di Francesco De Luca (Franco)
Vorrei proporre una sorta di rubrica, cadenzata settimanalmente, che guarda alla vita dei Ponzesi in Ponza in modo – passatemi l’espressione – letteraria. Perché non è legata all’oggi e nemmeno a ieri, giacché li ingloba idealmente. I fatti, i personaggi, gli eventi, si muovono nel ricordo che va dal passato remoto, al passato prossimo e all’immediato trascorso.
L’universo è racchiuso nei confini di Ponza e, attraverso i Ponzesi, si porta in altri luoghi.
Un affresco a episodi.
“Viene cca, figliu mio, non farmi alzare… che i ginocchi… quanta dulure int’all’osse!”
Luca dalla soglia affrettò il passo per avvicinarsi ed entrando diede un rapido sguardo all’insieme. Sul piano del mobile da cucina, accanto a varie cose, si mostrava in una foto in bianco e nero una bella figura di ragazza.
Fu un attimo, poi si porse all’abbraccio della donna.
A nonna Fermina non sfuggì lo sguardo del giovane. “Vedi come ero bella? “
Luca, si distolse dalla stretta delle braccia in cui s’era adagiato e prese la foto. Raffigurava una splendida ragazza, viso terso, giovanissima, con un’onda di capelli sulla fronte.
“Quanti anni avevi?” – chiese Luca.
“Ne avevo diciannove… ecco perché ero così bella!”.
Era sbarcato da poco Luca, proveniente da Formia. Insegnava a Fondi, e per quel fine settimana era tornato a casa. La casa che lo aveva visto bambino. Ora vi dimorava la nonna.
“Come stai? Come hai fatto il viaggio? Fatti vedere come sei cresciuto! “
“Nonna, come faccio a rispondere a tutto?”
“Hai ragione, figliu mio” e nonna Fermina si alzò con smorfie di dolore e andò a preparare il caffè. Lo sapeva che il nipote avrebbe gradito una tazzina di caffè caldo.
Si guardò intorno. La casa era stata rinnovata da quando l’aveva lasciata. Erano passati alcuni anni. In quella casa c’era nato, i nonni allora stavano in affitto in un appartamentino nel vicolo sottostante.
L’ingresso era in cucina. Questa si apriva sulla conca del porto. Per arrivarci bisognava salire una cinquantina di scale, a più rampe. Stava in alto, tanto da vedere finanche Zannone, lontano, e poi l’arco della costa da Gavi a Santa Maria, e giù in basso il molo Musco e parte del Mamozio.
Una cucina ampia, e poi tre stanze, una dentro l’altra, con le finestre sul vicolo Umberto.
Quella casa lo travolgeva coi ricordi, e Luca stentava a mantenersi distaccato, meno male che nonna Fermina s’era seduta e lo aspettava per il caffè. La zuccheriera era la stessa, la solita della nonna.
Questa nonna, non la vedeva da anni perché era stato impegnato nei trasferimenti da una scuola all’altra in più paesi, e poi la famiglia e infine la nuova casa a Fondi.
I suoi ritorni a Ponza erano stati rari. Troppo disagio col bimbo piccolo, la nave, i bagagli.
Era stato il padre a pensare di sistemarsi insieme alla vecchia mamma, nella stessa casa. L’aveva tinteggiata tutta, ma aveva provveduto anche ad ampliare il bagno. Quando era piccolo c’era soltanto il water. E ci si lavava fuori sul ballatoio retrostante. Con la nuova sistemazione avrebbe potuto portarci anche la famiglia.
Non si pentì d’aver preso la decisione di tornare a Ponza. In verità era stato sollecitato anche dal padre. I suoi vecchi stavano insieme ora, e i nuovi lavori in casa, nelle speranze del padre, miravano a farlo essere più vicino, nella vecchiaia avanzata.
La casa rappresentava un sicuro tiraggio.
I Ponzesi che sono privi di alloggio subiscono la maledizione di non tornarvi più. Nessuno li ospita nei mesi estivi perché tutte le case sono a disposizione dei turisti. La richiesta è forte e l’offerta si adegua. Nei mesi invernali non si viene sull’isola perché l’alloggiamento è disagevole.
Gli appartamenti sono piccoli e adatti a chi trascorre la giornata all’aperto. L’isola stessa non offre svaghi per chi vuole soggiornarvi a lungo.
Anche per Luca, l’ampliamento della famiglia esigeva un appartamento adatto, che né i genitori potevano dargli e nemmeno i nonni.
Questa era la ragione vera per la quale era stato lontano dall’isola. Lo sapevano sia il padre Cesare, sia lui. Ma ora le cose erano cambiate. La morte di mamma Emilia aveva indotto il padre a fare di quella casa il centro affettivo dell’intera famiglia. Qui poteva essere ospitato anche lui. Anzi, la nuova sistemazione avrebbe tacitato i borbottii della moglie. Insensibile ai richiami dell’isola e chiusa del tutto ai sentimenti che agivano fortemente su di lui.
Entrò nel bagno. C’era il lavandino, la doccia, il water: tutto nuovo e tutto diverso. Ma a destra la finestrella era rimasta intatta. Piccolissima, perché dava sul ballatoio esterno.
Lì, in estate, il padre, preparandosi per la pesca a totani, metteva in quel piccolo vano, le sarde salate a seccare, per usarle come esca.
“Stai guardando come è venuto? – lo distolse la nonna. Lui farfugliò qualcosa, col pensiero ancora dietro all’odore delle sarde, e al vento che disperdeva tutto.
Chiuse la porta dietro di sé e si sedette a sorbire il caffè. Di nuovo l’immagine della foto lo colpì. Come era bella, quasi non credeva che fosse quella vecchia con lo scialle di lana, asciugata in una figura minuta. Il viso s’era afflosciato e disposto in modo che due grandi rughe solcavano le guance. Anche gli occhi avevano perso la brillantezza e lo guardavano stancamente.
“Ma qui è prima o dopo che ti sei sposata? – chiese alla nonna.
“Qui è proprio nell’anno che mi sono sposata “ – rispose.
“Ah… ecco perché nonno Domenico fece il passo… aveva questa bellezza a disposizione..!”. Luca tentò con la battuta di combattere un moto di malinconia che stava affiorando.
Nonna Fermina non fu pronta all’umorismo, aveva voglia di parlare con quel nipote che non vedeva da tanto – “Ero bella sì, ma non ero pronta per il matrimonio. I miei genitori mi fecero fidanzare troppo presto. Sbagliarono”.
“Come sbagliarono?” – riprese Luca, meravigliandosi di quel rammarico. Nonna Fermina non esitò. Espresse il suo disappunto per essere andata sposa troppo giovane, senza aver assaporato la spensieratezza dell’adolescenza..
Da sposata dovette accettare un meccanismo di vita implacabile. Il marito, la cura della casa, i figli, la loro crescita, e, una volta grandi loro, si è ormai fuori dalla leggerezza. E appesantita.
“Meglio mò – disse – che i figliole non si sposano. Viveno insieme ma… ognuno per i fatti suoi”.
Luca tentò di nuovo di alleggerire il tono – “Va bene, ma tu cosa avresti voluto fare, cosa ti è mancato ? “
“ A quell’età andavo dalle monache ad imparare il ricamo. Ci andavo con Rosinella, Luciettina… e là ci divertivamo: a fare la caricatura a suor Iolanda… a Carnevale facevamo le nocchette… a Natale imparavamo i canti.
Non appena mi fidanzai tutto finì. Mia madre mi spronava a prendere le fattezze di una casalinga responsabile. Per apparire affidabile agli occhi di nonno Domenico, ma ancor più dei suoi genitori”.
Parlando passava la mano sulla foto come ad accarezzarla. Più volte. Luca gliela prese e la tenne nella sua.
Nonna Fermina, lui l’aveva tenuta ai margini dei sentimenti perché la sua crescita si era sviluppata in collegio. L’influsso dei nonni l’aveva sentito poco. Quando ritornava sull’isola in vacanza i nonni li visitava di rado e con un certo distacco deferente.
Sentiva, Luca, che la piega del dialogo si stava chinando verso la tristezza.
Dopo tre ore di traghetto aveva immagazzinato quel tanto di stanchezza mentale che lo indirizzava al pessimismo.
Ci pensò nonna Fermina a toglierlo d’impiccio. Si alzò, aprì l’anta del mobiletto, prese una scatola di metallo, la tirò fuori e gli offrì i dolcetti di mandorle coperti di cioccolato.
Li aveva fatti lei e li aveva fatti per lui. Li lasciò lì, prese le tazzine e si dispose a lavarle.
Luca rimase attonito. Quei dolcetti lo proiettarono indietro nell’infanzia, quando l’amore per manifestarsi si ammanta di oggetti esteriori. Ancora non è, per la piccola anima, un puro e semplice sentimento.
Comprese in un attimo di muto dialogo interiore quanto amore avesse nutrito quella vecchina per lui, e quanto ne aveva sprecato lui lasciandolo nell’indifferenza, nella sordità.
Una vita: l’aveva fatta trascorrere perdendone il forte sapore.