di Giuseppe Mazzella
L’isolano ha un carattere che si è formato nella solitudine e nell’insicurezza del vivere “in mezzo al mare”.
Chi vive in una piccola isola “sente” il tempo, il mare mosso, le nuvole, il sole, con particolare sensibilità e ne ‘risente’ nell’intimo. Già alle prime avvisaglie dell’arrivo del cattivo tempo, il suo animo si chiude a proteggere se stesso e le proprie cose.
L’isolano vive nell’attesa e nella ‘paura dell’inabissamento’, come ha scritto Leonardo Sciascia. La sua paura è ancestrale. Le notti fredde e i rumori paurosi delle onde che scavano le viscere dell’isola, scavano anche la sua sicurezza. Condizionamenti che nel corso dei secoli si sono impressi nel suo patrimonio genetico.
Questo atteggiamento di costante allerta li rende prevenuti e cauti, dubbiosi, incerti.
È difficile che un isolano decida per una posizione definita. Ha sempre delle riserve. L’esperienza gli suggerisce che dopo il cattivo tempo esce il sole, e viceversa; quello che oggi gli si mostra amico si può trasformare in nemico.
I suoi discorsi sono soprattutto improntati a fissare un dettaglio, spesso insignificante, piuttosto che affrontare le grandi questioni. Si finisce così per chiudersi ognuno nella propria cella di convincimenti, senza mai fare uno sforzo per ascoltare. Tutto questo causa depressione.
Per Ponza già lo storico ottocentesco Giuseppe Tricoli confermava l’esistenza di diffuse “melanconie”, specie tra le classi meno abbienti. Un fenomeno che si ripresenta oggi in modo allarmante tra i più giovani.
Quando l’isolano emigra, lo sradicamento crea grande dolore e sofferenza. Nelle comunità americane di ponzesi, ad esempio, per compensare la grave perdita, le “abitudini” isolane sono preservate e osservate fino alla pignoleria. Ricostruire Ponza a casa propria, pur lontani migliaia di chilometri, è non solo un desiderio, ma una necessità che arriva al feticismo.
Altro tratto dominante della psicologia ponzese è il fervore religioso che si concentra soprattutto sul culto di San Silverio, Papa e Martire, che nell’isola morì di stenti nel 537.
Fino a venti anni fa la maggior parte dei pescatori isolani partivano ai primi di marzo per battute di pesca in Sardegna e in Toscana, per rientrare solo alla fine di ottobre. Non prima, però, di aver festeggiato il loro San Silverio nell’ultima domenica di febbraio a Le Forna, non potendo essere presenti il 20 giugno alla festa grande.
I pescatori, a causa di queste lunghe lontananze, hanno dovuto delegare alle donne il governo della famiglia. Vige, infatti, a Ponza un forte matriarcato.
Le donne non solo si occupano della gestione della famiglia e delle risorse economiche, ma le vediamo impegnate anche in ruoli maschili come il lavoro duro della terra (e una volta anche della pesca) o nel seguire pratiche burocratiche e legali.
Un matriarcato che ha preservato, secondo una antropologa americana, l’isola da atti omicidi.
In tutta la sua storia recente, infatti, cioè dalla colonizzazione borbonica, non si registrano nell’isola attentati alla vita. Anche se la situazione è in profondo cambiamento, la famiglia ponzese tradizionale è ancora fortemente matriarcale.
Altro elemento che caratterizza profondamente la psicologia isolana è il senso dell’ospitalità, che è stato il tratto dominante della nascita e del suo lancio turistico.
Un senso di ospitalità che nasconde anche un forte bisogno di comunicazione, di sfuggire all’isolamento in cui resta impantanato nei lunghi e insopportabili inverni.
Un ospite, estraneo all’isola, viene sentito come migliore, dotato di qualità e di caratteristiche che non vengono riconosciute agli altri isolani.
Non solo per ragioni di invidia o di rivalità, ma per il presupposto che tutto ciò che è “di fuori” sia migliore.
Un atteggiamento che spiega forse in parte anche gli accadimenti recenti.
Luisa Guarino
31 Maggio 2013 at 19:21
Dopo aver letto lo scritto del caro amico Giuseppe, mi sono fatta un bell’esame di coscienza… e mi sono scoperta ben diversa dal tipo ponzese che lui descrive, e quindi decisamente anomala, in quanto assolutamente ‘inospitale’. Non tanto con chi non conosco e che casualmente incrocio lungo il Corso o nei tanti angoli dell’isola, anzi al contrario di tanti amo il movimento estivo e un po’ di ‘sana’ confusione che rende Ponza viva e vivace. Mi succede invece di assumere mio malgrado un atteggiamento sgradevole nei confronti delle persone che conosco, magari anche solo di vista, e che mi capita di incontrare poi sull’isola. Non me n’ero mai resa conto. Me l’ha fatto notare una cara amica e collega del quotidiano Il Tempo un’estate che ha trascorso qualche giorno a Ponza con un paio di altri colleghi. E poiché tra noi c’è sempre stato un rapporto franco me l’ha detto senza mezzi termini: ho dovuto darle ragione. La loro presenza mi sembrava un’intrusione, come se venissero a invadere un territorio solo mio. Eppure sono e resto una persona cordiale e affabile, credo, ma… non toccatemi dov’è il mio debole. Calo una cortina di freddezza quasi senza accorgermene. Insomma non sento il bisogno di comunicare con chi viene da fuori, né tantomeno lo ritengo ‘migliore’. Insomma non soffro di complessi ‘di inferiorità’ se così vogliamo chiamarli, tutt’altro. Il mio radicamento a Ponza è totale, esclusivo ed escludente, forse al punto di diventare antipatica. Non me ne vogliate. Io che non conosco gelosia e senso di possesso nei confronti di persone o cose, quando si tratta di Ponza non sono più razionale. E se parlando, qualcuno mi dice che non è mai stato a Ponza, non si aspetti da me un invito, un incoraggiamento. All’anima dell’ospitalità!
vincenzo
2 Giugno 2013 at 10:34
Il carattere di un popolo è la sintesi di un insieme di fattori: Genetica, isolamento ambientale, lotta per la sopravvivenza, equilibrio sociale imposto dal potere, tradizioni, tutto questo produce una cultura dominante.
Giuseppe nel tracciare il carattere dei ponzesi dice: “L’isolano vive nell’attesa e nella ‘paura dell’inabissamento’”.
“È difficile che un isolano decida per una posizione definita”.
“I suoi discorsi sono soprattutto improntati a fissare un dettaglio, spesso insignificante, piuttosto che affrontare le grandi questioni”.
“Altro tratto dominante della psicologia ponzese è il fervore religioso”.
“Altro elemento che caratterizza profondamente la psicologia isolana è il senso dell’ospitalità. Non solo per ragioni di invidia o di rivalità, ma per il presupposto che tutto ciò che è “di fuori” sia migliore.
Un atteggiamento che spiega forse in parte anche gli accadimenti recenti”.
Franco, ispirato dal mare dice: “Nella profondità ciascuno, interrogando se stesso, è costretto a guardarsi dentro. Qui c’è il ricordo dell’infanzia, di tutto il vissuto, qui c’è il non detto, il sognato.
Si coltiva la profondità?
Come ogni coltura essa va osservata, va curata, circondata di premure, sorretta, irrorata e ascoltata nei suggerimenti”.
Oddio, ma criticata, osteggiata, combattuta, superata, adeguata no?
E’ proprio questo che cercavo di dire: l’intellettuale che si è ricavato una sua nicchia, quella di testimonianza dell’esistente, forse cari amici, in questa realtà non avrà più senso, perchè qui si biancheggia sull’asfalto non si recuperano i vecchi vasoli, per cui andando avanti così la nostra opera sarà fine a se stessa, quindi inutile!