. Si era rifugiato in Svizzera, dove s’incontrò con lo scrittore Piero Chiara. Teneva lezioni di politica un’ora al giorno. Entrato in contatto coi partigiani andò sui monti a combattere. Era commissario politico e comandava una brigata partigiana nella valle di Cannobio, col nome di battaglia “Giuseppe”. Entrò così nella Repubblica dell’Ossola, il cui confine passava per Cànnero Riviera, sul lago Maggiore, tra Cannobio e Intra.
Un giorno Igino e Margherita preparano il corredino per la piccola Teresa che doveva raggiungere il papà in Svizzera per il tramite di una staffetta partigiana. Ma mentre fervevano i preparativi per la partenza giunse il contrordine. Intanto i fascisti repubblichini partiti da Luino sbarcarono a Cannobio, per attaccare la sede dei partigiani situata in un albergo della città. Nella sede erano in quattro; barricati si difendevano dall’assalto fascista sparando dalle finestre. Bruciarono tutti i documenti per non farli cadere in mano al nemico e si difesero a oltranza. Si racconta che Carlo prima di restare ucciso dai fascisti si avvelenò con una capsula di cianuro, per evitare di subire torture e “parlare”. Era il 9 settembre del 1944.
Prima di partire per i monti lasciò alla piccola Teresa, che aveva solo sei anni, la seguente lettera:
“Alla bimba Teresa Lucia Fabbri di Carlo fu Giuseppina Bosso, nata a Foggia il 27 gennaio 1937,
residente ad Intra (Lago Maggiore) presso Igino Fabbri via Restellini, 8.
Mia cara piccola,
se non tornassi, sappi che sono morto per la libertà del popolo italiano e per la vittoria dei lavoratori di tutto il mondo. Ricordati, e ripensaci quando avrai più anni, che la mamma ed io abbiamo sempre lottato pensando a te; per assicurarti un domani senza fame, senza oppressione e senza guerre. Per evitare a te le umiliazioni che ha patite in vita la mamma da parte dei fascisti e della polizia. La tua povera mamma è stata una Martire. Io ho fatto meno del mio dovere e sono stato spesso inferiore al mio compito; la mamma invece, ha fatto molto di più di quello che ci si aspettava da lei. Venera la sua memoria. Ti ha voluto tanto bene.
Studia! Ho saputo che sei passata agli esami, pur nell’inferno di quest’anno tremendo dopo aver sofferto il primo dolore, che è anche il più grande dolore della vita. Continua a studiare. Molto il mondo aspetta dalle nuove generazioni, che devono risolvere tutti i problemi che noi abbiamo lasciati insoluti. Il domani ha bisogno di ingegneri e di medici: se puoi, mettiti a studiare queste materie. Sii degna di tua madre, che amò, ma non fu una bambola: ella fu innanzitutto una lavoratrice ed una combattente.
Io spero che il popolo italiano non dimenticherà i nostri figli: i figli dei carcerati e dei confinati, i figli dei “partigiani”. Se hai capacità e buona volontà, credo che ti faranno studiare.
Fa’ sempre il tuo dovere. Sii onesta, leale e coraggiosa. Ama sempre i lavoratori e la povera gente, non con aria di protezione, ma con fraternità. I ”signori” non ci hanno fatto che del male, a tua madre, a me, a te.
Quasi tutti i migliori comunisti italiani ti hanno vista bambina: ricorri a loro come a dei padri per consigli ed aiuto. Il quadro di “Biancaneve” l’ha fatto Secchia; faglielo firmare e tienlo per ricordo del tempo in cui io, tua madre e tu stessa eravamo perseguitati dal fascismo, ma eravamo infinitamente felici quando potevamo stare insieme.
Addio.
Tuo padre
– 1944 –
Carlo venne sepolto a Cannobio. Dopo la Liberazione gli furono resi tutti gli onori di caduto per la Libertà. Venne fatto il giusto funerale e il corpo, traslato a Intra, venne sepolto accanto a Giuseppina, per sempre.
A Carlo Fabbri è stata dedicata una piazza di Intra.
Nei confronti di questi uomini e di queste donne, figli di Ponza, che ci hanno dato la libertà e la Repubblica lottando senza risparmio contro il nazifascismo, sacrificando la loro stessa vita, non siamo stati riconoscenti. Ponza distratta non ha dedicato loro una strada, una piazza, un cippo, una targa, neanche un convegno.
Con queste poche righe voglio rendere loro omaggio con un semplice “grazie”, e con determinazione indicarli alle nuove generazioni come fulgido esempio di disinteressato impegno civile e amore per la Patria, e di portarli per sempre nel cuore.
(Le Fosse Ardeatine . 4 – Continua)
Gino Usai