di Rita Bosso
Parafrasando Pavese, si potrebbe dire che in un posto di mare un porto ci vuole, non fosse che per il gusto di distruggerlo; e anche quando non c’è, il porto condiziona con la sua assenza la vita del paese e ne diventa comunque protagonista: la Barcellona medievale narrata da Ildefonso Falcones ne è un esempio.
Nel 1735, appunto, a Ischia il Porto non c’è; neanche a Ventotene e a Ponza, se è per questo, ma Ischia è la maggiore delle isole borboniche, con migliaia di abitanti distribuiti in tre “Università”, mentre nelle Ponziane il ripopolamento è stato appena avviato.
La Villa dei Bagni, che il Protomedico di Corte Francesco Buonocore ha fatto edificare su un’ altura circostante il lago vulcanico, è un sanatorio al quale il suo proprietario indirizza la nobiltà napoletana, magnificando le virtù terapeutiche delle acque termali; da un inventario dell’epoca, risultano in dotazione della casa ben duecento materassi, oltre che arredi di pregio, bagni con acqua calda e un giardino lussureggiante.
Il 2 agosto 1783 arriva il re Ferdinando IV, per far visita ad un amico che sta facendo le cure termali e, dato uno sguardo in giro, regalmente annuncia: “Qui, vogliamo farci una pescata”.
I suoi accompagnatori non si scompongono: per il re Lazzarone ogni occasione è buona, a Procida come a Portici, e a Napoli i pescatori di Santa Lucia lo considerano un collega.
La regina Maria Carolina mostra di apprezzare l’isola e la Villa, così l’anno successivo il re ritorna, chiede ed ottiene il possesso del lago, acquisisce la Villa dei Bagni e provvede affinché essa possa assurgere al ruolo di residenza reale: affida a Carlo Vanvitelli la progettazione del giardino, commissiona al pittore di corte Hackert alcune vedute dell’isola, fa trasportare statue, argenteria e reperti archeologici da Napoli.
Saranno i suoi successori, però, ad imprimere una svolta più decisa alla sistemazione della Villa e, di riflesso, allo sviluppo dell’isola. Ferdinando II affida al botanico di corte Giovanni Gussone l’arricchimento del parco e la piantumazione a pineta della zona dell’Arso, ricoperta da una colata lavica; fa costruire le prime strade carrozzabili; collega l’isola alla terraferma mediante un cavo telegrafico.
Ma l’opera di maggior rilievo è senza dubbio la trasformazione del lago vulcanico in porto, decisa nel 1852, avviata l’anno seguente, condotta anche grazie all’impiego dei coatti relegati sul Castello Aragonese e conclusa nel 1854, allorché il vapore reale Delfino fa il suo ingresso trionfale, seguito da oltre duecento imbarcazioni.
La famiglia reale, che soggiorna a Ischia da quando a Napoli è scoppiata un’epidemia di colera, assiste ai festeggiamenti; sul Giornale del Regno delle Due Sicilie del 17 settembre 1854 si legge: “Circa dugento legni pavesati a festa, fra ‘l rimbombo di artiglierie ed i concerti di bande musicali, entravano con la festiva solennità d’una regata nel porto novello, e vi facevano varie evoluzioni … L’aria risuonava incessantemente delle grida di Viva il Re, che innalzandosi da’ navigli confondeansi con quelle che un’immensa calca di spettatori sollevava al tempo stesso dalle rive. Le Loro Auguste Maestà con la Real Famiglia godevano di sì delizioso spettacolo da un loggiato a bella posta quivi costrutto…”.
I dipinti del pittore Francesco Mancini (1830-1905) sono quasi delle istantanee della cerimonia di inaugurazione: