Libri

La pescivendola della Boquería, di Arturo Pérez-Reverte

segnalato da Sandro Russo

Ancora un breve quadretto dal libro di Arturo Pérez-Reverte – “Le barche si perdono a terra”, M. Tropea Ed.; 2012 – già presentato su questo sito (leggi qui).
Qui c’è l’anima del mercato – di tutti i mercati delle città di costa del Mediterraneo – e la rivelazione di come la memoria riporta alla coscienza un particolare remoto, quasi dimenticato, che prepotente si impone e prende tutta la scena…

Per gli altri scritti ripresi dal libro di Pérez-Reverte, digitare il nome nel riquadro CERCA NEL SITO del frontespizio

 

 

Barcellona: Mercato di San José, meglio noto come La Boquería.
Il tizio ha cinquanta e rotti anni, o li dimostra, e un’aria infame da barbone, con scarpe da tennis rotte e la maglietta sporca che pubblicizza una fiera del libro di una vita fa; di quando il Generalissimo era soldato semplice. La maglietta cattura la mia attenzione, ecco perché continuo a osservare l’individuo mentre gli cammino dietro tra i chioschi di frutta o verdura, spezie, carne, salumi. Amo la Boquería in particolare e i mercati in generale; soprattutto quelli mediterranei, sopravvissuti sulle rive di questo mare antico e saggio, cui la modernità, l’igiene e tutte quelle scocciature sanitariamente corrette dell’asetticità, della plastica e della confezione sottovuoto non hanno fatto perdere il carattere; e anche ripuliti e abbelliti continuano a essere quelli di un tempo, e ti riempiono i sensi di colori eterogenei, aromi mischiati, rumore intenso di voci che decantano, interrogano, invitano, mercanteggiano. Mi diverto come Charlton Heston con un fucile – quel figlio di puttana – a passeggiare lì: guardo, mi fermo e tendo l’orecchio, ricordando.

Niente si somiglia tanto come questi mercati fra loro: Barcellona, Napoli, Tangeri, Istanbul, Beirut, Cadice, Melilla. Eccetera.
È anche cultura. E non mi riferisco a quello che certe teste di cazzo qui chiamano cultura: la gastronomia come cultura, il calcio come cultura, il cellulare come cultura. I mortacci loro come cultura.
Adesso qualsiasi cosa è cultura — ho appena sentito un politico imbecille parlare di cultura della violenza.
No. Parlo di vera cultura. Storia e cause, memoria e presente. Orme e chiavi di quello che siamo stati e che siamo.

Ma vi stavo dicendo che ci troviamo alla Boquería.

Cammino dietro il tizio con l’aria da barbone che saluta i venditori mentre passa davanti ai chioschi.
Da come trascina i piedi deduco sia uno di quei frequentatori di posti come questo, gente che vive di elemosina, trasportando pesi o facendo piccole commissioni. Lui saluta tutti con aria assente, come se fosse da un’altra parte. Qualcuno ricambia il saluto.
Arriva così – e io dietro di lui – alla zona della pescheria. E sta per raggiungere l’uscita posteriore del mercato senza fermarsi, quando una pescivendola lo chiama.
L’uomo si volta e si avvicina lentamente alla donna, che è matura, un po’ robusta, e ha indosso un grembiule. Una tipica pescivendola. Di quelle di sempre. La donna prende un pesce dal banco, lo avvolge in un foglio di carta e glielo porge quasi con discrezione, senza dire una parola.
Allora il mendicante, o quel che è, sorride con la sua bocca sdentata, annuisce e fa il gesto di baciare l’involucro. E se ne va.

Rimango a guardare la pescivendola, che senza dare importanza all’episodio torna al suo lavoro, ad ammucchiare meglio il ghiaccio tritato sotto i gamberi e a disporre più artisticamente le fette di pesce spada.

Sono esterrefatto. Quella donna non può saperlo, è evidente.
Ho appena assistito punto per punto a una scena vissuta più di quarant’anni fa nel mercato di calle Gisbert, a Cartagena, una mattina in cui, accompagnando mia nonna a fare la spesa – in piazza, come dice la gente del Sud – vidi una pescivendola molto simile a questa, grassoccia, con un grembiule identico e le stesse mani arrossate dal lavoro, dare un grosso pesce avvolto in carta da giornale a un indigente, un poveruomo vestito di stracci che spazzava i resti delle verdure e aiutava a caricare le ceste per procurarsi da vivere con qualche mancia.
La stessa scena.

Al bambino che ero sembrò il massimo della compassione, e così la ricordai sempre.

E oggi, alla Boquería di Barcellona, quasi mezzo secolo dopo, vedo ripetere lo stesso gesto verso lo stesso uomo, dalle mani della stessa donna.

Un gesto che, nonostante l’aria che tira e per quanto tu possa essere scafato, ti riconcilia con parecchie cose.
Per esempio, con chi è ancora capace di agire in base a un impulso personale caritatevole senza aspettarsi applausi, voti, benedizioni apostoliche o qualsiasi cosa in cambio. Solo perché ti senti di farlo. Gratis.

Insomma. Sono ancora lì davanti al chiosco del pesce quando la donna alza gli occhi e, accorgendosi che la osservo, mi guarda scontrosa. Diffidente. Che diavolo avrà questo qui, deve pensare vedendomi sorridere come un idiota. Non sa che quello che ho è una gran voglia di avvicinami, poggiare le mani tra le sogliole e le triglie e stamparle un bacio. Smack. Sulla bocca.
Perché è sempre lei dopo tanti anni.

Barcellona. La Bouquerìa. Un banco di frutta

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